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27 maggio 2016

Silvestrini : Multinazionali dell'energia, venti di transizione e di reazione ai cambiamenti

Multinazionali dell'energia, venti di transizione e di reazione ai cambiamenti

Tratto da Qualenergia
In passato in presenza di alti prezzi degli idrocarburi i guadagni delle multinazionali dei fossili aumentavano e, contemporaneamente, anche gli investimenti sulle energie rinnovabili risultavano più interessanti.
Oggi, viceversa, il trend ribassista di carbone, petrolio e metano colpisce con forza le multinazionali del settore, ma non impedisce la rapida crescita delle rinnovabili. E, considerata la riduzione dei prezzi di solare ed eolico prevista nel medio e lungo periodo, l’avanzata di queste tecnologie non potrà essere più fermata.
È interessante capire come questa tendenza influisca sulle strategie delle aziende elettriche e in quelle petrolifere. I loro bilanci verranno, infatti, messi sempre più in difficoltà dalla rapida crescita delle soluzioni alternative. Oggi la diffusione delle rinnovabili determina un calo del prezzo dell’elettricità, con notevoli impatti sulle quotazioni delle utilities; domani l’esplosione di eolico e solare da un lato e della mobilità elettrica dall’altro incideranno sulla domanda di gas e petrolio contribuendo alla riduzione del prezzo dei fossili.
Ma come reagiscono le compagnie energetiche al drastico cambio del contesto in cui hanno storicamente operato? Nel caso di alcune utilities elettriche, sono proprio le rinnovabili a risanare bilanci a fronte delle difficoltà della generazione tradizionale. Emblematico il caso di Enel che ha totalmente cambiato il proprio modello di business, tanto da incorporare Enel Green Power, diventata ormai motore del cambiamento. Altre utilities sono a metà del guado e qualcuna, a livello internazionale, sparirà.
Un’analoga trasformazione sta avvenendo nel mondo dei fossili. In qualche caso il salto del fossato è già completamente avvenuto, come dimostra la storia di ERG che ha smobilitato le proprie raffinerie per lanciarsi nell’eolico.
Guardando alle società più importanti, la situazione è variegata, ma si intravvedono segnali di una diversificazione delle attività. Questo cambio di marcia è più evidente nella francese Total da tempo impegnata nel solare, o nella norvegese Statoil lanciatasi nell’eolico off-shore galleggiante. Come è noto, e come era prevedibile, anche Eni ha timidamente annunciato programmi per 1 miliardo di euro nel fotovoltaico. La stessa Arabia Saudita ha avviato un cambio di strategia.
All’altro estremo si situano le big statunitensi. Proprio in questi giorni si tiene l’assemblea degli azionisti della Exxon e il suo amministratore Rex Tillerson, a fronte della crescente pressione di alcuni investitori che chiedevano un cambio di approccio visti i rischi climatici, ha candidamente affermato che la riduzione delle produzione di petrolio ”non è accettabile per l’umanità”. Malgrado questo, il 38% degli azionisti hanno votato una mozione per richiedere una rendicontazione annuale sull’impatto delle politiche climatiche dopo Parigi sui profitti dell’azienda. Anche il 41% degli azionisti della Chevron hanno sollecitato uno “stress test climatico.
La transizione non sarà quindi così banale, ma lascerà sul campo morti e feriti. Ne è un esempio il caso delle grandi società del carbone che non hanno avuto il tempo di diversificare in un contesto di calo della domanda e dei prezzi e sono fallite.
È importante focalizzare l’attenzione sui produttori di combustibili fossili perché è evidente che il processo di decarbonizzazione in atto, comportando la ridiscussione della loro stessa esistenza, alimenterà inevitabilmente azioni contro le politiche climatiche.
È vero che solo la capacità di definire rapidamente strategie alternative determinerà la possibilità di una loro sopravvivenza, come sottolinea un numero crescente di autorevoli osservatori. Ma non dobbiamo aspettarci che questa prospettiva venga accettata pacificamente. Visti gli enormi interessi in gioco, è chiaro che verrà esercitata un’enorme pressione nei confronti dei governi per evitare l’adozione di incisive politiche di contenimento delle emissioni.
La Exxon deve difendersi in questi mesi nei tribunali dall’accusa di avere finanziato gruppi negazionisti e di avere nascosto informazioni sui rischi climatici che pure i suoi stessi scienziati avevano evidenziato. Possiamo immaginare il ruolo che queste compagnie potranno esercitare nei prossimi delicati e decisivi anni. E l’elezione del nuovo presidente Usa è alle porte …

29 dicembre 2015

Qualenergia:Il settore delle fossili impreparato alla sfida del clima

Tratto da Qualenergia

 

Il settore delle fossili impreparato alla sfida del clima

Le aziende del settore dei combustibili fossili appaiono impreparate alla transizione imposta dalla variabile climatica. Le strategie dei grandi gruppi energetici sono state finora solo sfiorate dal rischio climatico, come dimostrano i 950 miliardi $ investiti nei fossili nel 2013. Ma cosa succederà da qui in avanti? Un articolo di Gianni Silvestrini.
L’attenzione nei confronti delle aziende e degli Stati che basano le loro fortune sui combustibili fossili, in particolare sul greggio e sul carbone, si dovrà accentuare dopo la COP21. Infatti, visto che larga parte delle riserve fossili dovrà rimanere nel sottosuolo, il valore dei giacimenti sarà sempre più a rischio. Nella battaglia contro i rischi dei cambiamenti climatici occorrerà rifocalizzare l’attenzione sul fronte dei consumi energetici e accentuare gli sforzi sul versante dell’estrazione dei combustibili fossili.....
Occhi puntati sulla produzione dei fossili
Nella prossima fase si dovrà poi prestare una crescente attenzione all’estrazione dei combustibili fossili. Le azioni di Greenpeace per bloccare le esplorazioni artiche della Shell, come pure la decisione di Obama di bloccare il progettato oleodotto Keystone, proprio con motivazioni climatiche, vanno in questa direzione. E la campagna internazionale “Divest Fossil”, che invita a dismettere le azioni delle aziende impegnate nel petrolio e nel carbone, è destinata a espandersi. Si tratta di un impegno globale, con un riflesso anche nel nostro Paese. Il referendum sulle trivellazioni che si potrebbe tenere nel 2016 rende utile l’approfondimento di questi temi.
Le strategie dei grandi operatori sono state finora solo sfiorate dal rischio climatico, come dimostrano i 950 miliardi $ investiti nei fossili nel 2013. .......
Ma le perplessità si stanno allargando. Il Segretario generale dell’Ocse ha avvertito che gli investimenti dei decenni passati e quelli programmati rischiano di creare un groviglio di interessi inestricabile. E sia l’Agenzia Internazionale dell’Energia, sia la Banca mondiale non perdono occasione per suggerire la necessità di eliminare progressivamente i sussidi di cui godono i combustibili fossili.....
Basse quotazioni di carbone, petrolio e metano
Per motivi diversi fra loro, le quotazioni dei combustibili fossili in questo momento sono al ribasso e lo saranno prevedibilmente ancora per diversi anni. I prezzi del carbone e del greggio sono tre volte inferiori rispetto ai picchi del 2008 e 2014, mentre quelli del gas naturale si sono dimezzati in Europa e si sono ridotti di quattro volte negli Usa.
Nel caso del carbone, sono i crescenti limiti ambientali e il successo delle rinnovabili a limitarne l’impiego, dagli Usa alla Cina. Petrolio e metano vedono invece una domanda debole sia per il contesto economico di alcuni Paesi che per l’efficacia delle misure di efficienza e la crescita delle rinnovabili. Si aggiunge l’influenza del successo del fracking nelle scelte saudite che stanno determinando un eccesso di offerta di greggio sulla scena mondiale. Quali implicazioni derivano per l’ambiente e il clima?
Si chiudono miniere di carbone e si abbandonano le produzioni di petrolio più a rischio, dall’Artico alle sabbie bituminose. .......
Far cambiare rotta ai transatlantici
...In realtà, la molla che farà cambiare la strategia del settore fossile è intrinsecamente legata ai pericoli che sempre più chiaramente ne mettono in discussione il suo stesso futuro. Il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, considerando gli enormi rischi legati ai cambiamenti climatici, ritiene che le aziende dovrebbero pubblicizzare le loro strategie per evidenziare i pericoli per gli azionisti connessi con scelte sbagliate.
In effetti, diverse utility elettriche hanno già iniziato questo percorso puntando su efficienza e rinnovabili, un cambiamento di modello di business a portata di mano. Benché molto più complessa, qualcuno potrebbe ritenerla impossibile, la transizione dovrà essere affrontata anche dalle compagnie petrolifere e del carbone. Secondo Fathi Birol, nuovo direttore della IEA che ha sempre avuto a cuore le sorti dei fossili, sbagliano di grosso le compagnie che non includono il clima nelle loro strategie.
Il tutto, in un contesto caratterizzato dalle campagne che incitano a disinvestire dalle fonti fossili e a bloccare le ricerche pericolose per l’ambiente. La prospettiva è quella di apparire sempre più come delle “appestate”, accostandosi nell’immaginario collettivo ai produttori di armi o ai gestori dei giochi d’azzardo. Perché, in fondo, proprio di un gioco d’azzardo stiamo parlando. Nel quale si sa chi perderà, le generazioni future, e nel quale, però, i cittadini/consumatori sono giocatori inconsapevoli. 
In realtà, sempre meno inconsapevoli e sempre più in grado di riappropriarsi delle scelte vitali per il loro futuro, come ci ricordano le manifestazioni nelle piazze di tutto il mondo che si sono svolte il 29 novembre.
L'articolo è stato pubblicato sul n. 5/2015 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo "Fossili impreparati".

07 dicembre 2015

Gianni Silvestrini:Come accelerare la decarbonizzazione delle economie.


decarbonizzazione

Tratto da Qualenergia 


Come accelerare la decarbonizzazione delle economie

Il rischio climatico si giocherà sulla rapidità con cui il processo di decarbonizzazione riuscirà ad invertire la crescita delle emissioni. Andranno tagliate del 50-75% rispetto entro il 2050.
Un processo tecnicamente ed economicamente praticabile. Ma esiste un consenso e una volontà politica?
È una corsa contro il tempo. Da un lato, soprattutto dopo la COP21, si prospetta una forte accelerazione della corsa di rinnovabili, veicoli elettrici, bioraffinerie, edilizia ad energia positiva e di tutte le tecnologie in grado di ridurre drasticamente i consumi energetici. Dall’altro, si espandono trivellazioni, oleodotti, gasdotti e, soprattutto, nuove centrali a carbone.
Il dilemma climatico si gioca tutto qui: nella rapidità con cui il processo di decarbonizzazione riuscirà ad invertire la crescita delle emissioni avviando un percorso che porti ad un valore inferiore del 50-75% rispetto all’attuale entro il 2050. Dai 36 miliardi di tonnellate che ogni anno vengono iniettati nell’atmosfera si dovrà passare a 12-18 miliardi. Un contributo al rallentamento dell’aumento delle concentrazioni in atmosfera, verrà anche dall’assorbimento di CO2 nelle foreste, nei suoli o usando specifiche tecnologie.
La prima domanda che ci si pone di fronte a questi scenari è se essi siano tecnicamente ed economicamente praticabili. La seconda se esiste un consenso e una volontà politica in grado di avviare processi, che come si intuisce, nella loro radicalità incideranno sugli stessi modelli economici e comportamentali. 
Sulla realizzabilità di riduzioni così significative si sono cimentati governi e centri di ricerca, arrivando ad una risposta positiva. Danimarca e Svezia stanno investendo notevoli risorse per diventare “fossil free”. La Germania, che si è data l’obiettivo di ridurre al 2030 la CO2 del 55%, intende spingere il taglio all’80-95% a metà secolo.
Molti studi sono stati condotti per valutare costi e tempi della decarbonizzazione delle economie. Uno dei più interessanti per il prestigio delle istituzioni coinvolte e per l’ampiezza delle analisi è il Deep Decarbonization Pathways Project (DDPP), coordinato da Jeffrey Sachs direttore dell’Earth Institute della Columbia University, che ha presentato un primo rapporto alle Nazioni Unite analizzando i percorsi possibili per 16 importanti paesi (inclusi Cina, Usa, India Russia, Germania e Italia) responsabili del 70% delle emissioni mondiali. Dallo studio emerge la possibilità di ridurre la produzione di anidride carbonica del 45% al 2050. I risultati più incisivi si potranno conseguire nella generazione di energia elettrica, mentre i più complessi da trattare sono il comparto industriale e il trasporto delle merci. Nel grafico le quote di emissioni di CO2 nel 2010 e nel 2050 nei diversi comparti nei 16 paesi analizzati nello studio DDPP che vedono una riduzione del 45% della CO2 emessa nel 2010 (Gt, miliardi tonnellate).
Lo studio ipotizza l’impiego di innovazioni radicali già esistenti o che saranno disponibili nel breve periodo. Secondo Sachs è importante che i vari paesi definiscano da subito un obiettivo ambizioso a metà secolo valutando se le politiche e gli investimenti che si intendono avviare sono coerenti con il percorso di decarbonizzazione. 
Si tratta, infatti, di intervenire in maniera incisiva nelle politiche industriali, agricole e di incidere radicalmente nei comparti dell’edilizia e dei trasporti. Per esempio nel mondo dell’auto occorre prepararsi ad un passaggio alla trazione elettrica, con tutto ciò che implica nelle strategie delle multinazionali del settore e delle infrastrutture. La verifica delle scelte a partire dall’obiettivo finale, il cosiddetto “backcasting”, porta a riflessioni importanti. Prendiamo il caso del metano considerato il combustibile ponte verso le rinnovabili. In realtà, il suo utilizzo è destinato a calare nel giro di pochi decenni per cui investimenti su rigassificatori e gasdotti andrebbero fatti con oculatezza.
Ma a quali risultati giunge per l’Italia lo studio a cui hanno lavorato l’Enea e la Fondazione Mattei dell’Eni? Vengono analizzati tre scenari, che attribuiscono un peso diverso all’efficienza, alle rinnovabili e al sequestro di CO2, in grado di tagliare dell’80% le emissioni a metà secolo. Il declino dei fossili è scontato: il consumo di petrolio si ridurrebbe dell’83% e quello del metano dell’87%, confermando l’importanza di selezionare con oculatezza gli investimenti in nuove infrastrutture.
Nel grafico a sinistra la riduzione dei consumi di energia primaria nello scenario di decarbonizzazione applicato all’Italia (1 EJ= 23,9 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio).
Una cosa comunque è certa. Scenari così ambiziosi si realizzeranno solo in presenza di un’accelerazione della diffusione di tecnologie “dirompenti”. 
In questo senso le due iniziative lanciate alla COP21 a Parigi, “Mission Innovation che vede 20 nazioni, fra cui l’Italia, decise a raddoppiare gli investimenti nella ricerca e la “Breakthrough Energy Coalition, lanciata da Bill Gates e altri miliardari per favorire i progressi di nuove tecnologie verdi, vanno nella direzione di facilitare l’emergere di innovazioni molto incisive. In effetti, la sfida climatica impone un deciso salto di qualità nell’impegno di ricerca. Basti dire che negli Usa, ad esempio, le industrie farmaceutiche investono il 20% del fatturato in ricerca, mentre nel settore dell’energia la quota scende ad un misero 0,2%.
Ma per accelerare la decarbonizzazione occorrerà anche rapidamente eliminare i sussidi ai combustibili fossili, 548 miliardi $ annui su scala mondiale, ed estendere le esperienze, per ora frammentate, di tassazione del carbonio. Secondo Elon Musk, il geniale proprietario dell’industria di auto elettriche Tesla, dare un adeguato valore al carbonio consentirebbe di dimezzare i tempi di diffusione delle rinnovabili.
A Parigi 40 paesi si sono dichiarati favorevoli al taglio dei sussidi e sei paesi, insieme alla Banca Mondiale e al FMI hanno proposto l’adozione di una carbon tax. E’ il momento giusto per allargare il fronte delle nazioni impegnate in questa direzione.
L'articolo è stato pubblicato su L'Unità del 4 dicembre con il titolo "Come decarbonizzare il Pianeta e salvare il clima".

22 agosto 2013

1)Global Warming, ora si conosce il vero responsabile: l’uomo 2) Il pendolo delle rinnovabili

Tratto da Ecologiae

Global Warming, ora si conosce il vero responsabile:l' UOMO

Valentina Ierrobino
21 agosto 2013
Global warming responsabile uomo
Sembra essere confermata la certezza che sia l’uomo il maggiore responsabile del Global Warming, il surriscaldamento terrestre che sta alterando il clima e la biodiversità, mettendo in pericolo l’esistenza di animali, piante e dell’uomo stesso. E’ quanto emerge da uno studio effettuato da un gruppo di scienziati, i cui dati saranno pubblicati in modo dettagliato solo nel prossimo rapporto sul clima delle Nazioni Unite.

Se le emissioni inquinanti e il rilascio nell’atmosfera di CO2 e gas serra continueranno con questo ritmo, iniziato a partire dalla seconda Rivoluzione Industriale e aumentato in modo vertiginoso negli ultimi decenni, entro la fine del secolo i livelli dei mari potrebbero aumentare di oltre un metro, causando tutti gli effetti già da tempo ipotizzati da studiosi ed esperti.
E la causa di tutto sembra essere proprio l’uomo. E’ questo in sintesi quanto emerge da un recente studio realizzato da un gruppo intergovernativo di oltre cento scienziati che per la prima volta trova la relazione, da sempre sospettata, tra l’attività umana e il Global Warming. Come si legge nella sintesi della relazione del progetto

E’ estremamente probabile che l’influenza umana sul clima ha determinato oltre la metà dell’aumento rilevato della temperatura terrestre media tra il 1951 e il 2010.
Lo studio è tra i più autorevoli in fatto di cambiamenti climatici e di Global Warming, essendo stato realizzato dai massimi esperti del settore che, ricordiamo, nel 2007 hanno vinto il Premio Nobel per la pace, assieme ad Al Gore. 
Gli scettici, o forse gli ottimisti, cercano di non dare ad esso troppa importanza, in quanto i dati emersi smentiscono gli studi effettuati finora, più rosei e meno allarmanti, ma il rapporto parla chiaro ed è il primo a provare che almeno il 95% delle cause del surriscaldamento terrestre è dovuto alle attività umane.
[Fonte: The New York Times]

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Tratto da QualEnergia

Il pendolo delle rinnovabili

Il panorama elettrico del nostro Paese è caratterizzato da una domanda in forte calo, centrali termoelettriche in eccesso e rinnovabili cresciute oltre ogni previsione. 
 Le fonti rinnovabili impongono quindi un nuovo panorama nella produzione elettrica nazionale. La sfida sempre più forte alle compagnie elettriche. L’editoriale di Gianni Silvestrini per la rivista bimestrale QualEnergia .


I giochi si fanno seri. La radicale transizione energetica in atto in Italia e in altri Paesi va governata con intelligenza.
Ma per capire le prossime evoluzioni è utile un cenno storico ...

13 aprile 2013

Ma l'obiettivo resta decarbonizzare il sistema elettrico

 Tratto da QualEnergia

Diverse possibili scelte, ma l'obiettivo resta decarbonizzare il sistema elettrico.     Gianni Silvestrini



Martedì prossimo, 16 aprile, a Roma ci sarà un interessante confronto fra le diverse anime del sistema energetico italiano in un momento molto delicato: utilities in affanno economico, operatori delle rinnovabili in crisi alla ricerca di nuove prospettive, regolatori che dovranno intervenire sul mercato elettrico.
Dopo il pamphlet Chi ha ucciso le rinnovabili del presidente di Assoelettrica e le repliche del presidente di Assosolare, interviene anche il Coordinamento delle associazioni delle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, FREE, con l’organizzazione di questo convegno e la presentazione di un rapporto per rintuzzare le critiche e avanzare alcune proposte al prossimo Governo.

La situazione è nota. Domanda in calo, sovraccapacità termoelettrica, rinnovabili cresciute oltre ogni previsione. Come pure è chiaro il punto di arrivo: entro 38 anni si dovrà completamente decarbonizzare la produzione elettrica. C’è anche un riferimento temporale intermedio, quel 35-38% dei consumi (e potenzialmente oltre) che secondo la SEN dovrebbe venire soddisfatto dalle rinnovabili al 2020, cioè almeno 20-30 TWh in più.
Cosa fare dunque, anche alla luce della situazione di crisi economica? 
Bloccare i nuovi progetti di centrali termoelettriche: sono state presentate ai Ministeri ben 37 richieste di autorizzazione per una potenza di 22,6 GW (tre proposte per 2 GW sono state ritirate nelle ultime settimane). Considerando che, a fronte di un parco di 81 GW termoelettrici, la potenza di punta ha raggiunto 5 anni fa un massimo di 57 GW, non ha alcun senso pensare a nuovi impianti (che disastro si sarebbe profilato se si fosse avviata l’avventura nucleare?).
Chiudere gli impianti più inquinanti e con minore rendimento.
Intervenire sul mercato elettrico e favorire una maggiore competizione nell’accesso al metano per consentire la sopravvivenza degli impianti a ciclo combinato (e in prospettiva l’esportazione di elettricità) in considerazione del ruolo strategico sinergico con la produzione non programmabile delle rinnovabili.
Favorire l’introduzione di elettrotecnologie nell’industria, pompe di calore nel settore civile, veicoli elettrici, tutte soluzioni che comportano una riduzione dei consumi di energia primaria e che sono sempre più giustificate nel contesto di una produzione fortemente, e sempre più, connotata dal gas e dalle rinnovabili.
Accelerare gli interventi sulla rete e le trasformazioni in smart grids, un comparto nel quale Enel svolge già un ruolo di punta in Europa e che potrà vederci all’avanguardia nei prossimi anni con possibilità di esportare know how.........

Per quanto riguarda il nostro paese, secondo UBS, il fotovoltaico non incentivato potrebbe generare 11 TWh al 2020. La crescita non sussidiata del solare, peraltro, si sta già manifestando nel Western Australia dove il 10% delle case ha il suo tetto fotovoltaico e l’installazione di impianti senza incentivi è aumentata rispetto ad un paio di anni fa quando il solare era ancora sostenuto.
Come si vede, la situazione è delicata.  
Dalle modalità (semplificazione + liberalizzazione) che verranno adottate dal Governo e dall’Autorità si deciderà se il mercato fotovoltaico non incentivato avrà dimensioni più o meno significative. 
 Le scelte andranno fatte considerando gli interessi generali del paese e quelli dei vari attori e gli effetti in termini di riduzione delle importazioni di gas, maggiori entrate fiscali e impatti occupazionali. 
Avendo come riferimento la decarbonizzazione del sistema elettrico. 
Leggi l'articolo integrale su QualEnergia


01 marzo 2013

1)Sussidi alle fonti fossili: nel 2011 sono stati 620 miliardi 2)Elezioni:terremoto politico, i segnali e le opportunità da cogliere

Tratto da  Zeroemission
Sussidi alle fonti fossili: nel 2011 sono stati 620 miliardi

Anche secondo l'ultima analisi della Global Subsidies Initiative e dell'International Energy Agency (Iea), a livello globale, le sovvenzioni concesse alle fonti fossili sarebbero diverse volte superiori agli incentivi per le rinnovabili.
Sussidi alle fonti fossili: nel 2011 sono stati 620 miliardi
Delle sovvenzioni alle fonti fossili e della loro reale entità - di molto superiore a quella degli incentivi alle rinnovabili - abbiamo già lungamente discusso. Senza contare che, a queste, vanno aggiunti ulteriori costi ambientali e sanitari a carico della collettività.   
Ma oggi, le ultime stime effettuate dalla Global Subsides Initiative e dall'International Energy Agency (Iea) riferiscono di somme da capogiro che i Governi mondiali versano come sussidi alle già prolifiche attività delle società operanti nel mercato delle fonti fossili.  
Nel corso del 2011 sono più di 620 miliardi dollari sono stati spesi a livello mondiale per sovvenzionare l'energia da gas, petrolio e carbone (circa il 20% in più rispetto all'anno precedente), contro gli 88 miliardi spesi per incentivare lo sviluppo delle rinnovabili.

........Leggi l'articolo integrale


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Tratto da Qualenergia

Il terremoto politico, i segnali e le opportunità da cogliere


Ascolta audio (mp3 – durata 1’32’’)
Gli effetti del terremoto politico post elezioni si vedranno solo nei prossimi giorni, ma è evidente la chiara volontà dei cittadini di diventare protagonisti di molte decisioni fondamentali del nostro Paese e della loro gestione dal basso. Non mancheranno indicazioni di carattere internazionale a vari livelli, a cominciare dai mercati, da cui potrebbe emergere un rischio di instabilità.
Sarà comunque necessaria una riflessione sui rapporti tra cittadini e politica, e soprattutto sui contenuti.  
Da questo punto di vista, riguardo alle tematiche ambientali ed energetiche, ad esempio il Movimento 5 Stelle ha espresso con forza molti temi interessanti che vanno dal decentramento della produzione all’efficienza energetica e per le fonti rinnovabili.
Saper cogliere questo segnale di cambiamento da parte della politica può anche portare, in una situazione turbolenta come quella attuale, a un ulteriore passaggio verso la transizione energetico-ambientale che sta già avvenendo su scala globale.
È questa la sfida da afferrare, mettendo anche in luce la possibilità di usare, in modo anticiclico rispetto all’attuale crisi economica, tutte le soluzioni che possono generare occupazione.
L’opinione di Gianni Silvestrini a Ecoradio.

30 gennaio 2013

FOSSIL FREE:Quando la parola d'ordine è disinvestiamo nel fossile

Tratto da QualEnergia. 

Quando la parola d'ordine è 'disinvestiamo nel fossile'

 Nuove forme di lotta e di pressione si stanno sviluppando per sbloccare l’impasse sui cambiamenti climatici negli Usa. 
Un forte movimento, ad esempio, sta crescendo per forzare la vendita di azioni di società coinvolte nel settore dei combustibili fossili.....
Oggi sono 210 i campus americani coinvolti nella campagna “Let’s divest from fossil fuels!” volta a far vendere le azioni delle società legate a queste attività. E il movimento si sta allargando. Mike McGinn, sindaco di Seattle, ha invitato il fondo pensione degli impiegati, il Seattle City Employees’ Retirement System che gestisce 1,9 miliardi $, a non investire più nei comparti fossili e a iniziare un’azione di uscita da questo settore. Anche il mondo religioso si sta mobilitando. La United Church of Christ cui afferiscono 1,2 milioni di fedeli in giugno voterà per aderire alla campagna lanciata dalla associazione 350.org.

L’argomentazione di fondo deriva dalla riflessione che larga parte (80% secondo alcune stime) delle riserve di combustibili fossili del pianeta non dovranno essere utilizzate per non superare l’incremento di 2 °C della temperatura dell’aria richiesto dalla comunità scientifica per evitare conseguenze catastrofiche....
Accanto a questa iniziativa, sta crescendo la mobilitazione per bloccare l’autorizzazione alla realizzazione dell’oleodotto Keystone, infrastruttura fondamentale per garantire l’espansione dell’estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose del Canada. Obama, dopo avere una prima volta rinviato la decisione, dovrà pronunciarsi nei prossimi mesi su questo delicato tema.
Nel novembre del 2011 quindicimila cittadini hanno manifestato di fronte alla Casa Bianca per chiedere di bloccare l’oleodotto e in tutto il paese sta crescendo la pressione per portare il 17 febbraio decine di migliaia di attivisti a Washington per un “Climate Rally”. Nei giorni scorsi 18 tra i più prestigiosi climatologi hanno inviato una lettera al presidente chiedendo di evitare la realizzazione dell’oleodotto perché contraria agli interessi del pianeta e del paese.
Insomma, le dichiarazioni prima di Obama e poi del neoeletto Segretario di Stato Kerry sull’importanza della lotta ai cambiamenti climatici e la crescente pressione dal basso testimoniano un cambio di passo. E’ possibile forse che gli Usa si spostino su posizioni più attive e impegnate, facilitando il raggiungimento di quell’accordo internazionale sul clima che dovrà essere definito entro i prossimi 35 mesi.

10 aprile 2012

L'inesorabile trasformazione (e .........decentramento)del sistema energetico

Tratto da QualEnergia

L'inesorabile trasformazione del sistema energetico

Investimenti nell'eolico e nel fotovoltaico cresciuti di 27 volte in 11 anni, decentramento della produzione e rapido calo dei prezzi, stanno portando a un profondo cambiamento del sistema elettrico mondiale, che farà diminuire il peso dei grandi gruppi energetici e porterà a nuove sfide e innovazioni. L'editoriale di Gianni Silvestrini.
 
Il successo delle fonti rinnovabili su scala mondiale, con investimenti che nei soli due comparti del fotovoltaico e nell’eolico sono passati da 6 a 163 miliardi di dollari tra il 2000 e il 2011, è destinato inesorabilmente ad accrescersi. La motivazione non è di tipo ideologico o ambientale, ma strettamente economica. Il costo dei combustibili fossili sul lungo periodo è infatti destinato a salire, mentre quello delle tecnologie verdi proseguirà la sua discesa. Ormai i parchi eolici in zone di buona ventosità in Brasile producono energia a un prezzo inferiore rispetto agli impianti termoelettrici. Anche il solare sta ottenendo risultati clamorosi. È stata recentemente annunciata la costruzione di un impianto fotovoltaico da 250 MW in Estremadura, Spagna, che consentirà di ripagare l’investimento con la sola vendita di elettricità.
Questi risultati sono legati alla rapidità del calo dei prezzi che, nel caso dei moduli fotovoltaici, è stato di sei volte negli ultimi 20 anni. Ma non è solo l’aspetto economico a motivare il cambiamento strategico del panorama energetico. Lo spostamento verso le rinnovabili rappresenta infatti la scelta più credibile anche dal punto di vista della gestione dei rischi. Quanto più i singoli Stati ridurranno la dipendenza da petrolio e gas grazie a efficienza e rinnovabili,  tanto maggiore sarà la loro sicurezza energetica, elemento destinato a divenire cruciale nei prossimi 10-20 anni.
Questo spiega perché la crescita verde, che nel decennio scorso era stata prevalentemente europea, è esplosa con forza in Cina e si sta già estendendo ai mercati dell’America del Nord e del Sud, dell’Asia, della stessa Africa. Il 64% della variazione netta della potenza elettrica in Europa tra il 2000 e il 2011 è legata alle rinnovabili, mentre negli Usa si è assistito negli ultimi 5 anni a una crescita delle energie verdi e un calo del carbone (vedi grafico). Anche in Cina le rinnovabili stanno crescendo e la quota del carbone è destinata a ridursi.
Il fatto stesso che la metà della potenza elettrica installata nel mondo negli ultimi anni sia stata “green”, evidenzia come gli investimenti delle rinnovabili rappresentino ormai una quota maggioritaria delle risorse dedicate alla produzione elettrica.
Questa trasformazione è destinata a comportare notevoli modifiche nel settore. Con il cambio del mix del sistema di generazione si dovranno affrontare problemi nuovi. Gli operatori delle rinnovabili dovranno confrontarsi con la regolazione della rete. Sull’altro versante le compagnie elettriche rischiano di essere spiazzate dalla rapidità della trasformazione del mercato che può indurre una riduzione delle entrate e un offuscamento della loro posizione dominante. Per mantenere un ruolo importante dovranno diversificare le attività.......
Una cosa però è certa. Il peso dei grandi gruppi, a iniziare dall’Enel, è destinato a diminuire. Almeno 350.000 impianti che utilizzano sole, vento, biomasse e acqua sono in Italia di proprietà di singoli cittadini, imprese, enti locali. E la quota è destinata a crescere. In Germania sono ben oltre 1 milione gli impianti non controllati dalle utilities.
Il fotovoltaico in particolare sfugge più facilmente al controllo perché in molti casi le potenze sono di piccola taglia. Il fatto che si avvicini rapidamente la grid parity e che quindi nel giro di 2-4 anni questa tecnologia potrà diffondersi senza incentivi apre scenari molto interessanti.  In una fase di transizione il solare dovrà sopportare i costi di trasformazione della rete elettrica. Ma a un certo punto, grazie anche alla presenza di accumuli decentrati, gli investimenti privati consentiranno di fornire energia al Paese senza alcun peso per la collettività, evitando l’importazione di gas o carbone.
Insomma, una democratizzazione del sistema di produzione che si sposa con l’aumento della sicurezza e con la competitività del Paese. Siamo all’inizio di una profonda trasformazione del sistema energetico che, se gestita bene, porterà risultati positivi non solo all’occupazione e all’ambiente, ma anche all’economia e al controllo dal basso di un bene prezioso come l’energia.