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09 settembre 2015

GREENPEACE:L’inquinamento antropico ha raggiunto anche le vette più remote del mondo.

Tratto da Rinnovabili.it
Pubblicati nel report “Impronte sulla neve” i risultati di 2 mesi di indagini

L’inquinamento chimico raggiunge le cime dei Monti Sibillini

Prelevati campioni nelle aree montane e remote di tre continenti. Greenpeace: “Abbiamo trovato tracce di fluorocarburi in tutte le località oggetto d’indagine”. 


(Rinnovabili.it) -Non esistono luoghi incontaminati. Non più oramai. L’inquinamento antropico ha raggiunto anche le vette più remote del mondo, lasciando un segno che non sparirà così facilmente così com’è apparso. A rivelare le “Impronte sulla neve” che stiamo lasciando, è l’omonimo report di Greenpeace, frutto di due mesi di indagini sulla diffusione nell’ambiente dei PFC o fluorocarburi.
Fra maggio e giugno otto squadre di attivisti si sono lanciate all’inseguimento delle tracce dell’inquinamento chimico attraverso una serie di spedizioni in altrettante aree montane e remote di tre continenti.
Il risultato?I PFC sono presenti ovunque: le concentrazioni maggiori sono state trovate nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche, ma anche negli Alti Tatra, in Slovacchia, e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero, ma tracce di fluorocarburi sono state reperite anche nella Patagonia cilena, in Cina, Russia, Turchia e nei Paesi scandinavi.

Si tratta di composti, forse ancora sconosciuti al grande pubblico, ma ben noti al mondo industriale. I PFC sono infatti largamente impiegati in molti processi di produzione per le loro proprietà impermeabilizzanti, ma, una volta rilasciati nell’ambiente, degradano molto lentamente, restando nella forma originaria per diversi anni e disperdendosi così su tutto il globo; quelli di sintesi sono potenti gas serra e possono presentare caratteristiche di bioaccumulo. Alcuni PFC possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale, favorire la crescita di cellule tumorali e sono sospetti agenti mutageni.

Il composto registrato in maggiori concentrazioni nei campioni di neve è stato il PFNA (PFC a catena lunga), i cui valori erano compresi tra il limite minimo di rilevabilità delle apparecchiature e 0,755 ng/l: questo massimo è stato riscontrato nei campioni provenienti dal Lago di Pilato.

«Abbiamo trovato tracce di PFC nei campioni di neve raccolti in tutte le località oggetto d’indagine», afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Preoccupa che questi inquinanti pericolosi e persistenti si trovino persino nei luoghi più remoti del pianeta. Dei diciassette composti riscontrati in tutti i campioni di neve analizzati, ben quattro hanno mostrato le concentrazioni maggiori nei campioni di neve raccolti presso il lago di Pilato, tra cui il PFOS (Perfluorottano sulfonato) già soggetto a restrizioni nell’ambito della Convenzione di Stoccolma».

08 maggio 2012

Mappiamo il latte:Quanto è inquinato il latte delle mamme italiane?

Tratto da  la  Repubblica D

Mappiamo il latte 

Quanto è inquinato il latte delle mamme italiane? E perché deve preoccupare tutti?  

D.it tenta una mappatura Di Ilaria Lonigro

Ci sono cose che non andrebbero mai perse d'occhio: le api, gli anelli di un albero, il latte di una mamma. Tutte indicano con molta precisione il livello di inquinamento di una zona. E quando sono contaminate, a preoccuparsi non devono essere le api, gli alberi e le madri, ma un'intera popolazione.
Stoccolma, oltre dieci anni fa. Viene sottoscritta la Convenzione che vieta 12 inquinanti persistenti (quelli che restano nell'ambiente e negli organismi per anni), tra cui le pericolosissime diossine, a cui se ne aggiungono altri 9 nel 2009. 151 Stati da allora l'hanno ratificata. L'Italia, no. Solo nel nostro Paese, infatti, unico caso in tutta l'Unione, immettere diossine ed altri POPs (Persistent Organic Pollutants) nell'ambiente è ancora possibile.
A farlo, come risulta dal registro europeo sulle sorgenti di diossine, è soprattutto la combustione di rifiuti urbani, ospedalieri e industriali. Il caso di Montale, in provincia di Pistoia, ha dimostrato una volta per tutte la relazione tra inceneritori e contaminazione del latte materno: i profili delle molecole tossiche riscontrate nei campioni di latte erano esattamente sovrapponibili a quelli emessi dall'impianto e trovati anche nella carne di pollo.

Tra le fonti, anche le industrie che producono o lavorano metalli (rapporto INES 2006, Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) e le discariche, come ha evidenziato drammaticamente il controverso rapporto Sebiorec per la Campania. Non solo: gli inquinanti, come spiega un recente studio pubblicato su Medico e bambino, dal titolo “Breastmilk, dioxins and PCBs”, si spostano da un territorio all'altro attraverso venti e acque e sono assunti dalle persone per mezzo di alimenti contaminati, in particolare carni, pesce e derivati animali.  
Il problema, evidentemente, è di tutti.
Oltre a diossine e PCB (policlorobifenili), sono più di 300 le sostanze tossiche, di cui molte mutagene e cancerogene, che possono essere trasferite al bambino in pancia o col latte materno. Tra queste, benzene, mercurio, cadmio. I rischi di un'esposizione alle diossine, in particolare,
sono tutt'altro che da sottovalutare: tra i pericoli per il bambino, sia in pancia che una volta nato, ci sono ritardi nella crescita, anomalie del comportamento e danni neuropsichici. L'esposizione a diossine di un individuo, invece, è legata allo sviluppo di tumori, anomalie dello sviluppo cerebrale, deficit del sistema immunitario, disturbi riproduttivi, cardiovascolari, epatici, cutanei, polmonari, metabolici, endometriosi e endocrinopatie.A chiedere la ratifica della Convenzione di Stoccolma, da anni, è la Campagna Nazionale in Difesa del Latte Materno dall'inquinamento, condotta da una Giovanna D'Arco nostrana, Patrizia Gentilini. Classe '49, madre e oncologa, da anni chiede a gran voce un monitoraggio a campione del latte materno, per mappare le zone più inquinate e rendere consapevoli i cittadini “di informazioni che spesso vengono occultate, come la diffusione di diossina”. A dire quante diossine emette un'industria, infatti, è la stessa industria, tramite un meccanismo di autocontrollo che lascia molti dubbi anche nelle metodologie. Nonostante l'inquinamento, però, mette in chiaro Gentilini, è sempre preferibile allattare al seno i bambini.

Ma quanto è inquinato il latte materno in Italia? E quali sono le zone a rischio? Con l'aiuto di Patrizia Gentilini, D.it ha cercato di fare una mappatura, riunendo i (pochi) dati pubblicati recentemente, che, nella maggior parte dei casi, hanno un significato più di “case report” che di ricerca scientifica. In Italia, infatti, il monitoraggio del latte materno è lasciato troppo spesso all'iniziativa (anche economica) di cittadini preoccupati, come nel caso di Montale.
Il limite massimo di concentrazione di diossina e sostanze tossiche equivalenti (TEQ) nel latte materno è per consuetudine stabilito a 6 picogrammi per grammo di grasso e corrisponde al valore limite fissato dall'UE per il latte animale a crudo.

Nella capitale, le mamme hanno in media 20,4 picogrammi di TEQ per grammo di grasso nel latte. 
A Milano 10 picogrammi, così come a Piacenza, Giugliano, Montale e Forlì. 
A Marghera i valori oscillano tra i 25 e i 34,2 picogrammi.
A Brescia una mamma aveva 147 picogrammi di TEQ per grammo di grasso: un valore mai segnalato prima in letteratura. 
A Taranto, dove è in funzione da 50 anni l'acciaieria più grande d'Europa, che, secondo i dati INES 2006, immette in atmosfera 96,5 g di diossina all'anno (il 92% del totale di diossina immessa in Italia dai grandi impianti), il valore medio è di 23,41 picogrammi per grammo di grasso, ma l'apice ha toccato i 39,99 picogrammi.
Infine a Caserta si è registrato un valore medio di 12,1 picogrammi di TEQ per grammo di grasso.
 
(07 maggio 2012)
Leggi e guarda  i video 

La campagna in difesa del latte materno dagli agenti inquinanti

NON LASCIARE ALLA SORTE IL DESTINO DI TUO FIGLIO.......

26 luglio 2011

Inquinamento da policlorobifenile e A.I.A.

Tratto da Noalcarbone INTERESSANTE ARTICOLO PER GLI ADDETTI AI LAVORI:LO PUBBLICHIAMO INTEGRALMENTE
27 luglio 2011

Inquinamento da policlorobifenile e A.I.A.

Interessante articolo da Agoramagazine, su una sostanza inquinante per la cui immissione nell'ecosistema dobbiamo ringraziare in primis la combustione del carbone.

"Dodici dei 209 congeneri dei PCB, i cosiddetti coplanari, hanno caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche equiparabili alle diossine e ai furani, e vengono denominati PCB dioxin-like (simili alle diossine), riconoscibili con la sigla PCBdl. I PCB sono classificati come POP, ossia inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants) perché sono tossici, si bioaccumulano e sono in grado di provocare gravi danni alla salute umana o all’ambiente, sia vicino che lontano dalla fonte di emissione.

Il bioaccumulo delle sostanze tossiche può avvenire o direttamente dall’ambiente, o attraverso l’ingestione lungo la catena alimentare. Si parla di biomagnificazione se la sostanza tossica viene ingerita con gli alimenti, diversamente si parla di bioconcentrazione. La tutela della salute e la salvaguardia ambientale, sul piano normativo, sono perseguite recependo direttive e raccomandazioni della UE, e sono state recepite nell’ordinamento giuridico italiano attraverso il DPR 206/88 e il D.Lgs. 209/99, inoltre vietano la commercializzazione e l’uso delle apparecchiature contenenti PCB.

Sul piano internazionale è di rilevante importanza la Convenzione di Stoccolma, adottata nel 2001 e in vigore dal 2004: si prefigge di ridurre o eliminare scarichi, emissioni e perdite di inquinanti organici persistenti. Il nostro Paese non ha ancora ratificato tale Convenzione, che si basa sul principio di precauzione. La Convenzione si pone l’obiettivo della messa al bando dei seguenti 12 POP (la sporca dozzina):

l’aldrin
-il clordano-il DDT-il dieldrin-l’endrin-l’eptacloro-il mirex-il toxafene
i PCB-l’HCB-le diossine-i furani.

Lo strumento normativo utilizzato per la gestione dei PCB è l’autorizzazione integrata ambientale (dlgs 59/2005), e per le emissioni in atmosfera , la parte V del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Con il DM 29 gennaio 2007 sono state emanate le linee guida per il trattamento dei PCB, degli apparati e dei rifiuti contenenti PCB e per gli impianti di stoccaggio.

Le linee guida, o in loro mancanza i Brefs Comunitari, riguardano le raffinerie di petrolio e di gas, la produzione e trasformazione di metalli ferrosi (che comprendono le cokerie, gli impianti di produzione di ghisa e acciaio, le fonderie, gli impianti di trasformazione dei metalli ferrosi, di produzione e trasformazione di metalli non ferrosi e in materia di fusione e lega di metalli non ferrosi , di impianti di decontaminazione degli apparecchi contenenti PCB e per gli impianti di stoccaggio).

Il primo inventario europeo dei PCB, per il 1990, elenca le seguenti fonti di emissione:

combustione del carbone
fusione dell’acciaio
sinterizzazione
incenerimento dei rifiuti
apparecchiature elettriche (condensatori e trasformatori.).

La serie storica 1990 – 2006, delle emissioni di PCB in Italia, evidenzia come le emissioni di PCB siano in aumento, e il contributo principale derivi dalla combustione per la produzione di energia, calore e industria di trasformazione, e in particolare dalla produzione di energia e dalla combustione non industriale, per poi passare al contributo della produzione industriale, in particolare le emissioni dalla produzione di acciaio, sia con forno ad ossigeno che con forno elettrico.

L’analisi della serie storica evidenzia come la riduzione delle emissioni dalla combustione industriale venga bilanciata dall’aumento delle emissioni da incenerimento rifiuti; le emissioni totali di PCB tendono comunque ad aumentare negli ultimi anni, soprattutto in considerazione del contributo delle emissioni dalla produzione dell’acciaio. Il 36% delle emissioni di PCB deriva dalle centrali elettriche a carbone, seguita da un 29% dalla produzione di acciaio in forni elettrici, dal 17% sempre dal settore processi con la produzione di acciaio da forni BOF, un 10% dalla combustione dei rifiuti.

Altre fonti di contaminazione, sono la concimazione dei terreni con fanghi provenienti dalla depurazione di acque di scarico, la combustione di oli usati, le riserve di PCB nei sedimenti marini, fluviali e nei fanghi di dragaggio dei porti. La direttiva 96/59/CE disciplina lo smaltimento dei policlorobifenili e dei policlorotrifenili, prescrivendo l’eliminazione dei PCB (31/12/2010). Una deroga alla scadenza del 2010 concerne gli apparecchi i cui fluidi contengano concentrazioni di PCB inferi a 50 ppm (0,005%), consentendone lo smaltimento al termine della loro vita operativa. La direttiva introduce il censimento obbligatorio degli apparecchi contenenti PCB in percentuale superiore allo 0,005%, e che abbiano un volume superiore ai 5 dm3; promozione della revisione e decontaminazione degli impianti e delle apparecchiature contenenti PCB, ancora in esercizio.

La direttiva è stata recepita in Italia attraverso il DLgs 209/1999, che fissa le scadenze per l’eliminazione dei PCB attraverso lo smaltimento e la decontaminazione. Lo stesso decreto impone a tutti i detentori di apparecchi contenenti PCB, per un volume superiore a 5 dm3 (ovvero contenenti più di 5 l di olio contaminato), di darne comunicazione di possesso alle Sezioni del Catasto Rifiuti delle Regioni. Lo strumento dell’AIA, il Catasto Rifiuti Regionale e gli strumenti di Pianificazione ambientale, come i Piani di Tutela e di Risanamento della Qualità dell’Aria e dell’Acqua, dovrebbero consentire di perseguire la tutela ambientale con lo sviluppo economico.

Relativamente alle prerogative che sono riconosciute all’ente locale, è sufficiente citare la grande forza normativa, che a esso deriva, dall’art 5 comma 11 del DLgs 59/2005, che disciplina l’AIA. Tale norma riconosce al Sindaco di fare acquisire in sede di Conferenza dei Servizi per la concessione dell’AIA le prescrizioni di cui all’art 216 e 217 del regio decreto 1265 /1934. L’art 216 del testo unico delle leggi sanitarie stabilisce particolari cautele per le difese dalle lavorazioni insalubri, e cioè per le “manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti”.

Queste lavorazioni sono divise in due classi: nella prima sono comprese le attività che devono “esser isolate e tenute lontane dalle abitazioni”, a meno che il titolare non “provi che per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato”. Il Regolamento generale sanitario, approvato con R.D. 45/10901 (tuttora vigente), prescrive che il Ministero della Salute ogni tre anni riveda l’elenco delle fabbriche che spandono esalazioni insalubri o che possono essere pericolose alla salute degli abitanti.

In base a tale elenco, la giunta comunale procede, su richiesta della ASL, alla classificazione degli stabilimenti esistenti sul territorio e determina se quelli “compresi nella prima classe siano sufficientemente isolati dalle campagne e lontani dalle abitazioni e se per gli altri siano adottate le cautele speciali necessarie ad evitare nocumento al vicinato”. Insomma, queste attività devono stare fuori da “qualsiasi nucleo urbano”. In proposito, il Ministero della Salute ha precisato che l’obbligo si intende adempiuto quando l’industria si trova a un a distanza tale da non far risentire i suoi effetti alle abitazioni limitrofe.

Per il TAR Veneto sono sufficienti 250 metri mentre per quello della Liguria 100 metri. L’art 217 statuisce invece che “quando vapori, gas o altre esalazioni …..provenienti da manifatture o fabbriche possano riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica , il sindaco prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficacia “. Questo è un potere-dovere del Sindaco valido per ogni attività lavorativa . Il Consiglio di Stato con sentenza 532/1987 così si esprime “il potere di prescrivere le norme da applicare per prevenire o ridurre il danno o il pericolo per la salute pubblica derivante dall’attività di manifatture o fabbriche, attribuito all’autorità comunale dagli art 216 e 217 del T.U. leggi sanitarie, non è condizionato dall’onere di preventive diffide o contestazioni agli interessati…., ma comporta per il comune il potere-dovere di accertare in ogni singolo caso quali attività possano recare in concreto danno o pericolo alla salute pubblica, e di adottare in conseguenza i provvedimenti inibitori”.

L’art 8 invece del DLgs 59/2005 riconosce la necessità di valutare tutte le emissioni che riguardano un territorio e la possibilità di stabilire norme di emissioni più rigorose per il rispetto delle norme di qualità ambientale. Queste ultime Norme derivano dai richiamati Piani di Tutela della Qualità dell’Aria e dell’Acqua. Alla fine il potere delle istituzioni locali è a mio giudizio rilevante nel bilanciamento degli interessi in campo.

11 gennaio 2011

1)Dott.ssa Patrizia Gentilini:Diossina e salute...2)Salute-lavoro, baratto assurdo l'amara lezione di Taranto 3)Porto di Genova: Centrale Enel addio

Tratto da Associazione differenziati

Dott.ssa Patrizia Gentilini.

Diossina e salute: riflessioni di un medico .

GRAZIE ALL’ESTENUANTE OPERATO (LEGALE, DI INFORMAZIONE ECONOMICO/SCIENTIFICA, DI MOBILITAZIONE CIVILE E DI ALTERNATIVE PROPOSTE) DEI MOVIMENTI CITTADINI, L’INCENERITORE DEI CASTELLI ROMANI E’ STATO BOCCIATO DAL TAR DEL LAZIO.

Riceviamo anche noi (unitamente alla stampa) una lettera della Dott.ssa Patrizia Gentilini (ISDE). Ne diamo ovviamente piena diffusione. Buona lettura.

Gentile Direttore,

con il recente scandalo di polli e uova tedesche alla diossina si ripropone ormai un rituale ricorrente e costante circa la sicurezza alimentare (ricordiamo le mozzarelle campane, le pecore pugliesi, i suini irlandesi, i polli toscani) e che – proprio per queste sue caratteristiche – rischia di passare, come una notizia fra le tante, cui non si dedica l’attenzione che merita.

Col termine diossina si intende la TCDD (2,3,7,8–tetraclorodibenzo-p-diossina), nota come “diossina di Seveso” a causa dell’incidente occorso a Seveso nel 1976, pericolosa a dosi infinitesimali (miliardesimi di milligrammo) e che è stata definita la sostanza più pericolosa mai conosciuta; affini a questa molecola ve ne sono tuttavia altre centinaia, con caratteristiche simili per cui si parla genericamente di “diossine”. Senza entrare troppo nei particolari ricordo che si tratta di molecole particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente; nell’uomo la loro assunzione avviene per oltre il 90% per via alimentare, specie attraverso pesce, latte, carne, uova e formaggi in cui si accumulano essendo liposolubili.

Vengono trasmesse dalla madre al feto sia durante la gestazione che attraverso l’allattamento; a questo proposito dai pochissimi studi eseguiti- spesso per iniziativa spontanea dei cittadini sul latte materno, risulta che un lattante di di 5 kg si trova ad assumere quote di diossine variabili da alcune decine fino a centinaia di volte superiori al limite massimo indicato dall’UE.

Le diossine rientrano nel grande gruppo di sostanze denominate interferenti endocrini, agenti cioè che mimano l’azione degli ormoni naturali interferendo e disturbando funzioni complesse e delicatissime quali quelle immunitarie, endocrine, metaboliche e neuropsichiche. L’esposizione a diossine è correlata allo sviluppo di tumori (per la TCDD, linfomi, sarcomi, tumori a fegato, mammella, polmone, colon) nonchè a disturbi riproduttivi, endometriosi, anomalie dello sviluppo cerebrale, diabete, malattie della tiroide, danni polmonari, metabolici, cardiovascolari, epatici, cutanei e deficit del sistema immunitario. Forse non tutti sanno che trattandosi di sostanze così pericolose nel 2004 è stata stilata a Stoccolma una convenzione, sottoscritta da 120 paesi fra cui l’Italia, per vietare la produzione intenzionale ed imporre la riduzione di quella non voluta, peccato che il nostro paese sia stato l’unico a non averla poi ratificata! Queste sostanze si formano in particolari condizioni di temperatura in presenza di Cloro per cui ogni processo di combustione, in particolare di plastiche, porta alla loro formazione e sono presenti non solo nei fumi ma anche nelle ceneri degli inceneritori. A questo proposito segnalo l’ennessimo, recentissimo, studio (1) che correla queste sostanze emesse da inceneritori ai linfomi Non Hodgkin.

Lo studio è stato condotto in Francia su 34 pazienti affetti da linfoma residenti nell’area di ricaduta dell’inceneritore di Besancon e su 34 sani . In tutti sono stati dosati nel siero queste sostanze trovando livelli sempre più alti e statisticamente significativi nelle persone esposte. Peccato che nello studio Moniter, quello condotto dalla regione Emilia Romagna per valutare le ricadute degli 8 inceneritori presenti sul territorio, le diossine non siano state ricercate dove queste si accumulano, ovvero su matrici biologiche, nè tanto meno nel corpo delle persone o sul latte materno delle mamme esposte! Tuttavia, anche quando le diossine sono state ricercate e trovate, come nelle indagini eseguite in seguito allo sforamento del 2007 dell’inceneritore di Montale, indagini -ricordo- che hanno dimostrato in ben 6 su 10 campioni di polli, livelli ben oltre i limiti di legge, nessuna ordinanza di divieto al consumo è stata emanata, prassi consolidata in situazioni analoghe. Ricordo che nei due mesi di funzionamento, da maggio a luglio 2007, si può stimare che dall’inceneritore di Montale (facendo una media dei valori emersi dalle analisi) siano stati emessi oltre 50 milioni di nanogrammi di diossine, ovvero quanto l’impianto avrebbe potuto emettere in 14 mesi di attività e pari alla dose massima tollerabile per circa un milione di individui adulti in un intero anno.

Ma torniamo all’attuale scandalo, che si presta ad alcune considerazioni interessanti. Innanzi tutto esso viene fatto risalire alla somministrazione di mangimi contaminati da oli industriali ed altri inquinanti ai poveri animali, ma questo rischia di oscurare una altra recente notizia comparsa in precedenza (clicca qui) circa la contaminazione, oltre i limiti consentiti dalla legge, di ben il 28% di polli allevati all’aperto in Germania – che, lo ricordiamo, è il paese che ha il maggior numero di inceneritori, acciaierie ed impianti industriali in Europa-, quindi polli “ruspanti”, quelli che siamo abituati a considerare i più sicuri perchè allevati in modo naturale. Questo dato deve fare molto riflettere, perchè parlare solo dei polli contaminati per colpa dei mangimi e non anche di quelli esposti alle ricadute di acciaierie, inceneritori ed altri impianti produttori di diossine, rischia di non mettere sufficientemente a fuoco le conseguenze che uno “sviluppo” industriale dissennato ha comportato, quasi questo fosse meno colpevole di chi ha deliberatamente nutrito gli animali con mangimi contaminati.

Nel primo caso la colpa è infatti dell’ “ambiente”, ovvero di una entità che ci può apparire astratta ed il cui stato non viene percepito come una diretta conseguenza di assurdi comportamenti umani. Non credo ci voglia molto a capire che avere distrutto la civiltà contadina, avere avvelenato il territorio con pesticidi e con le ricadute di impianti assurdi ed inquinanti come gli inceneritori non solo arreca incalcolabili danni all’ambiente e alla salute, ma mina la possibilità stessa di sopravvivenza delle generazioni future.

.........

Tutte queste riflessioni vogliono ancora una volta ribadire il concetto che è arrivato il momento del cambiamento, dobbiamo riconoscere il fallimento del modello di sviluppo dell’attuale società che evidentemente non si cura delle conseguenze delle proprie scelte e che è arrivata perfino a contaminare le basi stesse dell’alimentazione inquinando anche l’alimento più prezioso al mondo: il latte materno!

Preoccuparsi dell’infanzia e delle possibità di sopravvivenza delle generazioni future dovrebbe essere al primo posto nei pensieri di una comunità civile.

Cordiali saluti.

Patrizia Gentilini – Medico oncologo ed ematologo

Leggi l'articolo integrale

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Tratto da La Repubblica


Salute-lavoro, baratto assurdo
l'amara lezione di Taranto

A lungo tra le città più inquinate d'Europa per colpa della più estesa acciaieria del continente. L'emergenza diossina è finalmente sotto controllo. La conta dei danni però è ancora tutta da fare e resta l'allarme per il benzopirene. "Per anni hanno cercato di eludere il problema"dal nostro inviato ANTONIO CIANCIULLOMa il decreto ferragostano con cui il governo ha rimandato al 31 dicembre 2012 la scadenza per il tetto più cautelativo per il benzopirene (1 nanogrammo per metro cubo) ha riacceso le polemiche nella città che si trova in prima linea sul fronte della lotta contro questo cancerogeno. E i Verdi hanno lanciato unaclass actionchiedendo danni per 3 miliardi di euro per le vittime dell'inquinamento a Taranto: "Ormai la diossina è nel terreno, è entrata nella catena alimentare e continua a mietere vittime".Leggi l'articolo integrale-------------------------------------------

TRATTO DAL BLOG DEL COMITATO PER TARANTO

FABIO MATACCHIERA A FABIO RIVA

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Tratto da "Il Giornale"

Porto di Genova: Centrale Enel addio

La centrale a carbone del porto di Genova sarà dismessa definitivamente entro il 2017. Già dal prossimo anno inizieranno le prime fasi di chiusura, fermo restando che sarà salvaguardata l'occupazione dei 200 addetti, tra dipendenti diretti e indotto, che attualmente operano presso la centrale Enel.
"L'impianto è ormai obsoleto - spiega Carlo Senesi, assessore alle politiche energetiche del comune di Genova -, e non c'è possibilità di intervenire per rinnovarlo, anche per problemi di spazio".
L'azienda, in una nota scritta, si dice soddisfatta dell'accordo stipulato con le istituzioni, anche per quanto riguarda la riduzione delle emissioni, che sarà conseguita attraverso l'utilizzo di combustibile a bassissimo contenuto di zolfo e particolari accorgimenti tecnico-gestionali.
La Liguria produce più energia di quanto non ne consumi , spiega ancora l'assessore , in questo senso la centrale a carbone non è più strategica per la nostra regione.