Tratto da La Stampa
In Gran Bretagna i leader concordano lo stop alle centrali a carbone. In Italia si tratta su Vado Ligure...
Maria Grazia Midulla.
Molte sono le notizie provenienti da altri Paesi che da noi passano sotto silenzio.
Nei giorni scorsi, i media italiani hanno ignorato una notizia molto importante: prima delle elezioni del 7 maggio, i leader dei tre maggiori partiti, in Gran Bretagna, hanno sottoscritto un accordo sul cambiamento climatico. Nel testo, riconoscono i rischi del riscaldamento globale, ma anche le opportunità che si possono trarre dall’affrontarlo, e si impegnano ad accelerare gli sforzi in tal senso, in sede nazionale e internazionale (Conferenza ONU sul Clima a Parigi il prossimo dicembre). L’accordo non si limita a dichiarazioni generali, ma stabilisce impegni su tre punti:
• Chiedere un accordo globale sul clima equo, forte e legalmente vincolante, che limiti l’innalzamento della temperatura sotto i 2°C
• Lavorare insieme, al di là degli schieramenti, per concordare budget di carbonio conformi al Climate Change Act (la legge che stabilisce dei limiti alle emissioni nel regno Unito – ndr) .
• Accelerare la transizione verso un economia competitiva, efficiente nell’uso dell’energia, a basse emissioni di carbonio e porre fine all’uso del carbone senza sistemi per ridurre le emissioni per produrre energia.
Ora, vediamo le differenze. Un tale accordo prima delle elezioni lancia un segnale chiaro e inequivocabile agli investitori, in particolare sul carbone che non avrà più spazio (la CCS, cattura e stoccaggio del carbonio, è una metodologia ancora sperimentale e tremendamente costosa). Questo indica una direzione precisa e favorisce, appunto, gli investimenti in tecnologie low carbon e nell’efficienza energetica.
Esattamente il contrario di quel che avviene in Italia. Possiamo dire che da noi c’è una certa continuità nella gestione della politica energetica, continuità che consiste nel dire una cosa e farne un’altra. Si dice che si vuole ridurre fortemente la quota di carbone nel mix energetico, per poi fare un accordo nel chiuso di Palazzo Chigi su una centrale obsoleta e inquinante, nel mezzo di un centro abitato, sulla quale è in corso un’indagine della magistratura per i danni e le morti provocate: parliamo di Vado Ligure (Savona), naturalmente, e si sa che il Governo sta trattando su come piegare le norme tecniche (cioè le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale che l’azienda reputa troppo costose) alle esigenze… delle banche.
Già, perché l’azienda che possiede la centrale è indebitata fino al collo, e la centrale va tenuta aperta per vendere Tirreno Power o i suoi asset al miglior prezzo possibile. I posti di lavoro, come al solito, sono usati come ricatto: o salute o lavoro.
Ma quel che è peggio, è ci si pieghi al ricatto, invece di trattare sulla riconversione verso altri posti di lavoro. Il ministro Galletti ha annunciato che finalmente si darà il via ai primi interventi per la messa in sicurezza del territorio, è facile immaginare che tali interventi vedranno la Liguria come una delle prime aree su cui intervenire: perché, invece di trattare a spese dell’ambiente e della salute, il ministro non esamina le possibilità di formazione e riassorbimento dei lavoratori per arginare il dissesto idrogeologico? Palese anche la contraddizione dei sindacati che a livello nazionale e internazionale parlano di “accelerare la transizione” verso la green economy, e poi, nella vita vera, difendono l’esistente, ovvero i peggiori combustibili fossili. Certo, in altri Paesi le contraddizioni si gestiscono in modo diverso, per esempio i sindacati greci oggi chiedono un tetto alle emissioni di gas serra da carbone (lignite) nella prima fase della transizione, onde evitare la tentazione di sostituire i combustibili fossili con quelli disponibili sul territorio nazionale; e chiedono di puntare sulle rinnovabili per uscire dalla crisi.
Da noi, ancora una volta, si punta sui fossili, anche dando impulso alle trivellazioni per petrolio e gas, invece di mantenere politiche coerenti per favorire davvero (non a parole) rinnovabili ed efficienza energetica.
In fondo, il problema vero è non si può più gestire solo e sempre le emergenze e pensare al futuro a parole e assumendo impegni generici. Tutti sappiamo che la transizione non è e non sarà facile, ma occorrono visione e coerenza per dare all’Italia un futuro decente.
Nei giorni scorsi, i media italiani hanno ignorato una notizia molto importante: prima delle elezioni del 7 maggio, i leader dei tre maggiori partiti, in Gran Bretagna, hanno sottoscritto un accordo sul cambiamento climatico. Nel testo, riconoscono i rischi del riscaldamento globale, ma anche le opportunità che si possono trarre dall’affrontarlo, e si impegnano ad accelerare gli sforzi in tal senso, in sede nazionale e internazionale (Conferenza ONU sul Clima a Parigi il prossimo dicembre). L’accordo non si limita a dichiarazioni generali, ma stabilisce impegni su tre punti:
• Chiedere un accordo globale sul clima equo, forte e legalmente vincolante, che limiti l’innalzamento della temperatura sotto i 2°C
• Lavorare insieme, al di là degli schieramenti, per concordare budget di carbonio conformi al Climate Change Act (la legge che stabilisce dei limiti alle emissioni nel regno Unito – ndr) .
• Accelerare la transizione verso un economia competitiva, efficiente nell’uso dell’energia, a basse emissioni di carbonio e porre fine all’uso del carbone senza sistemi per ridurre le emissioni per produrre energia.
Ora, vediamo le differenze. Un tale accordo prima delle elezioni lancia un segnale chiaro e inequivocabile agli investitori, in particolare sul carbone che non avrà più spazio (la CCS, cattura e stoccaggio del carbonio, è una metodologia ancora sperimentale e tremendamente costosa). Questo indica una direzione precisa e favorisce, appunto, gli investimenti in tecnologie low carbon e nell’efficienza energetica.
Esattamente il contrario di quel che avviene in Italia. Possiamo dire che da noi c’è una certa continuità nella gestione della politica energetica, continuità che consiste nel dire una cosa e farne un’altra. Si dice che si vuole ridurre fortemente la quota di carbone nel mix energetico, per poi fare un accordo nel chiuso di Palazzo Chigi su una centrale obsoleta e inquinante, nel mezzo di un centro abitato, sulla quale è in corso un’indagine della magistratura per i danni e le morti provocate: parliamo di Vado Ligure (Savona), naturalmente, e si sa che il Governo sta trattando su come piegare le norme tecniche (cioè le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale che l’azienda reputa troppo costose) alle esigenze… delle banche.
Già, perché l’azienda che possiede la centrale è indebitata fino al collo, e la centrale va tenuta aperta per vendere Tirreno Power o i suoi asset al miglior prezzo possibile. I posti di lavoro, come al solito, sono usati come ricatto: o salute o lavoro.
Ma quel che è peggio, è ci si pieghi al ricatto, invece di trattare sulla riconversione verso altri posti di lavoro. Il ministro Galletti ha annunciato che finalmente si darà il via ai primi interventi per la messa in sicurezza del territorio, è facile immaginare che tali interventi vedranno la Liguria come una delle prime aree su cui intervenire: perché, invece di trattare a spese dell’ambiente e della salute, il ministro non esamina le possibilità di formazione e riassorbimento dei lavoratori per arginare il dissesto idrogeologico? Palese anche la contraddizione dei sindacati che a livello nazionale e internazionale parlano di “accelerare la transizione” verso la green economy, e poi, nella vita vera, difendono l’esistente, ovvero i peggiori combustibili fossili. Certo, in altri Paesi le contraddizioni si gestiscono in modo diverso, per esempio i sindacati greci oggi chiedono un tetto alle emissioni di gas serra da carbone (lignite) nella prima fase della transizione, onde evitare la tentazione di sostituire i combustibili fossili con quelli disponibili sul territorio nazionale; e chiedono di puntare sulle rinnovabili per uscire dalla crisi.
Da noi, ancora una volta, si punta sui fossili, anche dando impulso alle trivellazioni per petrolio e gas, invece di mantenere politiche coerenti per favorire davvero (non a parole) rinnovabili ed efficienza energetica.
In fondo, il problema vero è non si può più gestire solo e sempre le emergenze e pensare al futuro a parole e assumendo impegni generici. Tutti sappiamo che la transizione non è e non sarà facile, ma occorrono visione e coerenza per dare all’Italia un futuro decente.
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