TRATTO DA IL FATTO QUOTIDIANO
AMBIENTE & VELENI
Reati ambientali, i compromessi li fa la politica non la magistratura
di Gianfranco Amendola | 20 luglio 2015
Quando ci si occupa d’ambiente, si finisce sempre, prima o poi, con il trovarsi di fronte al tragico dilemma “tutela della salute e dell’ambiente o tutela dell’occupazione?“, riassunto da alcuni, negli anni 70 con il crudo slogan “meglio morire di fame subito o di cancro tra 30 anni?”
E’ un problema che non dovrebbe mai sorgere in quanto, in un quadro armonico di vero sviluppo, i due termini non sono affatto in contrapposizione; anzi, una corretta politica di tutela ambientale porta ad incrementare i livelli occupazionali in modo duraturo e stabile.
Purtroppo, nella pratica e nel breve periodo, specie in un Paese poco “normale” come il nostro, e specie in tempi di crisi economica ed occupazionale, avviene il contrario. Il caso Ilva è, ovviamente, emblematico a livello nazionale ma purtroppo rischia di diventare solo uno dei tanti.
Altrettanto emblematico è che, a questo punto, il problema iniziale si trasforma in un presunto conflitto “politica-magistratura” dove la politica privilegerebbe l’occupazione rispetto ai sequestri ed alle chiusure imposti dai magistrati alle aziende in nome della tutela della salute e dell’ambiente.
E non a caso negli stessi giorni spunta sulla stampa un corposo dibattito sulla “ragionevolezza” della magistratura che, in tempi di crisi economica ed occupazionale, dovrebbe farsi carico delle conseguenze sociali delle sue iniziative attuando un “bilanciamento” tra opposti diritti costituzionali quali la salute ed il lavoro. Dibattito -si badi bene- che prende piede e decolla proprio negli stessi giorni in cui il governo, di fronte all’ultimo sequestro Ilva richiesto dalla Procura di Taranto dopo la morte di un operaio, emette un decreto legge in cui, “considerata la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni che assicurino la prosecuzione, per un periodo determinato, dell’attività produttiva degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale interessati da un provvedimento giudiziario di sequestro dei beni”, consente che negli impianti sequestrati si continui a lavorare a condizione che l’impresa predisponga un piano “recante misura ed attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, riferite all’impianto oggetto del provvedimento di sequestro”.
Dirà la Corte Costituzionale se questo decreto legge è conforme ai dettami della Costituzione, oppure, come sostiene la Procura di Taranto, viola ben 6 articoli della stessa, soprattutto perché delega alla stessa azienda la scelta di nuove misure per garantire la sicurezza dei lavoratori.
A livello più generale, tuttavia, vi sono almeno due osservazioni da fare.
La prima riguarda la politica del governo verso la problematica ambiente-lavoro. Su questo blog abbiamo già documentato numerose disposizioni di favore per le aziende inquinanti specie se di “interesse strategico nazionale”, cioè soggette ad Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale). E di certo, pur senza volere generalizzare, desta profonda inquietudine la circostanza che alti funzionari del Ministero dell’Ambiente, come denunciato negli ultimi giorni con riferimento alla centrale Tirreno Power di Vado Ligure, progettassero di fare una “porcata” per salvare la centrale dai provvedimenti della magistratura.
Del resto, la stessa legge sugli “ecoreati” appena promulgata, se da un lato costituisce una svolta importante perché introduce finalmente i delitti contro l’ambiente, dall’altro risente di troppi compromessi dell’ultima ora alle pretese di Confindustria.........
Questo non vuol dire affatto “bilanciare” esigenze della salute e dell’ambiente con le esigenze occupazionali e delle aziende. Vuol dire invece far prevalere le seconde sulle prime.
La seconda osservazione riguarda i rapporti politica-magistratura. I compromessi li fa la politica non la magistratura che deve solo applicare le leggi fatte dalla politica e, in primo luogo la Costituzione.
Certo, nessuno ha i paraocchi e, di certo, quando la legge consente più scelte, il magistrato dovrà attuare quella più appropriata al caso concreto, tenendo conto delle possibili conseguenze. Ma, detto questo, non si può chiedere al magistrato di assumersi responsabilità non sue o addirittura di disattendere il suo dovere di disporre un sequestro preventivo di fronte al pericolo che vengano aggravate o protratte le conseguenze di un reato ovvero venga agevolata la commissione di ulteriori reati (art. 321 c.p.p.).
E, per favore, se qualcuno vuole citare, per il “bilanciamento”, la sentenza sull’Ilva della Corte Costituzionale (n. 85/2013), la legga bene. Apprenderà, così, che, se da un lato è vero che non vi sono diritti costituzionali “tiranni“, dall’altro, per fortuna, che “i valori dell’ambiente e della salute… non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati“.
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Guarda il video "Battaglia nei cieli" su Ilva di Taranto |
Tratto da Corriere Quotidiano
Ilva, la Procura di Taranto: spegnere subito altoforno 2
La Procura di Taranto torna all'offensiva sull'altoforno 2. Oggi il custode giudiziario dell'impianto, Barbara Valenzano, ha scritto all'azienda intimando lo spegnimento immediato dell'altoforno 2 in attuazione del decreto di sequestro preventivo senza facoltà d'uso emesso dalla stessa Procura dopo l'incidente mortale avvenuto a giugno. Il custode ha poi chiesto all'Ilva di essere informata entro il 24 luglio a proposito dell'attuazione del cronoprogramma sullo spegnimento. .....
La Procura di Taranto torna all'offensiva sull'altoforno 2. Oggi il custode giudiziario dell'impianto, Barbara Valenzano, ha scritto all'azienda intimando lo spegnimento immediato dell'altoforno 2 in attuazione del decreto di sequestro preventivo senza facoltà d'uso emesso dalla stessa Procura dopo l'incidente mortale avvenuto a giugno. Il custode ha poi chiesto all'Ilva di essere informata entro il 24 luglio a proposito dell'attuazione del cronoprogramma sullo spegnimento. .....
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Tratto da Huffingtonpost
Ilva: il "lavoro sporco" degli ultimi tre governi.
L'Ilva di Taranto non è più soltanto il massimo simbolo di un modello di industria - lo stesso di Porto Marghera o di Bagnoli - che ha praticato per decenni il sistematico disprezzo di ogni garanzia e protezione a difesa dell'ambiente, della salute dei lavoratori e di tutti i cittadini. Oggi è anche di peggio: è il terreno di sperimentazione di leggi che tale disprezzo elevano a norma, a principio giuridico, affermando l'idea che l'interesse di un'impresa debba venire prima della sicurezza del lavoro e della tutela della salute pubblica.
La prova di questa scelta è nella sequenza via via più inquietante di decreti varati negli ultimi anni dai governi Monti, Letta, ora Renzi per impedire alla magistratura l'applicazione all'acciaieria di Taranto di un persino banale precetto costituzionale: nessun interesse privato per quanto economicamente rilevante può contare di più del diritto dei cittadini a un ambiente sano, a un'aria respirabile.
Su questa strada, il governo Renzi continua nel "lavoro ....." cominciato dai governi che l'hanno preceduto. Con due decreti emanati in pochi mesi, ha stabilito che l'Ilva può produrre senza bisogno di rispettare per intero le prescrizioni del Ministero dell'Ambiente per il risanamento e la bonifica ambientali del sito; che il commissario Ilva gode di una sorta di "guarentigia" che lo rende immune da eventuali provvedimenti giudiziari; che nel caso in cui la magistratura disponga il sequestro parziale o totale dello stabilimento ravvisando situazioni di grave pericolo per la sicurezza dei lavoratori, l'attività produttiva può proseguire ugualmente.
A Taranto, come mostrano consolidate ricerche epidemiologiche, in tanti si ammalano e muoiono per le sostanze tossiche in eccesso rispetto ad ogni standard di legge che dalle ciminiere come dai depositi di minerali piovono sull'area occupata dall'Ilva e su tutta la città. Anche la sicurezza del lavoro all'Ilva è tutt'altro che garantita, come tragicamente dimostrato dall'incidente dell'8 giugno scorso all'altoforno 2 costato la vita all'operaio Alessandro Morricella, che ha indotto la Procura di Taranto ad aprire un'inchiesta contro i responsabili dell'azienda per assenza dei requisiti minimi di sicurezza e ha portato al sequestro cautelativo dell'altoforno. D'altronde non ci si può stupire, visto che quella è la stessa fabbrica dove per decenni il "padrone" - prima l'Italsider, poi la famiglia Riva - ha fatto letteralmente i suoi comodi infischiandosene di leggi e regolamento, e sfruttando le vaste complicità istituzionali e politiche che oggi conosciamo grazie alle inchieste della magistratura.Continua a leggere qui
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