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04 maggio 2015

Qualenergia:Bolla del carbonio, metà dei fondi pensione non si sta tutelando dal rischio


Tratto da Qualenergia
Bolla del carbonio, metà dei fondi pensione non si sta tutelando dal rischio

Un nuovo report sui 500 più grandi fondi di investimento al mondo mostra che solo una minoranza sta agendo adeguatamente per proteggere il proprio portafoglio dai rischi associati al global warming e alle politiche necessarie a combatterlo. Poco meno della metà, invece, non sta facendo nulla e continua ad investire in fonti fossili.
La vostra pensione dipende dall'ENPAM, da Generali Pensioni o da Arca Previdenza? Sappiate che il fondo di investimento su cui poggia sta facendo poco o niente per tutelare i propri investimenti dai rischi associati al global warming e alle politiche necessarie a combatterlo. Ma probabilmente non vi andrebbe meglio con molti altri: tra i 500 fondi più grandi al mondo si contano sulle dita di due mani quelli che stanno affrontando il problema in maniera adeguata, ad esempio disinvestendo in fretta dagli asset fossili. Ma poco meno della metà non sta agendo per nulla. È questo il preoccupante panorama che emerge dall'ultima edizione del report di Asset Owners Disclosure Project (allegato in basso).
Il progetto va ad esaminare gli investimenti dei 500 più grandi fondi di investimento al mondo, compagnie assicurative, fondi pensione e fondi sovrani, per monitorare un rischio ben noto ai lettori di QualEnergia.it, quello della cosiddetta bolla del carbonio.
bolla
Se vogliamo evitare gli effetti più disastrosi del global warming dobbiamo lasciare sotto terra gran parte delle riserve di carbone, petrolio e gas: per stare sotto ai 2 °C almeno due terzi, secondo la IEA. A rischio, oltre al clima, sono anche i soldi di chi investe: le politiche per il clima e la transizione energetica  impediranno di far fruttare adeguatamente gran parte degli asset in miniere e trivelle. Se si adottassero le politiche necessarie a fermare il riscaldamento globale, mostrano le stime del gruppo bancario HSBC, il valore di gran parte delle aziende delle fossili crollerebbe del 40-60%.
Sta forse proprio qui lo scontro in atto tra produzione di energia convenzionale e centralizzata e fonti rinnovabili-distribuite.
Se non ci si muove già ora per cercare un atterraggio morbido – disinvestendo dagli asset fossili - gli effetti economici potrebbero essere disastrosi visto che nel settore delle fonti fossili hanno investito e continuano ad investire moltissimo Stati, enti locali e grandi fondi pensione: circa il 72% delle riserve mondiali di petrolio, il 73% di quelle di gas e il 61% di quelle di carbone sono possedute o controllate indirettamente dalle nazioni.
Questo rischio è stato denunciato più volte, oltre che da gruppi di investitori attenti al problema (come i 60 che negli Usa di recente hanno chiesto l'intervento della SEC), anche da voci autorevoli del mondo delle finanza come Citigroup, Deutsche Bank, Kepler Chevreux e Moody’s. Ma, come si vede sfogliando il nuovo report, sembra che sia ancora sottovalutato dalla maggior parte dei grandi fondi di investimento.
Secondo AODP, infatti, tra i 500 censiti ben 232 non stanno facendo assolutamente nulla per tutelarsi e continuano ad investire, senza invertire la rotta, in fonti fossili. ..........



07 marzo 2015

"GO FOSSIL FREE" :Oslo abbandona gli investimenti nel carbone

Tratto da Rinnovabili.it
VERSO PARIGI 2015
La campagna americana “Go fossil free” fa adepti anche in Europa
Oslo abbandona gli investimenti nel carbone
La capitale norvegese ha promesso che disinvestirà 7 milioni di euro dai fondi pensione che fino a ieri finanziavano anche le compagnie del carbone
Oslo abbandona gli investimenti nel carbone-

(Rinnovabili.it) – La città di Oslo ha promesso che abbandonerà tutti gli investimenti nelle società produttrici di carbone, a causa del danno ambientale provocato da questa fonte energetica. La decisione annovera la capitale norvegese ad altre 40 città di tutto il mondo, ma è la prima capitale ad assumersi l’impegno.
Il Commissario alle finanze di Olso, Eirik Lae Solberg, ha detto alla televisione di Stato NRK che «ci stiamo tirando fuori dalle società del carbone, perché la produzione di energia basata su questo combustibile è una delle più dannose e meno rispettose dell’ambiente in tutto il settore energetico. 
Vogliamo adoperare i nostri investimenti per promuovere energia più sostenibile per una società più sostenibile».
Una simile mossa significa che 7 milioni di dollari investiti nel carbone dal fondo pensione del Consiglio di Oslo verranno ritirati dal settore. «Non è una somma enorme, ma abbiamo intenzione di mandare un segnale chiaro», ha detto Lae Solberg.
Quasi 200 istituzioni hanno detto no al carbone
La decisione arriva sull’onda parte di una campagna sul cambiamento climatico che ha già convinto 180 istituzioni, con investimenti pari a 50 miliardi di dollari (compresi gli enti locali, le università e le chiese), a lasciare i propri finanziamenti ai combustibili fossili: carbone, petrolio e gas.
Anche a livello nazionale in Norvegia si muove qualcosa. Il fondo petrolifero nazionale della Norvegia vale 850 miliardi di dollari ed è il più grande fondo sovrano del mondo. Nel mese di febbraio, ha annunciato di aver scaricato 32 compagnie fossili per motivi ambientali, e sta valutando un disinvestimento più ampio.
La campagna sul divestment è iniziata negli Stati Uniti, ma la Scandinavia si è subito messa in scia, con importanti gestori dei fondi pensione che hanno rapidamente abbandonato gli impegni finanziari nelle fossili. Tra essi c’è anche Nordea, il più grande del settore.
Lunedì, centinaia di migliaia di accademici, ingegneri e avvocati in Danimarca hanno annunciato che avvieranno la cessione di 32 miliardi di euro stoccati nei fondi pensione che investono nel carbone.
A febbraio 1.000 persone hanno manifestato a Oslo per chiedere il divestment, e ora possono cantare vittoria: «Questa è una vittoria che corona il nostro duro lavoro, e invia un segnale forte al governo che sta attualmente rivedendo gli investimenti del fondo petrolifero nazionale. Sarebbe un pessimo esempio di leadership se scegliesse di prendere misure meno coraggiose di Oslo», ha detto Future in our Hands, gruppo che ha organizzato la campagna.