Rinnovabili, : se non ora, quando?
La crisi politica in Ucraina ha riproposto per l’ennesima volta la questione della dipendenza energetica dell’Unione Europea che importa da paesi terzi il 56% circa dell’energia primaria di cui ha bisogno. Fanalino di coda dell’Unione è l’Italia che, con oltre l’80% di dipendenza energetica, assomiglia più a un castello costruito sulle sabbie mobili che a una roccaforte da G8. Certo, non sarà la crisi in Crimea a farci mancare il gas: nessuno ha interesse a tenerlo per sé, una volta soddisfatti i propri fabbisogni. Ma le velate minacce di Putin in questo frangente hanno messo in risalto come la dipendenza energetica sia anche, in un certo modo, dipendenza politica: “Energia è potere”, diceva Hillary Clinton e qui calza a pennello.
A questo quadretto non proprio idilliaco si aggiunge l’andamento generale dei costi del fossile che, per quanto altalenante, ha avuto negli ultimi anni un’evoluzione in salita, con immediati riflessi sui costi delle nostre bollette elettriche.
Ciò non bastasse si pone altresì l’incertezza degli approvvigionamenti futuri: per quanto ne avremo ancora? E se anche ne avremo, a quale costo? Parliamo volutamente di costo, non di prezzo, perché oltre ai $ al barile da pagare - il prezzo - avremo da affrontare i costi ambientali, i costi sociali, i costi di salute delle conseguenze di un utilizzo sfrenato delle fonti fossili.
Sono le famose esternalità negative: non contemplate nel prezzo al barile o nel kWh, ma comunque da pagare o scontare.
Sono le famose esternalità negative: non contemplate nel prezzo al barile o nel kWh, ma comunque da pagare o scontare.
E non sono fantasie: il clima parla da sé e l’ultimo rapporto IPCC lo conferma. Chi si sobbarcherà i costi dei disastri ambientali? Di un’aria irrespirabile? Delle migrazioni in massa dovute ai disastri naturali, dove al dramma ambientale si unisce il dramma umano? E parliamo solo di ciò che già tocchiamo con mano. Per non parlare dei vari disastri in stile Delta del Niger: lontano dagli occhi, lontano dal cuore, recita una canzone, ma non vederli non significa né che non esistono, né che non ne siamo in parte responsabili.
Un problema complicato, quello della dipendenza energetica, a cui sono legati tanti aspetti sociali, umani, ambientali. Eppure vi sarebbe una soluzione semplice:sovranità energetica per tutti. Possibile? In buona sostanza la risposta è senz’altro affermativa, ma deve necessariamente passare per una fonte energetica diversa, disponibile a tutti, indipendentemente dalla propria posizione e potenza politica, in relazione alla propria geografia e vocazione territoriale; una fonte pulita, a basse o nulle emissioni di carbonio; una fonte che non spinga nessuno a depredare altri paesi e soprattutto una fonte inesauribile.
Fantasia? Non proprio: le fonti rinnovabili possono rappresentare una valida soluzione in termini di sostenibilità ambientale, giustizia sociale, indipendenza energetica, fattibilità tecnologica. Vento, sole, acqua, geotermia e biomasse non hanno mai causato guerre. Nemmeno la paventata concorrenza con la produzione alimentare si è rivelata fondata: in Italia il fotovoltaico a terra occupa non più dello 0,8% dei territori nazionali. Per contro, la cementificazione ha portato via all’agricoltura 720 kmq negli ultimi tre anni. Per quanto riguarda invece l’utilizzo delle biomasse, esso è sempre più indirizzato verso lo sfruttamento razionale di scarti e sottoprodotti agricoli.
Nonostante la giovane età, le tecnologie rinnovabili, giusto per citare qualche dato, hanno dimostrato di poter produrre 106,8 TWh elettrici (anno 2013) in un paese industrializzato come l’Italia, di poter occupare nel 2012 in Germania 377.800 persone (che non ha visto abbassarsi il suo PIL per colpa delle rinnovabili, anzi…) e di poter attrarre investimenti in una nazione potente e in crescita come la Cina. E relativamente ai costi si parte con un vantaggio: la materia prima rinnovabile è spesso gratuita (sole, acqua, vento). Interventi strutturali che consentano di ridurre i costi della generazione e della distribuzione dell'energia devono fare il resto.
Ma la transizione energetica verso un sistema che porti alla sovranità dei popoli e alla conseguente giustizia sociale, alla sostenibilità ambientale, alla sicurezza nell’approvvigionamento va cercata e soprattutto pianificata, innanzitutto dalla politica. È per questo che a tutti, ma soprattutto alla politica, responsabile del bene pubblico, con questo libro viene rivolto un appello: i tempi sono maturi per la transizione energetica, abbiamo le motivazioni e gli strumenti per condurla. Se non ora, quando?
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