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24 gennaio 2016

Petrolio e Borsa: un avvertimento sulla bolla del carbonio (carbon bubble)

Stralcio da QualEnergia

Petrolio e Borsa: un avvertimento sulla bolla del carbonio

Il prezzo del barile è ai minimi degli ultimi 12 anni, con diverse conseguenze per l'economia mondiale. Per il FMI sono più negative che positive. Un assaggio di quella "carbon bubble" il cui scoppio sarà disastroso se non si abbandoneranno al più presto gli investimenti in fossili.
    ........Un monito ad abbandonare le fossili
Uno scenario che sembra dare un assaggio di quanti da tempo parlano di "bolla del carbonio", cioè del rischio che gli investimenti in fonti fossili si trasformino in asset impossibili da valorizzare a causa della transizione energetica necessaria a combattere il global warming.
I prezzi del petrolio attuali, oltre che da cause congiunturali come il rallentamento economico e il rientro in gioco dell'Iran, d'altra parte, potrebbero avere in parte anche una natura strutturale: dipendono da un'economia sempre meno energy intensive e che si sta lentamente affrancando dalle fossili. Il terremoto economico attuale legato al petrolio low-price è dunque un avvertimento di quel che potrebbe succedere se non si smetterà presto di investire in fonti fossili.
     Se scoppia la bolla del carbonio
La transizione energetica, infatti, verosimilmente impedirà di far fruttare adeguatamente gran parte degli asset in miniere e trivelle: se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%.
Una bolla sulla quale stanno mettendo in guardia da tempo, oltre agli ambientalisti, i report di gruppi bancari e analisti come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s.
Se non ci si muove già ora per cercare un atterraggio morbido gli effetti economici potrebbero essere disastrosi, visto che la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse al momento ha un ruolo molto importante - dal 20 al 30% in piazze come Londra, Mosca, Toronto e San Paolo - e che nelle fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione: circa il 72% delle riserve mondiali di petrolio, il 73% di quelle di gas e il 61% di quelle di carbone sono possedute o controllate indirettamente dalle nazioni.Leggi tutto

04 febbraio 2013

La finanza, i grandi dell'energia fossile: attenzione alla bolla della CO2

Tratto da Qualenergia

La finanza, i grandi dell'energia fossile e l'allarme di HSBC: attenzione alla bolla della CO2

Un report della banca mette in guardia dagli investimenti in fonti sporche: se la comunità internazionale terrà fede all'impegno di fermare il riscaldamento globale entro i 2 °C, il valore delle azioni delle grandi coorporation delle fonti fossili crollerà del 40-60%. Per contenere il colpo meglio disinvestire subito dal settore dell'energia ad alte emissioni.
 
La chiamano la 'bolla della CO2' e quando scoppierà potrà avere effetti catastrofici per l'economia mondiale: quantità di denaro enormi potrebbero volatilizzarsi perché investite in risorse, le fonti fossili, che non si potranno sfruttare se si vuole evitare il disastro climatico. Un rischio di cui ora si sta rendendo conto sempre più chiaramente anche il mondo della finanza, che in questi ultimi anni non ha certo brillato per lungimiranza, impegnato com'è a seguire profitti a breve termine. L'allarme più recente sulla cosiddetta carbon bubble arriva da un report di uno dei più importanti gruppi bancari al mondo, HSBC.
Se la comunità internazionale dovesse tener fede agli impegni presi per fermare il riscaldamento globale entro la soglia critica dei 2 °C, vi si legge, il valore delle azioni delle grandi aziende delle fonti fossili potrebbe crollare del 40-60%....

Stando alle stime della International Energy Agency, infatti, per avere almeno il 50% di possibilità di contenere il riscaldamento globale entro i 2 °C, fermando l'aumento della concentrazione della CO2 a 450 ppm, circa un terzo delle riserve di fonti fossili provate attuali dovrebbe essere lasciata sotto terra (l'80% per avere possibilità maggiori di evitare il disastro, vedi sotto). Facile capire l'impatto che questo può avere su molte aziende: secondo HSBC ad esempio la norvegese Statoil vede a rischio di inutilizzabilità il 17% delle sue riserve, BP il 6%, Total il 5% e Shell il 2%. Ma l'”unburnable carbon cioè le riserve che non si potranno bruciare, sono solo una parte del rischio economico: il resto lo farà il calo della domanda prevedibile se si proseguirà nella transizione energetica necessaria, che porterà a prezzi più bassi.
Secondo lo scenario low carbon della IEA tra il 2010 e il 2035 la domanda di carbone dovrà diminuire del 30%, quella di petrolio del 12%, mentre quella di gas crescerà lentamente. Se ciò avverrà si inizieranno a cancellare molti progetti di estrazione, a partire dai più costosi e rischiosi. Sarà molto improbabile che si realizzino progetti per estrarre petrolio a più di 50 dollari al barile, stima HSBC, mettendo così in dubbio il futuro di sabbie bituminose e estrazioni in acque profonde....
Il risultato di tutto questo potrebbe appunto essere il crollo dal 40 al 60% del valore di mercato degli asset delle grandi aziende delle fonti fossili. Uno scenario preoccupante per l'economia mondiale visto che si parla di colossi aziendali: BP ad esempio vale circa 141,5 miliardi, Shell 231 miliardi, Statoil 83,3. Crediamo che gli investitori non abbiano ancora valutato bene questo rischio, forse perché sembra così spostato nel tempo”, fanno notare da HSBC. .....
In realtà lo scenario dipinto HSBC, forse il primo concepito da una banca d'investimento (anche se già diversi fondi d'investimento verdi hanno lanciato l'allarme della carbon bubble, vedi QualEnergia.it) è quasi ottimistico rispetto a un altro studio sulla bolla della CO2 di cui avevamo già parlato su queste pagine, cioè quello realizzato dall'Ong Carbon Tracker Initiative (QualEnergia.it, Gli investimenti in fonti fossili saranno i prossimi subprimes?)............
Quale dei due scenari si verificherà dipenderà ovviamente dalla volontà politica di tagliare la CO2, volontà che sarà ovviamente condizionata anche dal potere della lobby e di chi ha investito in fossili. Ma anche l'impatto che il crollo degli asset  ad alta intensità di CO2 avrà sull'economia mondiale potrà essere diverso: quanto più in fretta si ridurranno gli investimenti nelle fonti sporche (come propone di fare ad esempio il movimento dal basso “Let’s divest from fossil fuels!”, vedi QualEnergia.it) tanto più facile sarà reggere il colpo.
Se invece si sottovaluterà questo rischio, quando si scoprirà che gran parte degli investimenti in fossili non si potranno incassare, le conseguenze a catena per l'economia mondiale potrebbero anche essere catastrofiche........ Leggi l'articolo integrale

18 febbraio 2012

Se scoppia la bolla della CO2 ..............le fossili come i subprimes

 DEDICATO A COLORO  CHE  PER NOI VOGLIONO A TUTTI I COSTI ALTRI 50 ANNI DI CARBONE..........

Tratto da Qualenergia

Se scoppia la bolla della CO2, le fossili come i subprimes

Gli investimenti ad alta intensità di gas serra, fonti fossili in primis, potrebbero essere i nuovi mutui subprimes e minare alle fondamenta la stabilità finanziaria dell'intero sistema economico mondiale. E' il pericolo “carbon bubble”, la bolla della CO2 che potrebbe scoppiare con conseguenze difficili da calcolare. Su queste pagine lo abbiamo raccontato più volte e anche nel mondo finanziario si è sempre più coscienti di questo rischio. In questi ultimi giorni, in contemporanea, da una parte un grande gruppo di investitori si sta rivolgendo alla Banca Centrale Europea proprio per richiamare l'attenzione sul problema, mentre dall'altra Al Gore e l'ex-dirigente Glodman Sachs, David Blood, mettono in evidenza il rischio “carbon bubble” tra i punti principali del loro “manifesto per un capitalismo sostenibile”.
Cos'è la “bolla della CO2”? Per semplificare è il fatto che una grossa fetta della capitalizzazione dell'economia mondiale è basata su investimenti che non posson dare frutti se si vorranno evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico. Asset, spesso in mano anche a grandi fondi pensione e Stati, che in pratica potrebbero rivelarsi fasulli.
Una quantità enorme di denaro è infatti impegnata in carbone, petrolio e gas che in futuro probabilmente non potranno essere estratti: con le politiche necessarie a limitare il riscaldamento globale, circa l'80% delle riserve su cui si è finora investito infatti non potrà essere sfruttato (vedi Qualenergia.it). Questo significa che si stanno trattando come asset riserve che sono pari a 5 volte il budget che si potrà usare nei prossimi 40 anni. Poiché la capitalizzazione legata alle risorse fossili su varie Borse ha un ruolo molto importante (20-30% in Borse come quella australiana, Londra, Mosca, Toronto e San Paolo), le conseguenze a catena per l'economia mondiale potrebbero anche essere catastrofiche quando si scoprirà che gran parte di quegli investimenti valgono poco o nulla.
Un concetto che in questi giorni ritorna in avvertimenti che provengono dallo stesso mondo della finanza. “Dato che non se ne conosce il vero valore, questi asset obsoleti hanno il potenziale per ridurre il valore a lungo termine non solo di compagnie a ma di interi settori”, si legge nel manifesto di Al Gore e David Blood (vedi allegato) che hanno dato vita a un fondo di investimenti “verdi”, il Generation Investment Management. “Esattamente quello che è successo quando il reale valore dei mutui subprimes è stato riconosciuto”, dicono i due.
Finché non ci saranno politiche che stabiliscano chiaramente e universalmente un prezzo da pagare per le esternalità negative, emissioni in primis, sarà molto difficile quantificare l'impatto che questi asset “fasulli” potranno avere sull'economia, si spiega.
La stessa preoccupazione è espressa nella lettera che gli investitori dei fondi Aviva Investors e Climate Change Capital si stanno preparando a spedire a Mario Draghi alla BCE, dopo aver già scritto nelle settimane scorse alla Bank of England (vedi secondo allegato). Si parla di “rischio sistemico per la stabilità finanziaria” dovuto all'alta concentrazione di investimenti ad alta intensità di CO2 in Europa. “L'entità della nostra esposizione finanziaria collettiva a investimenti dedicati all'estrazione, ad alta intensità di emissioni e ambientalmente non sostenibili, può divenire un grosso problema nella transizione all'economia low-carbon”.
“Sia nell'FTSE 100 che nel CAC 40, due tra i più importanti indici azionari nell'Unione europea - spiegano gli investitori - le compagnie specializzate in petrolio e gas costituiscono circa il 20% della capitalizzazione del mercato. I livelli di esposizione aumentano ulteriormente se si includono altre risorse naturali e compagnie che producono energia con alta intensità di CO2. Al momento i regolatori non stanno monitorando la concentrazione di investimenti ad alta intensità di carbonio nel sistema finanziario e non hanno idea di quale sia un livello da considerare troppo alto”.
Allegati