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13 dicembre 2015

Cop21: L'accordo di Parigi non ci salverà dal Climate Change.La cosa peggiore è che si grida al successo mentre la barca affonda.





Tratto da Huffintonpost

Cop21: l'accordo di Parigi non ci salverà dal Climate Change

                      Di Pierri

L'accordo si definisce vincolante ma non prevede meccanismi di sanzione. E per gli obiettivi che proclama prevede impegni del tutto insufficienti
PARIGI - L'accordo globale per la lotta al Cambiamento Climatico siglato oggi a Parigi non curerà la malattia del pianeta.

Mentre media e capi di Stato parlano di "enorme successo" e del compimento di un passo decisivo contro il riscaldamento globale e il Big business - ossia le grandi imprese mondiali - saluta quello che definisce uno "storico accordo", scienziati e attivisti sono impegnati a denunciarne limiti di merito e di metodo.
Che le grandi compagnie private siano felici non è mai un buon segno. In ogni caso l'accordo presenta nella forma alcuni punti ambiziosi: si definisce vincolante e ambisce a stabilizzare l'aumento della temperatura al di sotto dei 2°C "compiendo gli sforzi possibili per raggiungere gli 1,5°C" (art.2). Sin qui tutto bene: ma a invalidare ogni possibilità di efficacia concorrono alcuni elementi che non è possibile ignorare.
Al di la degli indirizzi generali contenuti nel testo presentato stamani, il cuore della strategia di riduzione è contenuto degli Indc, gli impegni specifici dei singoli paesi. Tali impegni, calcolati complessivamente, sono completamente insufficienti a garantire il raggiungimento dell'ambizioso obiettivo. La revisione degli accordi si farà ogni 5 anni, prima verifica prevista nel 2023. Anche se tutti i paesi facessero la loro parte - cosa non scontata, visto che mancano ad oggi concreti strumenti di controllo e sanzione - la temperatura salirebbe comunque sopra i 3°.
Esperti del Tyndall Centre for Climate Change Research (Inghilterra), del Center for International Climate and Environmental Research di Oslo, del Potsdam Institute tedesco e di altri istituti di Svezia e Austria avvertono che così com'è l'accordo non basta: non si prevede un anno specifico per il picco emissivo, ma occorre ridurre di almeno il 70% le emissione entro metà del secolo sui livelli del 2010 e per farlo dovremmo iniziare a ridurre adesso, immediatamente, e non nel 2020, quando entrerà in vigore l'accordo. Con queste premesse il riferimento vaghissimo alla "neutralità delle emissioni" da raggiungere senza fretta, la seconda metà del secolo, è poco più di una formula di rito.
La verità è che mentre eravamo tutti concentrati sui dettagli dell'accordo, abbiamo perso di vista il punto di fondo: la sostanziale mancanza di una volontà politica condivisa per agire drasticamente ed immediatamente che vuol dire abbandonare i fossili, tagliare i sussidi, convertire il modello produttivo attraverso una transizione giusta per i lavoratori e indispensabile per il pianeta. La Cina, mentre i cittadini di Pechino soffocano sotto una coltre di smog con concentrazioni di particelle sottili che ha superato di oltre 30 volte la soglia di allarme dell'OMS, annuncia che inizierà a ridurre solo dal 2030. L'India non ha alcuna intenzione di rinunciare al carbone. L'Italia dice di sposare, per voce del Ministro Galletti, l'obiettivo del 1,5° e intanto impone dall'alto progetti estrattivi e infrastrutture energetiche lungo tutta la penisola, in terra e in mare. Sono solo alcuni esempi delle contraddizioni che si annidano tra proclami e politiche energetiche, tra ambizione e impegno.
Nel testo di 31 pagine votato a Parigi neppure una volta vengono nominati i termini "petrolio", "carbone" o "combustibili fossili". Neppure un cenno alla necessità di tagliare i 5.300 miliardi di dollari l'anno di sussidi ai combustibili fossili. ........
In definitiva i governi - e di conseguenza i negoziatori - non hanno avuto il coraggio di inchiodare alle loro responsabilità le grandi imprese, e chiedere loro di pagare per i danni provocati e per finanziare una transizione climaticamente sostenibile.
La cosa peggiore è che si grida al successo mentre la barca affonda. Mentre la scienza dice che non c'è più tempo, l'Oim avverte che a causa del clima ci saranno 250milioni di profughi ambientali nel 2050, il FMI ribadisce che il cambiamento climatico è una minaccia anche per la stabilità dei mercati, i capi di stato brindano per un accordo che entrerà in vigore non ora, ma tra 5 anni. Con il tempo potrebbe essere scaduto.
Per protestare contro l'accordo diverse mobilitazioni hanno attraversato oggi la blindatissima città di Parigi. Durante la mattinata oltre 3.000 persone hanno partecipato all'azione che ha prodotto sul satellite l'enorme scritta Climate Justice Peace.....
È chiaro che timidi correttivi non saranno sufficienti, e che serve invece una alternativa radicale. Per questo è molto importante che dopo Parigi l'impegno si sposti sui fronti di vertenza nazionale, contro ogni singolo impatto contaminante. Dalle infrastrutture energetiche ai nuovi campi petroliferi, al fracking, alle sabbie bituminose, alle centrali al carbone, all'incenerimento di rifiuti, alla cementificazione. Dopo le giornate di Parigi c'è bisogno di tornare ciascuno a casa e di cominciare a tessere la rete della battaglia contro la distruzione del pianeta. In Italia come negli Usa, in Nigeria, in Canada, in India e in ogni altro paese del mondo, c'è da costruire un quadro globale radicalmente alternativo fatto di migliaia di lotte territoriali.
Perché per vincere la guerra, e quella contro il cambiamento climatico lo è, bisogna vincere ogni battaglia possibile.

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