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19 marzo 2016

Al referendum sulle trivelle del 17 aprile VOTA SI' . Si' un voto contro l’ipocrisia politica.

Tratto da  Greenreport

Referendum 17 aprile, sulle trivelle un voto contro l’ipocrisia politica

Ma allora, perché votare? La risposta è politica. Questo referendum darà un segnale importante alla politica italiana su quale sia la volontà dei cittadini in merito alla questione energetico ambientale. Ed è solo una battaglia all’interno della guerra al fossile. 


Quante concessioni sono?
Il referendum del 17 aprile ci chiederà di annullare il rinnovo delle sole concessioni minerarie esistenti all’interno delle dodici miglia dalla costa. Queste concessioni hanno allo studio progetti di rinnovo che altrimenti porterebbero allo sfruttamento fino all’esaurimento totale della risorsa. Con il sì, non si aspetterà l’esaurimento della risorsa ma semplicemente la scadenza della concessione. Per quanto riguarda le nuove concessioni così vicine alla costa, queste già dal 2013 sono state vietate.
Le concessioni esistenti entro le 12 miglia sono circa 20 (spesso una concessione fa riferimento a più pozzi,Figure 1): la maggior parte di esse riguarda l’estrazione di gas rispetto a quelle di petrolio, e le tre di maggiore rilievo sono il giacimento Guendalina (Eni) nel Medio Adriatico, il giacimento Gospo (Edison) davanti all’Abruzzo e il giacimento Vega (Edison) al largo di Ragusa1. Le loro chiusure sarebbero progressive, al termine della data di scadenza delle concessioni e prevedibili entro i cinque – dieci – quindici anni.
Quanto pesano sulla bilancia energetica?
Molto poco. Senza entrare nella guerra di numeri attualmente in atto, l’Italia produce circa il 10% del gas e del petrolio che consuma; queste trivelle sono solo una parte della produzione, in rispettivamente del 2,1% per il gas e dello 0,8% per il petrolio2. Tutti contro le fossili, ma solo quando saranno esaurite
La dipendenza della nostra economia dalle fonti fossili non può essere eliminata, non nel breve termine, ma nemmeno si può tacere sull’ipocrisia della politica, che da oltre venti anni firma carte e fa promesse (da Kyoto 1994, alla Cop21 dello scorso dicembre) senza poi di fatto rallentare l’estrazione di risorse non rinnovabili e climalteranti. Anzi. Il decreto Sblocca Italia, di fatto, facilita la ricerca e l’ottenimento di nuove concessioni di coltivazione, trasferendo il potere autorizzativo dalle regioni al governo centrale. Di questi aspetti, infatti, trattavano gli altri cinque quesiti referendari proposti e poi bocciati dalla Corte Costituzionale3.
PERCHE' VOTARE ?
In definitiva, l’esito del referendum non altererà il prezzo dell’energia né distruggerà un settore occupazionale come spesso si sente dire dal fronte del no, e nemmeno ridurrà così sensibilmente il rischio da incidenti né influenzerà il settore turistico del paese. Altro effetto, probabilmente, avrebbe avuto una votazione di tutti e sei i quesiti proposti. Quindi, in un’ottica di graduale transizione verso un altro modello energetico, una manovra come quella proposta dal referendum sembra un cauto segnale di frenata. Niente a che vedere con la portata di un referendum contro il nucleare, il cui omologo nel campo degli idrocarburi sarebbe la proposta di moratoria delle trivellazioni nel Mediterraneo4. Ma allora, perché votare? La risposta è politica. Questo referendum darà un segnale importante alla politica italiana su quale sia la volontà dei cittadini in merito alla questione energetico ambientale. Soprattutto,
una sconfitta dei sì equivale a consegnare il paese alla strada del fossile, già segnata verso la massimizzazione dello sfruttamento dallo Sblocca Italia5.
La possibilità di scegliere che ci viene concessa è molto limitata, ma andando a votare in massa il segnale ai governanti andrà oltre la posta in palio. Ed è solo una battaglia all’interno della guerra al fossile. Anche in futuro ci sarà da tenere la guardia ben alta in tema energetico.

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