Sentenza di Porto Tolle depositata il 23 05 2011
N. 03107/2011REG.PROV.COLL.
N. 10216/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10216 del 2010, proposto da:
Assagaime - Associazione tra Agenzie d'affari in mediazione turistiche di viaggi, di Rosolina, Cob - Consorzio Operatori Balneari, Villaggio Turistico Rosapineta Sud, Villaggi Club Srl, Consorzio Delta Nord Societa' Coop A Rl, Greenpeace Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature (Wwf) Ong - Onlus, Italia Nostra - Onlus, Comitato Cittadini Liberi Porto Tolle, in persona dei rappresentanti legali, rappresentati e difesi dagli avvocati Matteo Ceruti, Alessio Petretti, con domicilio eletto presso Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A;
Assagaime - Associazione tra Agenzie d'affari in mediazione turistiche di viaggi, di Rosolina, Cob - Consorzio Operatori Balneari, Villaggio Turistico Rosapineta Sud, Villaggi Club Srl, Consorzio Delta Nord Societa' Coop A Rl, Greenpeace Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature (Wwf) Ong - Onlus, Italia Nostra - Onlus, Comitato Cittadini Liberi Porto Tolle, in persona dei rappresentanti legali, rappresentati e difesi dagli avvocati Matteo Ceruti, Alessio Petretti, con domicilio eletto presso Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A;
contro
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dello sviluppo economico, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; Regione Veneto, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Cecilia Ligabue, Andrea Manzi, Emanuele Mio, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Gonfalonieri, n. 5;
nei confronti di
Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dello sviluppo economico, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; Regione Veneto, Arpav - Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Veneto, Cesare Donnhauser, Società Enel Produzione s.p.a., Arpav - Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Veneto; Società Enel Produzione s.p.a., Società Enel s.p.a., rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe De Vergottini, Cesare Caturani, con domicilio eletto presso Giuseppe De Vergottini in Roma, via A. Bertoloni, 44; Enel Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe De Vergottini, Giuseppe Caturani, Leonardo Maurizio Procopio, con domicilio eletto presso Giuseppe De Vergottini in Roma, via A. Bertoloni, n. 44;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II, n. 32824/2010, resa tra le parti, concernente GIUDIZIO POSITIVO DI COMPATIBILITÀ AMBIENTALE SU PROGETTO DI TRASFORMAZIONE A CARBONE DI CENTRALE TERMOELETTRICA DI PORTO TOLLE – RISARCIMENTO DANNI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero dello sviluppo economico, della società Enel Produzione, della società Enel s.p.a., della Regione Veneto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 119, co. 5, cod. proc. amm.;
Considerato che è stato dichiarato l’interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2011 il Cons. Roberto Garofoli e uditi per le parti l’avvocato Ceruti, l'avvocato dello Stato Guida, gli avvocati Andrea Manzi, Caturani e De Vergottini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con sentenza n. 32824 del 2010 il T.A.R. Lazio -dichiarate irrilevanti e comunque manifestamente infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale dedotte con riguardo all’art. 5-bis, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, in l. 9 aprile 2009, n. 33- ha respinto il ricorso proposto avverso gli atti del procedimento conclusosi con decreto prot. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, con cui il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto per la realizzazione d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw, alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi, ubicata nel Comune di Porto Tolle (RO), da realizzare in luogo dell’esistente centrale ad olio combustibile.
2. Quanto alla vicenda procedimentale portata al vaglio giurisdizionale, in data 31 marzo 2005 la società ENEL Produzione ha presentato al Ministero dell’ambiente istanza di parere di compatibilità ambientale in riferimento al citato progetto di riconversione.
Dopo una battuta d’arresto del procedimento avutasi a seguito delle perplessità manifestate dalla Commissione VIA-VAS nella seduta del 23 luglio 2007 e recepite nella nota interlocutoria del 13 agosto 2007 della Direzione Generale per la salvaguardia ambientale, il procedimento amministrativo è stato riavviato e, in data 29 aprile 2009, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS ha espresso parere favorevole n. 285.
Dopo lo svolgimento di un’inchiesta pubblica richiesta dai Comuni interessati e l’acquisizione di un parere dell’ARPAV- Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto- con DGR n. 2018 del 7 luglio 2009, la Giunta regionale del Veneto si è espressa subordinando il parere positivo ad una riformulazione di talune prescrizioni già contenute nel citato parere n. 285 del 29 aprile 2009.
Infine, a valle della seduta del Comitato di coordinamento della Commissione VIA-VAS in data 9 luglio 2009, con decreto del 24 luglio 2009, n. 873, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, ha espresso parere positivo di compatibilità ambientale, accompagnato da talune prescrizioni.
3. In primo grado, il T.A.R. Lazio ha disatteso le censure con cui i ricorrenti hanno tra l’altro lamentato:
• presunte anomalie relative al procedimento svoltosi a livello regionale (modalità di convocazione e svolgimento dell’inchiesta pubblica, composizione della Commissione regionale) e statale (mancata accettazione di alcune delle prescrizioni cui la Commissione regionale VIA ha subordinato il parere favorevole espresso in data 30 giugno 2009, omesso coinvolgimento della Regione Emilia-Romagna e dell’Ente Parco regionale Delta del Po);
• l’assunta incompetenza del Comitato di coordinamento della Commissione tecnica VIA-VAS espressosi con parere del 15 luglio 2009;
• la violazione del principio di imparzialità asseritamente conseguente alla partecipazione alle Commissioni regionale e statale intervenute nel procedimento del dott. Franco Secchieri;
• la illegittima composizione della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS;
• la mancata valutazione delle alternative di progetto, intese come tipologia di alimentazione dell’impianto;
• l’autorizzazione di emissioni di inquinanti in misure superiori a quelle indicate nel progetto ENEL, oltre che a quelle desumibili dai documenti BAT;
• l’impatto sul paesaggio;
• l’inadeguatezza della valutazione di incidenza.
Contro la sentenza propongono gravame gli appellanti ritenendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento.
All’udienza del 10 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso va accolto nei limiti di seguito espressi.
2. La questione oggetto di contenzioso attiene alla legittimità degli atti intervenuti nel corso del procedimento conclusosi con il favorevole parere di compatibilità ambientale espresso con riferimento al progetto di riconversione della centrale ad olio combustibile nel Comune di Porto Tolle (RO) in una centrale termoelettrica da 1980 Mw, alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi.
3. Preliminarmente, prima di passare all’esame del merito, va ritenuta la legittimazione degli appellanti.
Nessun dubbio può sorgere quanto alla legittimazione di Italia Nostra, W.W.F. e GREENPEACE, individuate quali associazioni di protezione ambientale nazionali ex art. 13, l. 8 luglio 1986, n. 349
Parimenti, quanto agli altri appellanti, merita considerare che, come già in passato dalla Sezione ripetutamente affermato (tra le altre, 13 settembre 2010, n. 6554), l'esplicita legittimazione, ai sensi del citato art. 13, l. 8 luglio 1986 n. 349, delle associazioni ambientalistiche di dimensione nazionale e ultraregionale all'azione giudiziale non esclude, di per sé sola, analoga legittimazione ad agire in ambito territoriale ben circoscritto, e ciò anche per i meri comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l'ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti su tale circoscritto territorio.
Altrimenti opinando, le località e le relative popolazioni, interessate da minacce alla salute pubblica o all'ambiente in un ambito locale circoscritto, non avrebbero autonoma protezione, in caso di inerzia delle associazioni ambientaliste espressamente legittimate per legge.
Detto altrimenti, le previsioni normative citate hanno creato un criterio di legittimazione "legale" destinato ad aggiungersi a quelli in precedenza elaborati dalla giurisprudenza per l’azionabilità in giudizio dei c.d. interessi diffusi e non li sostituisce.
Ne consegue che il giudice amministrativo può riconoscere, caso per caso, la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso; che è quanto ad avviso del Collegio è dato riscontrare con riguardo ai Consorzi, al Comitato e all’Associazione appellanti, avuto riguardo ai tre parametri tradizionalmente utilizzati al riguardo in giurisprudenza, rispettivamente relativi alle finalità statutarie dell’ente, alla stabilità del suo assetto organizzativo, nonché alla c.d. vicinitas dello stesso rispetto all’interesse sostanziale che si assume leso per effetto dell’azione amministrativa e a tutela del quale, pertanto, l’ente esponenziale intende agire in giudizio.
4. Passando, quindi, al merito, ritiene il Collegio di muovere dall’esame dei motivi di ricorso con cui si lamenta l’inadeguatezza della “valutazione delle alternative di progetto”.
4.1. Giova prendere le mosse dalla ricostruzione dello specifico quadro normativo di riferimento.
L’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, dispone che “Nell'ambito dell'intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….: a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
La disposizione regionale citata, dettata in considerazione della specificità del territorio preso in considerazione e con un’evidente finalità quindi di protezione ambientale, nell’esercizio anche della competenza legislativa regionale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117 co. 3, Cost.), senza certo prescrivere in via esclusiva l’alimentazione a gas metano degli impianti di produzione di energia elettrica realizzabili, esprime una sicura opzione legislativa di preferibilità per gli impianti per l’appunto alimentati a gas metano, ammettendo una differente alimentazione solo a condizione che siano utilizzate “fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
Perché quindi -in applicazione della citata disposizione adottata dal legislatore della Regione Veneto- possa essere espressa una valutazione positiva di compatibilità ambientale di un impianto di produzione di energia elettrica diversamente alimentato è necessaria una quanto mai accurata istruttoria volta a comparare sul piano tecnico ed in concreto l’impatto ambientale potenzialmente correlato al funzionamento della centrale proposta con quello sempre potenzialmente derivante dall’esercizio di impianti che, a parità di energia prodotta, siano tuttavia alimentati a gas metano: adeguata valutazione comparativa di cui l’amministrazione preposta alla formulazione del parere di compatibilità ambientale è quindi tenuta a dare compiutamente atto nella parte motiva, responsabilmente prendendo in considerazione -nel condurre sul piano tecnico il raffronto- ciascuno dei fattori che assumono rilievo nel determinare l’impatto ambientale di una centrale elettrica, salvo successivamente a procedere ad una valutazione di tipo complessivo.
La valutazione delle alternative di progetto, già rientrante tra i compiti propri dell’amministrazione in generale deputata ad esprimersi in merito alla compatibilità ambientale, assume quindi connotati di particolare stringenza per effetto della specifica disciplina legislativa regionale richiamata.
Che è quanto, per vero, pare riconoscere lo stesso giudice di primo grado allorché, nel concludere per l’irrilevanza delle eccezioni di illegittimità costituzionale dedotte con riferimento all’art. 5-bis, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, in l. 9 aprile 2009, n. 33, afferma che “l’art. 30 della l.r. 36/1997 non impone per forza l’alimentazione a gas metano per le centrali elettriche, all’uopo bastandone una che assicuri un <<…pari o minor impatto ambientale…>>, sicché occorre verificare, IN CONCRETO e rispetto al gas metano, l’impatto ambientale complessivo della scelta d’alimentazione per la proposta trasformazione della centrale di Porto Tolle” (punto 2.2. della sentenza appellata).
Lo stesso giudice di primo grado, tuttavia, nel disattendere le specifiche censure con cui in quella sede è stata per l’appunto lamentata l’inadeguata valutazione comparativa delle “alternative di progetto”, richiama l’art. 5-bis, del citato d.l. n. 5/2009 sostenendo che “in tal caso, non serve che il progetto rechi alcuna graduazione delle alternative dei sistemi d’alimentazione, la VIA potendo esser autorizzata, o no, a seconda che in concreto quello a carbone non superi i predetti limiti, senza necessità di prevedere soluzioni alternative, del tutto inutili rispetto alla previsioni di legge e che, in tutta franchezza ed ove richiesti, s’appaleserebbero adempimenti meramente defatigatori in capo al soggetto proponente, cui già incombono oneri progettuali assai complessi”.
4.2. Ebbene, giova a questo punto richiamare il citato art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, e soffermarsi sulle relazioni che intercorrono tra la stessa a disposizione statale e il citato art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36.
A norma dell’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, “per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l'alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La disposizione statale, con riferimento all’ipotesi di “riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione …. al fine di consentirne l'alimentazione a carbone o altro combustibile solido”, è quindi precipuamente diretta ad introdurre una “deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale”.
Ad avviso del giudice di primo grado, la citata norma statale renderebbe così superflua financo la necessità che il soggetto il quale intenda proporre il progetto di centrale elettrica a carbone prospetti soluzioni alternative, con differente fonte di alimentazione.
4.3. Ebbene, ritiene il Collegio di non poter condividere la conclusione interpretativa cui il giudice di prima istanza è pervenuto, dovendosi più attentamente esaminare il rapporto intercorrente tra l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, e l’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, in forza del quale, “nell'ambito dell'intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….: a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
Invero, come di recente sostenuto da Corte cost. 22 luglio 2010 n. 278 (in sede di scrutinio di legittimità costituzionale dell’art. 27, co. 27, l. 23 luglio 2009, n. 99, nella parte in cui richiama l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009), l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 deve intendersi come volto a derogare alle sole leggi, statali e regionali, “che prevedono limiti di localizzazione territoriale”, ossia quelle norme che determinino, “con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un divieto di localizzazione tale da determinare l'impossibilità dell'insediamento e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa”.
Secondo la citata pronuncia della Corte costituzionale, “la disposizione dell’art. 27, co. 27, l. n. 99/2009, nella parte in cui “riprende” l’art. 5-bis , può e deve essere interpretata restrittivamente (…)”.
Giova riportare il passaggio rilevante della citata pronuncia 22 luglio 2010 n. 278 .
“Con essa il legislatore statale, anziché indicare criteri di localizzazione favorevoli alla realizzazione degli impianti in questione, si è spinto fino all’adozione di una generale clausola derogatoria della legislazione regionale, per quanto in un settore ove non emerge la necessità di costruire una rete di impianti collegati gli uni agli altri, e dunque in assenza di un imperativo di carattere tecnico che imponesse un’incondizionata subordinazione dell’interesse urbanistico ad esigenze di funzionalità della rete. Tale tecnica legislativa, proprio in ragione per un verso dell’ampiezza e per altro verso della indeterminatezza dell’intervento operato (con esso, infatti, si deroga indiscriminatamente all’intera legislazione regionale indicata), necessita di venire ricondotta a proporzionalità in via interpretativa, ciò che la formulazione letterale della norma consente.
Va osservato, infatti, che la disposizione impugnata ha per oggetto le leggi regionali «che prevedono limiti di localizzazione territoriale». Questa Corte ritiene che tale espressione linguistica sia stata impiegata dal legislatore esattamente nell’accezione che, sia pure con riferimento ad un caso peculiare, già si è visto ricorrere nella sentenza n. 331 del 2003, per distinguerla dall’ipotesi dei consentiti «criteri di localizzazione», ovvero per il caso in cui la legge regionale determini, qui con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un divieto di localizzazione tale da determinare l’impossibilità dell’insediamento e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa.
Non vengono coinvolte dalla deroga, pertanto, né la generale normativa regionale di carattere urbanistico, che non abbia ad oggetto gli impianti in questione, o che comunque non si prefigga di impedirne la realizzazione, né tantomeno le discipline regionali attinenti alle materie di competenza legislativa residuale o concorrente, che siano estranee al governo del territorio”.
Ebbene, cosi interpretato l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, laddove introduce una deroga alle leggi, statali e regionali, “che prevedono limiti di localizzazione territoriale”, deve escludersi ad avviso del Collegio che nell’ambito di operatività dello stesso possa ricondursi l’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, volto solo a statuire che “nell'ambito dell'intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….: a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”: conclusione cui per vero, almeno in linea di principio, pervengono tanto, come osservato, il giudice di primo grado, quanto la difesa dell’ENEL.
Ed invero, il citato art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, lungi dal precludere la localizzazione e l’insediamento di impianti di produzione di energia elettrica, si limita ad esprimere -in considerazione delle esigenze di protezione che la specificità del territorio considerato evidentemente pone- una opzione del legislatore regionale di preferibilità per gli impianti alimentati a gas metano, ammettendo una differente alimentazione solo a condizione che siano utilizzate “fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
Se così è, deve ritenersi che il citato art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, in alcun modo consenta di non tener conto, in sede di valutazione del progetto di centrale elettrica in contestazione, della specifica disciplina legislativa regionale richiamata.
Volendo ulteriormente chiarire il rapporto tra le previsioni normative in esame, può sostenersi che l’applicazione dell’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 -in specie nella parte in cui dispone che la riconversione delle centrali ad olio combustibili in centrale a carbone deve assicurare “l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”- presuppone che sia stata adeguatamente svolta la comparazione tra l’impatto ambientale potenzialmente proprio della centrale a carbone che si intende realizzare (certo considerato tenendo conto di tutte le concrete tecniche e cautele previste anche in funzione del soddisfacimento della appena citata regola ambientale posta dal richiamato art. 5-bis con riferimento specifico all’ipotesi della riconversione di precedente centrale ad olio combustibile) e quello correlato alla realizzazione e al funzionamento di centrale a gas metano: presuppone, più nel dettaglio, che all’esito di tale comparazione, l’autorità amministrativa competente abbia responsabilmente concluso per il minore o quanto meno equivalente impatto ambientale della centrale a carbone.
In difetto, allo stato, di un principio di legislazione statale che imponga la realizzazione delle centrali elettriche alimentate a carbone senza lasciare margini all’intervento legislativo regionale, e nella perdurante vigenza di una legge regionale volta ad introdurre, per quel contesto territoriale, un criterio di preferenza delle centrali elettriche alimentate a gas metano, salve fonti di alimentazione con minore o pari impatto ambientale, il coordinamento esegetico delle due fonti normative non può che aver luogo nei termini sopra descritti, imponendosi quindi una esplicitazione delle ragioni sottese alla indicata valutazione comparativa.
Esplicitazione motivazionale tanto più doverosa in un’ottica di trasparenza delle pur discrezionali scelte amministrative, a garanzia della loro ponderatezza e di una consapevole assunzione di responsabilità.
4.4. Tanto premesso, non può sostenersi che nel corso del procedimento amministrativo contestato in primo grado, ed in specie negli atti con cui lo stesso è stato concluso (parere della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS e decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, recante parere positivo di compatibilità ambientale), sia stata svolta la dovuta comparazione analitica e motivata tra l’impatto ambientale potenzialmente proprio della centrale a carbone che si intende realizzare e quello correlato alla realizzazione e al funzionamento di centrale a gas metano
Non può il Collegio non considerare, al riguardo, che in seno al procedimento conclusosi con il parere favorevole impugnato in primo grado, in specie dopo il riavvio dello stesso nel 2007, sono state anzi espresse perplessità in merito allo stesso studio di impatto ambientale presentato da ENEL proprio per quel che attiene al “confronto tra la riconversione a carbone e le altre soluzioni alternative”.
In termini, si esprime, in specie, il parere n. 244 del 30 giugno 2009 reso dalla Commissione regionale v.i.a. che, tuttavia, successivamente conclude in senso favorevole al progetto di riconversione limitandosi a richiamare l’art. 5-bis,d.l. n. 5/2009: disposizione dalla Commissione regionale interpretata come norma statale in forza della quale l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido può “essere effettuata purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle emissioni di almeno il 50% rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui al D. Lgs. 152/2006”.
Interpretazione non condivisa dal Collegio per le ragioni sopra illustrate.
Parimenti, nella nota n. 82234 del 29 giugno 2009, ARPAV- Dipartimento provinciale di Rovigo esprime non poche perplessità in merito alla metodologia e agli esiti del raffronto contenuto nella documentazione del soggetto proponente tra l’impatto ambientale della centrale a carbone e quello di alternativi impianti di produzione energetica diversamente alimentati.
In specie, sono espresse perplessità in merito alla metodologia seguita nel porre a raffronto le emissioni potenzialmente correlate alle due tipologie di impianti; si rimarca la mancanza di un confronto relativo ai rifiuti prodotti nell’esercizio delle due diverse centrali; si sostiene, ancora, la preferibilità dell’impianto a gas con riguardo all’emissione per l’inquinante NOx, agli altri microinquinanti SO2 e alle polveri.
Sul punto, merita considerare che, se è vero certo che il citato art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, nella formulazione successiva alla novella di cui alla l.r. 26 febbraio 1999 n. 18, non prevede più l’obbligo dell’alimentazione a gas metano o con altre fonti alternative non inquinanti limitandosi a prescrivere che nell'ambito dell'intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po “gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”, non è men vero, tuttavia, che la valutazione di “pari o minore impatto ambientale” dell’impianto a carbone proposto rispetto all’impianto alimentato a gas debba essere svolta dall’amministrazione in modo analitico, tenendo senz’altro anche conto dell’attitudine inquinante che le centrali a confronto presentano sotto i diversi aspetti che vengono in rilievo.
4.5. Ebbene, l’apprezzamento comparativo in questione non può non essere condotto in modo ancor più rigoroso allorché nel corso del procedimento amministrativo, ed in particolare nella sua fase finale, emergano, come registratosi nel caso si specie, perplessità espresse da organi tecnici dell’Amministrazione.
E’ proprio quanto, ad avviso del Collegio, è mancato nel caso di specie non ravvisandosi nel parere positivo di compatibilità ambientale impugnato in primo grado una compiuta illustrazione delle motivazioni sulla scorta delle quali la Commissione statale è in condizione di sostenere che la centrale a carbone proposta dall’ENEL -in considerazione delle caratteristiche tecniche, di potenza e di funzionamento in concreto previste, delle effettive condizioni del contesto complessivo, delle cautele e delle tecniche indicate dal proponente per soddisfare gli obblighi di abbattimento imposti dall’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 e di tutti gli altri fattori di valutazione- presenti un impatto ambientale minore o pari a quello di una centrale a gas metano.
4.6. Pare del resto persino superfluo osservare, attesa la indicata ricostruzione del quadro normativo di riferimento e la illustrata interpretazione dell’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, che la suddetta comparazione, lungi dal poter essere rimessa al soggetto che propone il progetto, deve essere adeguatamente svolta dall’Amministrazione pubblica, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che le compete; parimenti scontato, ma non inutile rimarcare, peraltro, che, in assenza di una adeguata motivazione che dia compiutamente atto delle ragioni sottese alle valutazioni di “preferibilità ambientale” dell’impianto a carbone rispetto ad “alternative di progetto”, non può certo il giudice amministrativo formulare, sulla base delle indicazioni difensive fornite in sede processuale, apprezzamenti di tipo tecnico, altrimenti finendo per sostituirsi, in spregio al fondamentale principio di separazione, all’amministrazione, invadendo uno spazio alla stessa riservato.
4.7. Alla stregua delle esposte ragioni, e fermi gli eventuali seguiti amministrativi, vanno pertanto accolti i motivi di gravame con cui è stato dedotto il vizio di omessa esplicitazione delle ragioni sottese alla valutazione di pari o inferiore impatto ambientale della centrale a carbone rispetto alle possibili alternative di progetto, in specie quella alimentata a gas metano.
5. Ritiene peraltro il Collegio di esaminare gli altri motivi proposti con il ricorso nei limiti non coperti dal necessario assorbimento per effetto dell’accoglimento del motivo sopra esaminato.
5.1. Vanno in primo luogo disattesi i motivi di gravame con cui si ripropongono le eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009.
La suddetta ricostruzione del più complessivo quadro normativo e quanto chiarito in merito al coordinamento della stessa disposizione statale con l’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, ed in specie con riguardo alla non riferibilità a quest’ultima della deroga alle norme regionali che prevedono “limiti di localizzazione territoriale”, induce il Collegio a concludere per la sicura irrilevanza dei profili di illegittimità costituzione riproposti con i primi quattro motivi di appello.
5.2. Va parimenti disatteso il sesto motivo di ricorso con cui si deduce l’illegittimità del decreto recante parere favorevole di compatibilità ambientale nella parte in cui, sulla base del parere espresso dal Comitato di coordinamento in data 9 luglio 2009, si è discostato, disattendendole, da talune prescrizioni cui la Regione Veneto ha subordinato il parere favorevole del progetto.
Non può al riguardo il Collegio che concordare con quanto sostenuto dal primo giudice atteso che non solo non manca una motivazione sottesa alla decisione di non accogliere talune richieste di modifica proposte in sede regionale, ma si tratta anche di motivazione che, considerati i limiti entro cui può svolgersi il sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica propria dell’amministrazione, non pare al Collegio affetta dai denunciati profili di irragionevolezza.
5.3. Il che consente al Collegio di disattendere anche il decimo motivo di gravame tanto più se si considera che, in realtà, il Comitato di coordinamento, di cui si lamenta l’incompetenza, è intervenuto a verificare la compatibilità delle prescrizioni contenute nel parere della Regione Veneto con quelle già incluse nel parere n. 285 reso dalla Commissione statale in data 29 aprile 2009.
5.4. Inammissibili sono i motivi con cui si ripropongono le questioni relative alla mancata partecipazione al procedimento della Regione Emilia Romagna e dell’Ente Parco.
E’ sufficiente, al riguardo, considerare che se le amministrazioni interessate non lamentano la violazione di garanzie eventualmente previste, non può essere il privato a sollevare in giudizio la relativa censura (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 824); il che è ancor più sostenibile allorquando il privato non introduca -come nel caso di specie si registra soprattutto per quel che attiene alla censura relativa alla mancata partecipazione della Regione- neanche elementi idonei a lasciar supporre una convergenza tra gli interessi pubblici affidati all’amministrazione in favore della quale sarebbe posta la garanzia procedimentale di cui si assume la compromissione e l’interesse a protezione del quale il privato stesso ricorre.
5.5. Va pure respinto il motivo di gravame con cui si censura la sentenza laddove non ha condiviso la denunciata omessa applicazione dell’All. IV) al d.P.C.M. 27 dicembre 1988, recante le procedure per i progetti termoelettriche a turbogas.
Ritiene il Collegio di condividere quanto al riguardo osservato dal primo giudice.
Ed invero, attese le perseguite finalità di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione e di sicurezza del sistema elettrico nazionale, deve ritenersi che l’art. 1-sexies, co. 8, d.l. 29 agosto 2003, n. 239, convertito, con modificazioni, nella l. 27 ottobre 2003, n. 290, nel disporre che “Per la costruzione e l'esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici si applicano le disposizioni del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 , convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55”, abbia anche riguardo alla sospensione dell’All. IV) al DPCM 27 dicembre 1988 che l’art. 1, co. 5, dello stesso D.l. n. 5 del 2002 aveva introdotto in via provvisoria.
5.6. Privo di pregio è il motivo con cui si lamenta la partecipazione ad entrambe le Commissioni del dott. Secchieri.
Premesso, invero, che non sussiste dato normativo dal quale sia consentito desumere il divieto di prendere parte ad entrambe le Commissioni (quella regionale e quella statale), certo non ravvisabile nel richiamato art. 51, co. 4, c.p.c. al cui ambito di operatività e alla cui ratio è estranea la vicenda procedimentale che viene qui in considerazione, ritiene il Collegio che alcuna incompatibilità può desumersi dal solo fatto che il dott. Secchieri abbia espresso sul progetto presentato dall’ENEL talune valutazioni al di fuori delle Commissioni cui ha partecipato.
5.7. Infondata è ancora la censura di illegittima composizione della Commissione VIA-VAS, dedotta con il dodicesimo motivo di gravame, ritenendo il Collegio di non doversi discostare dalle ragioni espresse nella sentenza di questa Sezione 17 dicembre 2009, n. 8253, le cui conclusioni non sono in alcun modo scalfite dai rilievi dedotti.
5.8. Non meritano condivisione, ancora, le censure relative al segmento procedimentale svoltosi al livello regionale, in specie riguardanti da un lato le modalità seguite nel condurre l’inchiesta pubblica ex art. 18, co. 3, l.r. 26 marzo 1999, n. 10, dall’altro, l’assunta violazione dell’art. 5, co. 1, della stessa legge regionale laddove dispone che la Commissione regionale VIA debba essere presieduta dal segretario regionale competente in materia ambientale.
Per quel che attiene alla dedotta strettezza dei termini della convocazione dell’inchiesta pubblica, non può il Collegio non concordare con il giudice di primo grado laddove ha osservato che lo svolgimento dell’inchiesta pubblica riguarda i soli soggetti che hanno presentato le osservazioni, ossia soggetti già a conoscenza del progetto sottoposto a VIA.
Quanto, invece, alla lamentata violazione dell’art. 5, co. 1, l.r. 26 marzo 1999, n. 10, desunta dalla circostanza dell’affidamento della presidenza della Commissione regionale VIA al Segretario generale infrastrutture e mobilità della Regione Veneto, è appena il caso di osservare, in linea con quanto condivisibilmente sostenuto nella sentenza gravata, che l’assegnazione della competenza in tema di VIA al dirigente di più alto livello che s’occupi pure delle infrastrutture e della mobilità, oltre ad essere espressione della potestà organizzatoria e statutaria della Regione, non pare irragionevole se si considera la natura complessa e trasversale delle funzioni pubbliche in tema d’ambiente.
5.9. Non merita positivo apprezzamento il motivo con cui si deduce che il decreto recante positiva valutazione di compatibilità ambientale autorizza concentrazioni di emissioni di microinquinanti superiori rispetto a quanto previsto nello stesso progetto presentato dall’ENEL.
Attesi i limiti che si frappongono al sindacato della discrezionalità tecnica dell’amministrazione, ritiene il Collegio che la scelta amministrativa, peraltro attestatasi entro i valori stabiliti dalla legge, non appare manifestamente irragionevole o abnorme nella parte in cui classifica i metalli per tipo, così divergendo dal riferimento indifferenziato per i metalli e loro composti effettuato dalla Commissione regionale VIA.
5.10. A differente esito deve, invece, il Collegio pervenire con riferimento al motivo con cui si ripropone la censura relativa all’assunta violazione del principio di precauzione conseguente allo scostamento tra le prescrizioni imposte all’ENEL per quel che attiene a taluni inquinanti (in specie il monossido di carbonio) e le BAT, ossia le linee guida comunitarie relative ai grandi impianti di combustione.
Come osservato nella sentenza gravata, le regole poste dai BREF, in specie quelle relative ai livelli d’emissione, non sono indicative di valori massimi inderogabili o di valori limite d’emissione per i singoli inquinanti, la relativa funzione essendo piuttosto quella di indicare seri modelli di riferimento da prendere in considerazione in funzione del miglioramento delle prestazioni ambientali.
Nell’applicazione delle indicate linee-guida, d’altra parte, occorre tener conto del tipo e delle peculiarità dell’impianto e del sito in cui lo stesso è destinato a collocarsi, apprezzandone la realizzabilità tecnica ed economica.
Con maggiore impegno esplicativo, diversamente da quelli che la legge effettivamente pone come valori limite, mai superabili quali che siano le concrete condizioni di funzionamento dell’impianto, quelli riportati nel BREF costituiscono un valore medio di riferimento; il che comporta che gli stessi non sono immediatamente vincolanti.
Ciò non significa affatto tuttavia -tanto più quando ricorrono, come nel caso di specie, peculiari esigenze di protezione ambientale correlate alla specificità del sito ove si intende realizzare la centrale - che le regole in questione possano considerarsi prive di alcuna rilevanza, dovendo esserne viceversa motivatamente giustificato lo scostamento.
Nel caso di specie, la Commissione statale VIA-VAS, dopo aver rimarcato “la necessità di studiare particolari soluzioni per garantire comunque minimi impatti complessivi” (23) e dopo aver richiamato le BAT, sostenendo che “i valori garantiti dal progetto risultano in linea” (34) con le stesse, in alcun modo esplicita le ragioni di tipo tecnico che giustificano viceversa lo scostamento da quei valori; scostamento che è dato registrare, nel progetto positivamente apprezzato, con riguardo a taluni inquinanti, in specie il monossido di carbonio per il quale, a fronte di un range indicato dalle BAT di 30-50 mg/Nm3, il decreto ministeriale autorizza un valore di 120 mg/Nm3.
Come già indicato ad altri fini sub n. 4.6., l’esplicitazione delle ragioni che se del caso giustificano lo scostamento, lungi dal poter essere rimessa al soggetto che propone il progetto, deve essere adeguatamente svolta dall’Amministrazione pubblica, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che le compete. In assenza, peraltro, di una adeguata motivazione che dia compiutamente atto di quelle ragioni, non può certo il giudice amministrativo formulare, sulla base delle indicazioni difensive fornite in sede processuale, apprezzamenti di tipo tecnico, altrimenti finendo per sostituirsi, in spregio al fondamentale principio di separazione, all’amministrazione, invadendo uno spazio alla stessa riservato.
Ferma, quindi, la possibilità dell’Amministrazione di rimotivare, va accolto l’indicato profilo di censura.
5.11. Va invece disatteso il motivo con cui si assume la carenza d’istruttoria sull’impatto globale delle emissioni inquinanti di CO2 e di altri “gas serra”.
Pare al Collegio rilevante, al riguardo, che, come osservato dal giudice di primo grado, il decreto imponga che, ai fini della diminuzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, la centrale de qua sia inserita nella sperimentazione, già in corso per quella di Brindisi, per la cattura e lo stoccaggio della CO2; il che esclude che possa sostenersi sia mancata una valutazione amministrativa sul punto, ferma la necessità che la stessa sia scrupolosamente osservata sotto il monitoraggio responsabile delle competenti autorità amministrative.
5.12. Vanno disattese per la loro genericità le censure dedotte con i motivi di ricorso nn. 22 (polveri sottili) e 23 (impatto sulla salute), ferma la necessità per l’Amministrazione di tener conto tra gli altri - nel riesercizio del potere dovuto per le ragioni indicate sub n. 4 e nell’attendere quindi alla motivata comparazione tra impatto ambientale della centrale proposta e di quello proprio delle alternative di progetto- dei fattore inquinanti indicati in specie nel richiamato n. 22 dell’atto di appello.
5.13. Inammissibili sono invece le censure relative all’impatto sul paesaggio, non deducibili in sede di impugnazione del decreto recante il positivo parere di compatibilità ambientale, bensì solo all’atto dell’eventuale impugnazione dell’autorizzazione unica.
5.14. Vanno respinti i motivi di ricorso con cui si ripropongono le censure di inadeguata valutazione d’incidenza dell’impianto per cui è causa sulle aree protette ove è previsto l’insediamento.
Ferma la necessità di tener conto di tale incidenza nel riesercizio del potere dovuto per le ragioni indicate sub n. 4 e nell’attendere quindi alla motivata comparazione tra impatto ambientale della centrale proposta e di quello proprio delle alternative di progetto, non può il Collegio non considerare che il parere espresso dalla Commissione statale in data 29 aprile 2009 non difetta di una disamina sul punto, concludendo per impatti esistenti, ma modesti sugli habitat e sulle componenti biotiche ed abiotiche delle aree comprese nel SIC e nella ZPS.
Conclusioni cui il parere stesso perviene sulla scorta di valutazioni tecniche relative a ciascuno dei profili dedotti dagli appellanti; valutazioni che, anche in considerazione dei noti limiti che si frappongono al sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica dell’amministrazione, non appaiono affette dai vizi denunciati.
5.15. Va pure disattesa la censura con cui si deduce l’illegittimità della valutazione d’incidenza per omessa informazione al pubblico dell’avvenuto deposito, ad opera dell’ENEL, dell’integrazione documentale richiesta dalla Regione; non può il Collegio non condividere quanto al riguardo sostenuto dal primo giudice allorché richiama e valorizza il principio di rilevanza e sostanzialità della documentazione integrativa di cui dare informazione, come poi positivizzato dall’art. 26, co. 3-bis, d.lgs. n. 152/2006.
6. Va infine disattesa la domanda risarcitoria sia perché priva di prova sia perché non può allo stato ritenersi prodotto alcun danno in conseguenza degli atti impugnati in primo grado.
7. Alla stregua delle esposte ragioni va dunque accolto l’appello; consegue l’annullamento, fermi i seguiti amministrativi, della sentenza impugnata e, nei soli limiti indicati sub nn. 4 e 5.10., del decreto prot. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009 e dei suoi atti presupposti.
8. Attesa la delicatezza e complessità dei profili involti, il Collegio dispone la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, lo accoglie.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente FF
Roberto Garofoli, Consigliere, Estensore
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)