Siamo abituati in questi mesi essere ad uno stillicidio di calcoli e grafici per provare alla politica e all’opinione pubblica quanto le rinnovabili siano costose per cittadini e imprese. Sebbene si sia risposto adeguatamente a questi ‘attacchi’, ritengo che farsi incastrare in un dibattito prettamente economico che si basa solo sul confronto sui prezzi del momento è un errore strategico per chi opera nel campo delle energie pulite. In questo senso si stanno perdendo di vista i veri valori sociali ed ambientali delle fonti rinnovabili, che evitiamo qui di ripetere.
Se ci pensiamo bene è un paradosso che i mandanti delle campagne (e delle conseguenti normative) che stanno strozzando il settore delle rinnovabili cerchino sempre in maniera artificiosa di separare i consumatori di energia dai cittadini/imprese, come se fossero soggetti distinti e come se non fossero gli stessi che alla fine pagano quelle tasse e contributi assicurativi per i costi sociali (le esternalità) causati dalla produzione energetica da fossili, spese che non figurano ovviamente nella bolletta.
L’argomento non è nuovo, ma la situazione è diventata talmente anacronistica che addirittura il Fondo Monetario Internazionale in un recentissimo rapporto lo rilancia alla classe politica e su scala mondiale. Getting Energy Prices Right: From Principle to Practice (qui sintesi – pdf) è il titolo del report che evidenzia come i costi di carbone, gas naturale, benzina e diesel non contengano mai i costi ambientali e sociali dovuti ai loro impatti, quali ad esempio per le emissioni di gas a effetto serra, l’inquinamento dell’aria, le morti per il traffico, ecc.
Secondo il documento, definire prezzi che riflettono questi impatti attraverso vari meccanismi fiscali o di altro tipo, potrebbe ridurre le morti collegate all’uso delle fonti fossili del 63%, diminuire le emissioni di CO2 del 23% e anche generare redditipari al 2,6% del Pil globale....
Eppure ci sembra un segnale significativo quando un personaggio, peraltro non particolarmente gradito alle nostre latitudini per le sue posizioni di politica economica neoliberista, come la direttrice del FMI, Christine Lagarde, afferma che “quando l’ambiente è degradato, anche l’economia si degrada”.
Il rapporto del FMI evidenzia in particolare il modo in cui 156 paesi, industrializzati e in via di sviluppo, potrebbero definire i prezzi dell’energia per calcolare i danni socio-ambientali. Aumentandone il prezzo, per rendere più realistico il vero costo della fonte fossile o del carburante, condurrebbe così ad un uso più attento dell’energia e a minori sprechi. Una riforma fiscale di questo tipo potrebbe anche produrre significativi benefici socio-economici, se ben ponderata anche per le fasce più povere del pianeta....
Effetti simili, ma anche benefici su fronte 'sanitario', potrebbero essere ottenuti tassando il carbone. In Cina potrebbe essere ridotte le morti per inquinamento da carbone almeno del 60% e negli Usa per il 47%.
Insomma, dietro questo forte messaggio, non sufficientemente evidenziato dai media internazionali, c’è la consapevolezza di alcune istituzioni economiche internazionali che la crisi ambientale ed energetica si stia facendo più acuta, e che non può essere disgiunta da quella economica-finanziaria.
Dal lato climatico registriamo infatti il raggiungimento dei 400 ppm, l’aumento delle temperature globali e degli eventi estremi, il continuo riscaldamento degli oceani e la forte perdita del ghiaccio artico in estate....
Ora il discorso è passare all’azione, contrastando con pazienza e decisione l’'intensa attività comunicativa conservatrice della lobby energetica convenzionale.
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