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29 dicembre 2017

L'inquinamento atmosferico è dannoso .....anche a piccole dosi

L'inquinamento atmosferico è dannoso ........anche a piccole dosi

Uno studio Usa pubblicato sul Journal of American Medical Association rivela l'associazione tra particelle fini PM2,5 e ozono e il rischio di morte prematura. Anche in caso di esposizione per brevi periodi e con emissioni sotto i livelli consigliati

NON C'È bisogno di respirare aria inquinata per lunghissimo tempo per danneggiare la propria salute. Sembra infatti che anche una breve esposizione all’inquinamento atmosferico, specialmente quello dovuto alle particelle fini (PM2,5) emesse principalmente dalle automobili, e all'ozono sia legata a un aumento del rischio di morte prematura. A evidenziare questa associazione uno studio pubblicato su Jama (Journal of American Medical Association), basato sull'analisi di una serie di dati raccolti in un arco temporale di 13 anni.

LEGGI  Unicef, 17 milioni di bambini al di sotto di un anno respirano aria tossica?

·FATTORI INQUINANTI E MORTE PREMATURA
I ricercatori hanno calcolato l'esposizione della popolazione statunitense alle particelle fini PM 2,5 e all'ozono (O3) utilizzando alcuni modelli matematici e hanno collegato questi dati con quelli sulla mortalità dell'intera popolazione americana, per tutte le cause. Si tratta di uno studio case-crossover, ovvero un disegno particolare caso-controllo, condotto su 22 milioni di americani over 65, assicurati con Medicare, uno dei programmi assistenziali statunitensi.

Dai risultati è emerso che ogni aumento giornaliero nel particolato (10μg /m3) e nei livelli di ozono (10 parti per miliardo) è associato a un incremento statisticamente significativo del rischio di morte nella popolazione esaminata. 

"Abbiamo scoperto che il tasso di mortalità aumenta quasi in modo lineare con l'aumento dell'inquinamento atmosferico, e
qualsiasi livello, indipendentemente dalla sua gravità, è dannoso per la salute umana", commenta Francesca Dominici,
autrice dello studio. 
I ricercatori hanno infatti dimostrato che tale rischio di mortalità si riscontra sia a breve termine che per livelli di inquinamento inferiori a quelli attualmente permessi dagli standard nazionali, suggerendo dunque che questi parametri andrebbero rivisti.

27 dicembre 2017

Recommon :Axa abbandona il carbone, la Banca mondiale i combustibili fossili

Tratto da Recommon

Axa abbandona il carbone, la Banca mondiale i combustibili fossili

Il terzo gruppo assicurativo del Pianeta, la francese Axa, ha ufficialmente comunicato che intende uscire dal business del carbone, con disinvestimenti per 2,4 miliardi di euro. A latere del One Planet Summit tenutosi la scorsa settimana a Parigi, è stato lo stesso amministratore delegato Thomas Buberl ad affermare, inoltre, che la sua compagnia uscirà da asset per 700 milioni di dollari legati allo sfruttamento delle sabbie bituminose.
Già nel 2015 l’Axa aveva compiuto dei passi rilevanti per limitare i suoi investimenti nel comparto del carbone, ma la recente decisione è vista dalle organizzazioni che lavorano sul tema, tra cui Re:Common, come un passaggio di grande importanza, anche come esempio per le altri assicurazioni. Re:Common, infatti, auspica che provvedimenti del genere siano presi anche dall’Italiana Generali.
Negli stessi giorni anche la britannica Lloyd’s ha fatto sapere che intende ridurre il sostegno alla polvere nera, mentre a livello di istituzioni finanziarie internazionali è molto significativo il provvedimento della Banca mondiale. Dopo due decenni di campagne e di richieste da parte di organizzazioni e associazioni sia del Nord che del Sud del mondo, finalmente i banchieri di Washington hanno stabilito che dal 2019 non finanzieranno più progetti per l’estrazione dei combustibili fossili. Per la serie, non è mai troppo tardi.....

22 dicembre 2017

Il Cambiamento -Misuriamoci l'aria che respiriamo: boom di centraline low cost

Tratto da Il Cambiamento

Misuriamoci l'aria che respiriamo: boom di centraline low cost

In Toscana boom delle centraline low cost, installate dai cittadini e anche dagli enti 

locali,per misurare l'inquinamento "dal basso" e dare così alla popolazione il reale

 polso della situazione.

Misuriamoci l'aria che respiriamo: boom di centraline low cost
In provincia di Lucca ci ha pensato il Comune di Capannori a fare da apripista,                        mentre nelle province di Firenze, Pistoia e Prato i passi avanti sono stati fatti dal                    comitato Mamme No Inceneritore, che si batte per contrastare l'inceneritore della                            Piana fiorentina. Fatto sta che in Toscana si assiste a un vero e proprio boom delle                        centraline cosiddette "low cost" per la misurazione della qualità dell'aria e della                          presenza di inquinanti.
Sul territorio di Capannori è stato presentato il progetto sperimentale 'Air Quality',                            di cui è capofila il Comune e che vede come partner scientifici l'Istituto di Fisiologia                        Clinica e l'Istituto di Biometeorologia del CNR, il Dipartimento di Ricerca                        Traslazionale e delle nuove Tecnologie dell'Università di Pisa e Arpat.
A partire dal mese di gennaio sul territorio di Capannori saranno installate sei                    centraline low cost di piccole dimensioni (grandi all'incirca come una scatola da                               scarpe) di cui cinque fisse in aree urbane, extraurbane e rurali in fase di                  individuazione,  ed una mobile che sarà testata su un SAPR, comunemente                        chiamato drone, all'interno dell'aeroporto di Capannori, che è l'unica infrastruttura                       aeroportuale italiana autorizzata all’uso di UAV. Una delle centraline fisse sarà                  collocata in prossimità della centralina di Arpat. La centralina low cost situata nel                    centro di Capannori servirà anche da reference per le altre presenti nelle aree più           periferiche, perché renderà leggibili i dati di tutto il sistema di monitoraggio della                  qualità dell'aria esteso sul territorio. Dati che, una volta dimostrata la coerenza tra i                 diversi sistemi di misura di particolato, potranno integrare i dati Arpat e saranno                   rilevati  ogni 2 minuti e visibili in tempo reale. Le centraline non misureranno infatti           pressioni ed emissioni di PM 10, ma lo stato della qualità dell'aria dato da un mix                         di fattori in modo da acquisire informazioni precise sulla distribuzione                    dell'inquinamento atmosferico nello spazio. Saranno infatti in grado di misurare             temperatura, umidità relativa, rumore, qualità del manto stradale, anidride                        carbonica, ozono, biossido di azoto, monossido di carbonio, PM 2,5, PM 10 e VOC         (componenti organici volatili). Questo nuovo sistema servirà a 'spazializzare' i dati                       di qualità dell’aria nelle zone periferiche del territorio.
I dati saranno caricati su un portale ad uso amministrativo per essere elaborati.
Questo nuovo sistema di rilevamento della qualità dell'aria, già testato al Polo Nord                      dai ricercatori del CNR, ha come obiettivo finale l'applicazione di una metodica                innovativa low cost che si pone come supporto agli amministratori nel decidere                          quali azioni mettere in campo per migliorare la qualità dell'aria per quei parametri            monitorati da Arpat, i ui dati sono disponibili online sul sito Arpat regionale.
I dati ottenuti dal nuovo sistema saranno considerati dati sperimentali, utilizzabili                        per la messa a punto e calibrazione dell’hardware di rilevamento, che in futuro sarà          impiegato su più larga scala al fine di effettuare uno screening più accurato del                  territorio a complemento dei dati acquisiti dalle centraline fiscali ARPAT già                      operative.Continua qui

20 dicembre 2017

Duke University :Le emissioni di vanadio crescono a ritmi vertiginosi

  • Tratto da http://www.rinnovabili.it

  • La ricerca della Duke University

    Le emissioni di vanadio crescono a ritmi vertiginosi

  • Fino a vent’anni fa, le emissioni di vanadio di origine antropica erano la metà di quelle naturali. Oggi il rapporto è capovolto a causa dell’uso di combustibili fossili

vanadio


Quali sono i rischi delle emissioni di vanadio per la popolazione?


(Rinnovabili.it) – Le emissioni di vanadio di origine antropica sono aumentate in maniera esponenziale dall’inizio del XXI secolo, soprattutto per causa del crescente uso di petrolio pesante, sabbie bituminose e coke di petrolio per la produzione di energia. Lo afferma una nuova ricerca della Duke University, la prima a quantificare gli input umani e naturali nel ciclo globale del vanadio.
Il vanadio è un metallo che si può rinvenire in molti materiali di origine geologica, tra cui petrolio e carbone. Viene emesso come particolato durante la combustione e può essere rilasciato anche durante le operazioni di estrazione e lavorazione. Le fonti naturali di emissioni di vanadio sono due: le eruzioni vulcaniche e l’operato degli agenti atmosferici sulle rocce. Fino a vent’anni fa, il rapporto tra emissioni umane e naturali di vanadio era di 0,59:1, poi una rapida crescita dovuta al maggiore uso di combustibili fossili ha invertito le proporzioni. Oggi, spiega il professor William Schlesinger, che insegna biogeochimica alla Duke e ha coordinato lo studio, «le emissioni umane di vanadio nell’atmosfera superano quelle di tutte le fonti naturali combinate di un fattore di 1,7».

I rischi per la salute derivanti dall’esposizione alle particelle che finiscono nell’aria non sono documentati come invece accade per altri contaminanti, ad esempio mercurio e piombo. Ma crescono le ricerche secondo cui il vanadio compromette le funzioni respiratorie e acuisce malattie come asma e polmonite cronica.
Le raffinerie di petrolio e coke – spiega Schlesinger – sono generalmente costruite in aree in cui i residenti non hanno peso politico o economico per contrattaccare, il che non facilita una regolamentazione delle emissioni. Ma la speranza dei ricercatori è che questa prima analisi che mette in risalto il boom del contaminante, possa portare presto all’apertura di un dibattito che sfoci in misure di riduzione tese a proteggere le popolazioni esposte.

19 dicembre 2017

Greenpeace: «brutto regalo di natale dell’UE ai cittadini europei: più carbone per tutti»

Tratto da Greenpeace

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Energia, Greenpeace: «brutto regalo di natale dell’UE ai cittadini europei: più carbone per tutti»

Comunicato stampa - 19 dicembre, 2017
Il Consiglio europeo ha adottato ieri sera l’accordo preliminare sulla riforma del pacchetto energia denominato, in modo quasi beffardo, “Clean Energy for All Europeans”. I ministri dell’energia riuniti a Bruxelles hanno infatti deciso di privilegiare carbone e altri combustibili fossili, anziché puntare sulle energie rinnovabili, e hanno confermato discutibili incentivi per le fonti fossili, decidendo di finanziare anche alcune tra le più inquinanti centrali a carbone del Continente. Inoltre hanno indebolito la proposta della Commissione Europea per quanto riguarda il diritto di cittadini, cooperative energetiche e comuni di produrre e vendere la propria energia da fonti rinnovabili.
Il Consiglio ha infine ignorato l’invito del Parlamento europeo ad aumentare l’obiettivo al 2030 per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili. Tutto questo nonostante l’attuale obiettivo sia troppo basso per rispettare gli impegni che l’Ue ha preso con gli Accordi di Parigi.
«Per l’industria dei combustibili fossili il Natale è arrivato in anticipo, grazie ai ministri Ue che ieri si sono pronunciati in favore di sussidi persino per alcune tra le centrali a carbone più inquinanti d’Europa», dichiara Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. «Il potenziale dei cittadini europei, invece, non è stato minimamente tenuto in considerazione, dato che il Consiglio Europeo sta sostanzialmente svuotando la proposta della Commissione per quanto riguarda il diritto di tutti di produrre e vendere energia da fonti rinnovabili».
Secondo Greenpeace, l’Italia ha giocato un ruolo molto marginale. Il ministro Calenda, assente a Bruxelles, ha infatti appoggiato tutte le richieste delle grandi aziende legate all’uso di carbone, petrolio e gas, boicottando completamente l’idea di supportare la produzione rinnovabile per i cittadini, le cooperative e i comuni.
«Un comportamento incomprensibile, visto che l’Italia abbandonerà il carbone entro il 2025 e ha tutte le possibilità per diventare leader nella produzione di energia da fonti rinnovabili», continua Iacoboni. «Calenda continua però a vedere solo un futuro pieno di gas, con impianti come il TAP a farla da padrone, senza considerare che l’unica strada per essere meno dipendenti dall’estero è quella di puntare su sole, vento ed efficienza energetica», conclude.
La palla ora passa nuovamente al Parlamento europeo, che dovrebbe finalizzare la propria posizione sulla direttiva sulle energie rinnovabili in un voto in plenaria previsto per la seconda metà di gennaio. A marzo è invece programmato il voto per la normativa denominata “Electricity Market Design”. Per quanto riguarda il Consiglio europeo ci si attende la conferma, il prossimo 26 febbraio, dell’accordo preliminare raggiunto ieri sull’intero pacchetto. I successivi negoziati tra le tre parti coinvolte (Parlamento europeo, Commissione e Consiglio) partiranno poi in primavera.

Traffico illecito di rifiuti, 6 arresti in Toscana

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Traffico illecito di rifiuti, 6 arresti. L’intercettazione: “I bambini? Che muoiano. Mi importa una sega se si sentono male”

Traffico illecito di rifiuti, 6 arresti. L’intercettazione: “I bambini? Che muoiano. Mi importa una sega se si sentono male”
rifiuti entravano ed uscivano dai cortili delle aziende specializzate, ma cambiavano solo le bolle di accompagnamento: da speciali e pericolosi diventavano “ordinari” e pronti per essere depositati in discarica. Ma in mezzo non c’era nessun trattamento. Alla faccia della Regione che non incassava le ecotasse, alla faccia dell’ambiente dell’alta Maremma, soprattutto alla faccia della salute degli abitanti. “Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale, che muoiano” sbotta con la sua cadenza livornese uno degli indagati dell’inchiesta della Dda di Firenze per traffico illecito di rifiuti, che ha portato a 6 arresti ai domiciliari
“Mi importa una sega dai bambini che si sentono male” prosegue l’addetto intercettato, riferendosi alla vicinanza della discarica a una scuola. “Io li scaricherei in mezzo alla strada i rifiuti”. Un altro degli indagati, più allarmato, si lamenta di alcuni rifiuti tossici che sono stati portati in discarica, sempre senza essere trattati: “Mi ci hanno messo tre o quattro big bag tipo toner – dice – me lo devono dire quando fanno queste cose, bisogna parlarne”. Ma poi li accetta, muto.Continua a leggere qui

18 dicembre 2017

Wwf : Brindisi, la centrale piu' inquinante d'Italia

Tratto da Wwf

Brindisi, la centrale piu' inquinante d'Italia

Notizie pubblicate su 18 December 2017
A Brindisi un incontro WWF per coinvolgere e aggiornare I cittadini sulla battaglia contro il carbone

 
La centrale di Brindisi è il simbolo della battaglia WWF per chiudere con il carbone in Italia, per la tutela della salute dei cittadini, del territorio e del clima globale. Per questo, dopo la Strategia Energetica Nazionale, che ha fissato l’obiettivo per l’Italia dell’uscita dal carbone entro il 2025, nell’ambito della campagna Stop Carbone, il WWF ha voluto condividere oggi con il territorio brindisino le nuove iniziative da prendere perché tale obiettivo diventi realtà, ribadendo l’urgenza di un impegno visibile e concreto a favore di un radicale e tempestivo cambio di rotta, per porre fine alle produzioni inquinanti e avviare il risanamento dell’area.
Questo uno dei principali temi emersi sabato 16 dicembre nell’ambito del convegno promosso dal WWF a Brindisi “Accelerare l'uscita dal carbone: il caso Brindisi, 24 anni di danni alla salute e al clima”, dove insieme ad esperti del settore, il WWF ha presentato un drammatico quadro dei danni ambientali, al clima e alla salute, causati dalla centrale Federico II negli ultimi anni alla cittadinanza e al territorio brindisino.
Da 24 anni, infatti, la centrale Enel di Brindisi Sud opera senza essere mai stata sottoposta a valutazioni di impatto ambientale e sanitario di alcun tipo.Leggi tutto 

16 dicembre 2017

Grondacci- Riforma della VIA in Liguria: rischio eliminazione di intere categorie di opere impattanti


Tratto da  Note di Grondacci

Riforma della VIA in Liguria: rischio eliminazione di intere categorie di opere impattanti

La Giunta Regionale ligure con il disegno di legge regionale n. 182 in fase di discussione in commissione consiliare competente ha deciso di abrogare la legge regionale 30 dicembre 1998, n. 38 che disciplina ad oggi la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale dei progetti ed opere elencati negli allegati di detta legge regionale.
L’abrogazione della vigente legge regionale avviene con l’articolo 14 del ddl n. 182 che definisce sommariamente le competenze in materia di VIA regionale rilasciate alla Regione e per il resto rinvia sostanzialmente alle procedure e alle norme della parte II al DLgs 152/2006 e relative allegati.
Secondo l’articolo 14 del disegno di legge regionale n. 182, l’abrogazione della legge regionale 38/1998 è in attuazione della nuova versione della disciplina della VIA nazionale in recepimento della nuova Direttiva UE 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.
Fino a qui nulla da eccepire anche se una abrogazione totale della legge regionale appare francamente ridondante visto che sempre la vigente versione del DLgs 152/2006 al comma 8 articolo 7-bis: “8. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonché l’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. La potestà normativa di cui al presente comma è esercitata in conformità alla legislazione europea”.

Il problema vero nasce invece dal fatto che l’articolo 14 del disegno di legge regionale n. 182 abrogando la legge regionale 38/1998 abroga anche gli allegati a quest’ultima che elencavano le categorie di opere sottoposte a procedure ordinaria (allegato 2) e a procedura di verifica di assoggettabilità a VIA (allegato 3).  Quindi per capire quali categorie di opere sono sottoposte a VIA ordinaria o a Verifica di assoggettabilità una volta che l’abrogazione della legge regionale verrà definitivamente approvata dal consiglio regionale, occorrerà guardare agli allegati alla parte II del DLgs 152/2006 (allegati III e IV).

Quello che però è mancato, nella predisposizione di questa abrogazione da parte della giunta regionale ligure, è una analisi puntuale che mettesse a confronto le categorie di opere elencate negli attuali allegati della legge regionale ligure sulla VIA e quelle elencate negli allegati al DLgs 152/2006.Continua qui

Toscana-Mamme No Inceneritore denunciano: "58 milioni di presunto danno erariale"

Tratto da www.gonews.it
Mamme No Inceneritore denunciano: "58 milioni di
 presunto danno erariale"sesto_fiorentino_mamme_no_inceneritore3

"A un anno di distanza dal primo esposto presentato in Procura, i firmatari hanno aggiornato il contenuto dell'Esposto e lo hanno ripresentato alla Procura della Corte dei Conti della Toscana e per conoscenza alla Procura Generale nazionale. Il dato che ne esce è già di per se allarmante: per il periodo 2008-2016, nei 12 comuni gestiti da Quadrifoglio si stima un presunto danno erariale pari a 58 milioni di Euro.  Il Sindaco di Firenze Dario Nardella, nelle sue recenti dichiarazioni, sostiene che l'inceneritore é necessario affinché "cittadini e imprese toscane non siano costretti a portare i loro rifiuti sottoterra e a pagare un sacco di tasse". 
Si è inoltre scatenata tra amministratori locali e regionali una "guerra dei rifiuti" e del "NO/SÌ inceneritore", portando alla ribalta della cronaca l'argomento. Con il nostro esposto segnaliamo, conti alla mano, che c'è già stato negli anni scorsi, e c'è tuttora, un indebito invio di rifiuti sottoterra (in discarica) e il pagamento di tasse più elevate. Ma quale ne è il motivo? La ragione è che i comuni, che sono responsabili della gestione dei rifiuti nel proprio territorio, sono rimasti ben al di sotto gli obbiettivi di raccolta differenziata previsti dalla legge, e questo per aver adottato un modello di gestione dei rifiuti che semplicemente NON permette di raggiungere questi obbiettivi. 
Le conseguenze sono: 1) più rifiuti smaltiti in discarica
2) più costi industriali e più tributi dovuti 
3) meno ricavi dai materiali diferenziati e riciclabili 
Le alternative per una corretta gestione dei rifiuti esistono, sono sempre più applicate in Toscana, in Italia e nel mondo e producono un ritorno economico importante, oltre a chiudere davvero il ciclo dei rifiuti. Al Governatore della Regione Toscana ribadiamo, come lo facciamo da ormai 3 anni, che noi siamo disponibilissime ad aprire un tavolo pubblico con cittadini e tecnici per ridiscutere seriamente il piano regionale di gestione dei rifiuti, che per noi deve cancellare il nuovo inceneritore di Firenze e prevedere lo spengimento degli altri inceneritori presenti in Toscana per passare a una vera economia circolare. Durante la conferenza stampa abbiamo infatti illustrato alcuni punti interessanti rispetto al dibattito attuale su inceneritore sì e inceneritori no e sulla gestione rifiuti in generale e abbiamo anche avanzato delle proposte concrete da adottare fin da subito dal presidente Enrico Rossi e il sindaco Dario Nardella". 
Il Comitato Mamme NO Inceneritore ONLUS


15 dicembre 2017

Inquinamento: alterato il 35% del DNA spermatico nelle zone ad alto rischio ambientale

Tratto da  insalutenews.it

Inquinamento e infertilità: alterato il 35% del DNA spermatico nelle zone ad alto rischio ambientale

Presentati nuovi dati del modello EcoFoodFertility, in ottica One Health, al 1° Congresso Nazionale Società Italiana di Riproduzione Umana – SIRU. Il seme maschile, precoce ‘sentinella’ della salute ambientale e globale; il rischio aumenta per gli abitanti nella Terra dei Fuochi e nell’area dell’ILVA di Taranto
dna-3
Roma, 15 dicembre 2017 – È allarme della sopravvivenza della specie umana nei Paesi occidentali e in particolare nelle zone ad altro rischio ambientale. Un’affermazione estrema supportata da studi recenti che dimostrano che la percentuale di milioni di spermatozoi per millilitro si sarebbe dimezzata negli ultimi 40 anni nei paesi occidentali (-59,3% nel numero netto di spermatozoi) e che circa il 35% dei casi di infertilità ha una causa maschile.
Le ragioni? Tra le principali, innanzitutto,sostanze chimiche presenti nell’ambiente, come metalli pesanti, diossine e negli alimenti come pesticidi – ma anche stili scorretti di vita, inquinamento elettromagnetico che possono ridurre la qualità e quantità degli spermatozoi ed essere in grado di modificare il DNA umano.
“Il sistema riproduttivo è, infatti, particolarmente vulnerabile alle interferenze dell’ambiente e il liquido seminale maschile sembra rappresentare lo specchio più fedele di quanto l’ambiente e lo stile di vita impattino sulla salute riproduttiva oltre che globale dell’individuo” ha dichiarato il dott. Luigi Montano, uno dei tre Presidenti Società Italiana di Riproduzione Umana, UroAndrologo dell’Asl di Salerno, in apertura del 1° Congresso Nazionale SIRU a Roma.
spermatozoi
Tra i temi di grande attualità del Congresso la denatalità, l’impatto dell’inquinamento, dei cattivi stili di vita sulla salute riproduttiva e in generale la prevenzione primaria e la ricerca insieme ad autorevoli rappresentanti del mondo scientifico e istituzionale nazionale e internazionale.
Nello specifico,sono stati presentati in anteprima nuovi dati del progetto EcoFoodFertility, ideato e coordinato dal dott. Luigi Montano. Un progetto interdisciplinare e multicentrico di biomonitoraggio umano, nato sulle problematiche della “Terra dei Fuochi” che analizza campioni omogenei per età, BMI e stili di vita di maschi sani residenti in aree a diversa pressione ambientale, che si sta allargando in diverse aree ambientali critiche d’Italia e d’Europa e che utilizza il liquido seminale come chiave di lettura del rapporto Ambiente-Salute, nella sua duplice funzione di precoce e affidabile sensore della qualità ambientale e della salute generale (Seme Sentinella).
Il fine è quello di valutare con più precisione l’impatto che l’ambiente, l’alimentazione e lo stile di vita hanno sulla salute umana, per avviare in attesa dei tempi lunghi del risanamento ambientale, attività concrete e immediate di prevenzione primaria attraverso regimi alimentari e modifica degli stili di vita che favoriscano la detossificazione naturale (‘bonifica’) dell’uomo nelle aree inquinate a salvaguardia della salute riproduttiva e globale.
I risultati dei primi studi pubblicati già su importanti riviste internazionali su 222 campioni selezionati da due aree campane ad alto (Terra dei Fuochi) e basso (Alto-Medio Sele, SA) impatto ambientale, già indicavano differenze statisticamente significative in termini di maggiore accumulo di alcuni metalli pesanti, di danni al DNA spermatozoario, di riduzione delle difese antiossidanti nel liquido seminale, di alterazioni della motilità spermatica, di maggiore lunghezza dei telomeri spermatici nei soggetti di Terra dei Fuochi rispetto a quelli del Salernitano.
Quelli in fase di pubblicazione e presentati in anteprima al congresso SIRU, invece, riguardano ulteriori 327 campioni provenienti dalle aree campane, da Palermo e dall’area dell’ILVA di Taranto che ulteriormente confermano l’estrema sensibilità del seme all’esposizione ambientale ed in particolare il DNA spermatico, parametro seminale che risente più precocemente del danno ambientale, alterato del 35% circa, quindi con danni significativamente maggiori nei soggetti residenti in Terra dei Fuochi e Taranto rispetto a quelli di Palermo e del salernitano.
In conclusione, il Progetto dimostra come la sensibilità del seme all’inquinamento stia aprendo nuovi scenari nella valutazione dell’impatto ambientale sulle popolazioni che vivono in aree a rischio, con applicazioni in programmi innovativi di sorveglianza sanitaria e misure di prevenzione primaria, nell’ottica del concetto della “One Health”, vista l’interdisciplinarietà dei temi e le sue proiezioni sulla salute globale. Il progetto, peraltro, si sta già avviando con la versione femminile.
In conclusione, dichiara il dott. Montano, “attraverso questo progetto si vuole esprimere un messaggio di salute globale che consideri la Fertilità un presidio di prevenzione, non solo per le patologie riproduttive, ma anche per quelle cronico-degenerative dell’adulto e a difesa delle generazioni future, in modo da proiettare la stessa Fertilità in una dimensione di più ampia portata per la salvaguardia della Salute Pubblica, passaggio quest’ultimo, sul quale l’attenzione è ancora superficiale e su cui la SIRU grazie al suo approccio multidisciplinare e aperto al territorio e alla società, attraverso una serie di attività che sono in corso e che verranno implementate, si sta già facendo carico e se ne farà nel prossimo futuro”.

14 dicembre 2017

Sull' Avvenire - Verso il disinvestimento. Ma la società civile stringe sull'uscita dalle fonti fossili

Tratto da L' Avvenire Verso il disinvestimento. Ma la società civile stringe sull'uscita dalle fonti fossili

L’abbandono di carbone, petrolio e gas sembra stia subendo una forte e improvvisa accelerazione: primi protagonisti la società civile, le forze di mercato, alcune istituzioni


Sembra non più una questione di 'se', ma di 'quando'. A giudicare da quanto avvenuto in occasione del grande vertice 'One Planet Summit' organizzato per i due anni dalla firma dello storico Accordo di Parigi, l’abbandono delle fonti fossili di energia (carbone, petrolio, gas) nella prospettiva della lotta al climate change sembra stia subendo una forte e improvvisa accelerazione. Che vede come primi protagonisti la società civile, le forze di mercato, alcune istituzioni, evidentemente capaci di andare molto più veloci degli Stati, che ancora non riescono a trovare la quadra quando si siedono ai tavoli dei negoziati sul clima. In questi giorni si è registrato al riguardo un fuoco di fila di annunci come forse mai prima. Il più importante è arrivato dalla Banca Mondiale: ha dichiarato che dopo il 2019 non finanzierà più attività legate all’estrazione di petrolio e gas. Riservandosi di farlo solo in casi eccezionali, per il gas, quando nei Paesi più poveri ciò può produrre chiari benefici in termini di accesso all’energia. E comunque sempre nel quadro di quanto è previsto nell’Accordo di Parigi. L’annuncio è stato accolto con enorme soddisfazione in particolare da parte di chi da anni premeva in tal senso. Come gli statunitensi di Oil Change International, che in vista del vertice di Parigi, nel ruolo di capofila di un gruppo di oltre 200 organizzazioni della società civile internazionale (fra cui Legambiente), avevano chiesto alle nazioni del G20 e alle banche multilaterali di sviluppo di mettere al bando sussidi e finanziamenti pubblici alle fonti fossili di energia il prima possibile, comunque non più tardi del 2020: si calcola che i Paesi del G20 da soli spendano quasi 450 miliardi di dollari l’anno per sostenere la produzione di energie fossili. Diversi colossi finanziari hanno annunciato di voler intensificare l’impegno di abbandonare le fossili e di investire nel green: la francese Axa, che nel 2015 si era impegnata a disinvestire 500 milioni di euro dal settore del carbone, ha portato l’impegno a 2,4 miliardi, contemporaneamente ponendosi l’obiettivo di 12 miliardi di euro di investimenti green entro il 2020. Similmente hanno fatto gli olandesi di Ing (stop al finanziamento di centrali a carbone entro il 2025) e i norvegesi di Storebrand (lancio di un fondo fossil-free da 1,3 miliardi di euro). Mentre in Gran Bretagna Jeremy Corbyn, leader dei Labour, è stato il centesimo parlamentare ad aderire a Divest Parliament, la campagna che chiede il fossil fuel divestment al fondo pensione dei parlamentari. Tutto ciò in un contesto già molto 'caldo', è il caso di dirlo, per le fonti fossili. Il 4 ottobre scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, citando anche la Laudato si’ di Papa Francesco, chiede senza mezzi termini a tutti gli attori finanziari di disinvestire dalle fonti fossili. Intanto il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima sta già lavorando al prossimo annuncio congiunto di organizzazioni cattoliche che aderiranno alla campagna per il disinvestimento dalle fossili: è in programma per il 22 aprile 2018, Giornata mondiale della Terra.

12 dicembre 2017

Nell' entroterra genovese a Valle Scrivia, è nato il Comitato “Chi inquina paga”

Valle Scrivia, è nato il Comitato “Chi inquina paga”

Tratto da http://www.inchiostrofresco.it/blog/2017/12/09/valle-scrivia-nato-comitato-inquina-paga/ 

La direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale è chiara e stabilisce le norme basate sul principio «chi inquina paga». Sostengono i rappresentanti del Comitato “Chi inquina paga”, ciò significa che una società che provoca un danno ambientale ne è responsabile e deve farsi carico di intraprendere le necessarie azioni di prevenzione o di riparazione e di sostenere tutti i costi relativi.

Per avere la certezza che la Direttiva venga rispettata in tutte le sue parti, consci degli innumerevoli precedenti tristemente distribuiti sul territorio nazionale, un gruppo di cittadini ha dato il via ad un comitato per la tutela dell’ambiente, con un concetto molto semplice: le aziende che operano su un territorio, di qualunque tipo esse siano, cioè non solo quelle inquinanti ma anche quelle che cessano l’attività, devono, provvedere a loro spese alle necessarie bonifiche ambientali e smantellare completamente il manufatto industriale.

Le aziende, private o pubbliche che siano, devono rispettare la normativa europea che prescrive l’obbligo, nel momento in cui cessa la propria attività, di restituire il territorio così come l’aveva trovato, in altre parole, deve provvedere  alla totale bonifica. Questa normativa riguarda non solo le attività industriali ma anche, ad esempio, l’edilizia, troppo spesso abbiamo visto infatti casi di imprese edili fallite che hanno lasciato in “eredità” costruzioni in abbandono, sprofondate poi nel degrado.

Il comitato è formato soprattutto da cittadini della Valle Scrivia genovese e della Val Polcevera ma vi sono anche aderenti da Genova e dalla bassa Valle Scrivia alessandrina. La zona presa in considerazione è fortemente investita da problemi di inquinamento, per via della presenza di attività ad alto impatto ambientale, dalla raffineria Iplom di Busalla, al cementificio Cementir di Arquata Scrivia fino all’acciaieria Ilva di Novi Ligure.

I rappresentanti del comitato chiedono al Governo di modificare la norma vigente introducendo strumenti che prevedano la certezza della disponibilità delle risorse per effettuare le bonifiche, ed  alle Istituzioni locali, di creare, nell’attesa del provvedimento legislativo, le condizioni per stipulare con le aziende un accordo che preveda  la creazione di un fondo vincolato nel quale le aziende dovranno destinare un quantum tarato sul costo di bonifica, congiuntamente stimato, o la stipula di fideiussioni bancarie che abbiano gli enti pubblici come beneficiari.

Il comitato chiede inoltre al legislatore, l’introduzione di una norma che vieti la vendita delle aree non più utilizzate dalle aziende quando non ancora bonificate ed il subordino di eventuali autorizzazioni propedeutiche ad eventuali percorsi di riconversioni alla completa bonifica delle aree. I rappresentanti del comitato, a tutela della sostenibilità dei costi, introducono l’innovativo concetto di non individuare importi di accantonamento predeterminati, ma percentualmente rapportati a l’utile netto di esercizio o al fatturato.