Tratto da Meteoweb
Inquinamento e malattie neurodegenerative e cardiovascolari: quando il verde ci salva la vita
Ampiamente dimostrata la correlazione tra inquinamento e proliferazione di malattie neuro-degenerative e cardiovascolari
Molti studi scientifici hanno dimostrato una forte correlazione tra esposizione alle polveri sottili inferiori di diametro a 10 micron (un centesimo di millimetro) e alcune malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson. Per particolato fine e ultrafine si definiscono le particelle inferiori o uguali a 2,5 micron e definite PM 2.5. Il particolato fine è prodotto dalle emissioni di auto, industrie e agricoltura. Possibili effetti di tossicità derivano da metalli pesanti come alluminio, rame, piombo, cobalto, cadmio, manganese, arsenico mercurio, e da pesticidi come organo fosfati e organo clorurati, antimicrobici come parabeni, clorofeni e triclosan oltre a inquinanti ambientali.
Studi sono stati svolti da ricercatori della Boston University School of Medicine e dal Beth Israel Deaconess Medical Center sempre di Boston, pubblicati sulla rivista medica Stroke, in cui emerge che il rischio di subire danni cerebrali può aumentare del 46 percento in persone che abitano in zone ad alto tasso di inquinamento. Nel 2012 un gruppo di ricercatori del Rush Institute for Healthy Aging del Rush University Medical Center di Chicago ha trovato forte correlazione tra polveri sottili e ultrasottili di 0,1 micron (un decimillesimo di millimetro) e la degenerazione delle facoltà mentali oltre i 70 anni. In un altro studio del 2015 compiuto su 95.690 anziani e pubblicato su PubMed, ricercatori della China Medical University di Taichung a Taiwan parla di un rischio di ammalarsi di Alzheimer pari al 138 percento in persone che hanno avuto una esposizione di almeno 10 anni alle polveri sottili. Sempre nel 2015 un altro studio comparso sugli Annals of Neurology, fatto da un gruppo di ricercatori di vari istituti di ricerca americani, si è dedicato all’analisi di 1403 anziani sani, senza problemi neurodegenerativi, osservando che quelli che erano stati esposti più a lungo alle polveri sottili avevano una quantità ridotta di “sostanza bianca”, ovvero i fasci nervosi che collegano l’encefalo al midollo spinale.
Maggiori sono se le esposizioni al particolato ultrafine e più gravi sono i danni al cervello, non soltanto tra gli anziani ma anche in età giovanile. Gli studi hanno dimostrato che un cervello fortemente esposto a polveri sottili mostra formazioni di placche simili a quelle dell’Alzheimer. Secondo uno studio pubblicato su Translational Psychiatry, “l’esposizione al particolato fine e le interazioni di quest’ultimo con gli alleli del gene che codifica per l’apolipoproteina E (Apo E) contribuiscono ad accelerare l’invecchiamento cerebrale e favoriscono l’insorgenza dell’Alzheimer.” Tale ricerca è stata condotta dalla University of Southern California, esaminando gli effetti neurodegenerativi dell’inquinamento. Secondo il Centro Parkinson e disturbi del movimento dell’Ircss San Raffaele di Roma ci possono essere correlazioni tra la malattia e alcuni inquinanti ai quali si è più esposti e che possono giocare un ruolo importante nell’evolversi della malattia.
Nel 2016 ricercatori dell’Università di Harvard, tramite la rivista Environmental Health Perspectives, hanno spiegato come l’aumento della concentrazione nell’aria del particolato fine e ultrafine può accrescere il rischio di ricoveri per una malattia neurodegenerativa.
In Francia, con decreto 665/2012, la malattia di Parkinson è stata inserita tra le patologie professionali agricole. Sono tanti gli studi che correlano un aumento del rischio in merito all’utilizzazione degli insetticidi organo clorurati.
Inquinamento e malattie cardiovascolari
L’esposizione all’inquinamento ambientale e al particolato atmosferico, derivati soprattutto da veicoli, pneumatici e combustioni, è associata a una maggiore percentuale di patologie cardiovascolari, come l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale, lo scompenso cardiaco e le aritmie.
Gli scienziati della Jagiellonian University di Cracovia hanno rilevato un aumento di livelli di proteina C-reattiva, omocisteina e fibrinogeno, marcatori infiammatori capaci di danneggiare cuore e arterie, nei soggetti che vivono in ambienti fortemente inquinati. Altri studi scientifici eseguiti dall’ospedale universitario di Jena in Germania hanno dimostrato una correlazione tra l’aumento del famigerato biossido di azoto e l’aumento degli infarti nella popolazione anche in zone poco inquinate e in centri medio-piccoli. La ricerca è stata pubblicata sull’European Journal of Preventive Cardiology. Il biossido di azoto è prodotto dalle auto Diesel e dai sistemi di riscaldamento domestico.
Gli scienziati della Jagiellonian University di Cracovia hanno rilevato un aumento di livelli di proteina C-reattiva, omocisteina e fibrinogeno, marcatori infiammatori capaci di danneggiare cuore e arterie, nei soggetti che vivono in ambienti fortemente inquinati. Altri studi scientifici eseguiti dall’ospedale universitario di Jena in Germania hanno dimostrato una correlazione tra l’aumento del famigerato biossido di azoto e l’aumento degli infarti nella popolazione anche in zone poco inquinate e in centri medio-piccoli. La ricerca è stata pubblicata sull’European Journal of Preventive Cardiology. Il biossido di azoto è prodotto dalle auto Diesel e dai sistemi di riscaldamento domestico.
Altri studi sono apparsi sul Journal of Occupational and Enviromental Medicine e su Circulation e confermano ulteriormente la correlazione tra particolato atmosferico e problemi cardiaci. Lo studio giapponese dell’Università di Okayama rivela che la frequenza di asistolia aumenta in corrispondenza dell’aumento di livelli di inquinanti atmosferici come particolato fine e ozono. Spiega il dott. Takashi Yorifujii, coordinatore della ricerca che “I risultati ottenuti suggeriscono che il particolato e l’ozono possono indurre arresto cardiaco con due meccanismi distinti: l’esposizione a polveri sottili può causare infarto del miocardio, mentre l’ozono può aggravare altre condizioni cardiache, aumentando indirettamente il rischio di arresto.”
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