COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE.

QUESTO BLOG UTILIZZA COOKIES ,ANCHE DI TERZE PARTI.SCORRENDO QUESTA PAGINA ,CLICCANDO SU UN LINK O PROSEGUENDO LA NAVIGAZIONE IN ALTRA MANIERA ,ACCONSENTI ALL'USO DEI COOKIES.SE VUOI SAPERNE DI PIU' O NEGARE IL CONSENSO A TUTTI O AD ALCUNI COOKIES LEGGI LA "COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE".

30 dicembre 2020

I MIGLIORI AUGURI DI UN SERENO 2021 DA UNITI PER LA SALUTE


Immagine tratta da Facebook del Medico Isde G Ghirga

I MIGLIORI AUGURI PER UN 
SERENO 2021  DA UNITI PER LA  SALUTE ODV

Formuliamo i nostri migliori auguri di 
un Sereno 2021 a tutti i nostri lettori ,  collaboratori ed amici 
auspichiamo che sia decisamente  un 
anno migliore  del  problematico 2020.

 Vogliamo  rinnovare inoltre  
i nostri  migliori auguri,
anche a tutti coloro che , come noi,
 considerano, da sempre,  importante 
la tutela della salute 
dell' ambiente che ci circonda 
 e che  lottano con  noi per un futuro migliore

  
AUGURIAMO  UN SERENO  2021 A TUTTI


NATALE: CARTOLINE DI AUGURI ANIMATE E NON (BELLISSIME - FOTO) - NATALE 2014

ISDE ritiene necessaria un’ urgente transizione” dal fossile alle vere fonti rinnovabili, oggi disponibili.

                             Tratto da Isde 

ISDE replica al Presidente di Legambiente: ci si confronti con dati scientifici e non con pregiudizi
Sul fatto che ISDE ritenga necessaria e urgente una “transizione” dal fossile alle vere fonti rinnovabili, oggi disponibili, non ci sono dubbi.

Lo scorso 9 dicembre è apparso sull’allegato del Corriere della Sera, Buone Notizie, un’intervista al Presidente nazionale di Legambiente; nell’intervista, Ciafani, annovera la nostra associazione, Medici per l’ambiente, tra i ” finti ambientalisti” perchè ci opponiamo agli impianti a biometano, agli impianti di riciclo e alle acciaierie decarbonizzate.
Abbiamo ritenuto opportuno inviare alla redazione del quotidiano la nostra posizione, replicando alle accuse infondate.



                                Gentile Direttore,

abbiamo letto sul Suo giornale l’intervista di Elena Comelli al Presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, il quale in chiusura annovera i Medici per l’Ambiente fra i “finti ambientalisti” perché si oppongono agli “impianti a biometano, agli impianti di riciclo e alle acciaierie decarbonizzate”.

Sul fatto che ISDE ritenga necessaria e urgente una “transizione” dal fossile alle vere fonti rinnovabili, oggi disponibili, non ci sono dubbi.

Che questa analisi sia condivisa da autorevoli Enti e scienziati è altrettanto vero, soprattutto se si considera che le emissioni globali di metano stanno crescendo ad un ritmo allarmante, 596 milioni di tonnellate nel 2017 (Global Methane Budget) e che la maggior parte di queste emissioni proviene da attività umane come l’agricoltura, la gestione dei rifiuti e l’industria dei combustibili fossili (Agenzia internazionale per l’Energia).

E’ vero anche che la posizione di Ciafani è condivisa da altre associazioni come quella dei produttori europei di biogas, che sostengono l’alto potenziale del biogas per ridurre le emissioni di metano in agricoltura e promuovere lo sviluppo rurale, portando importanti profitti: i piani delle maggiori multiutility vanno esattamente in questa direzione.

Sul territorio nazionale si stanno moltiplicando le domande di installazione di centrali termo elettriche turbogas
giustificate dalla necessità di creare una riserva di energia che possa far fronte alle richieste di picco che si potrebbero verificare in caso di criticità. Invece di un ponte per il futuro, questo rappresenta un pericoloso ritorno al passato. Stiamo infatti ancora pagando le conseguenze economiche e ambientali di ritardi nel percorso verso forme di energia sostenibile causate dal decreto “sblocca centrali” del 2002, con il quale si disseminò il nostro Paese di centrali a metano in maniera assolutamente indipendente dalla loro effettiva necessità. Oggi si vorrebbero riproporre errori già commessi in passato. Non ci risulta infatti che ci sia stata una valutazione da parte del Ministero competente dell’effettiva necessità di tali centrali, né dell’eventuale quantità, né che sia stata pianificata la loro eventuale ubicazione. Questo appare ancora più grave in considerazione del fatto che alle emissioni delle centrali-termo-elettriche, anche se con evidenza limitata, sono associati eccessi di malattie respiratorie, come l’asma bronchiale, tumori della trachea, dei bronchi e dei polmoni (studio Sentieri) e che le richieste riguardano spesso siti già compromessi dal punto di vista dell’ambiente e della salute.

Quanto agli impianti di digestione anaerobica di biomasse per produrre biometano, è acclarato che questi presentino numerose criticità strutturali, ambientali, agronomiche e sanitarie, e che siano antitetici a quanto avviene normalmente in natura,dove la presenza di ossigeno caratterizza la degradazione della materia organica. Il compostaggio rappresenta il trattamento di elezione per il materiale organico e porta alla formazione di compost, materiale prezioso per restituire fertilità ai suoli contrastando il fenomeno sempre più grave della carenza di materiale organico e del riscaldamento globale, grazie al sequestro di carbonio organico.

È plausibile che la scelta della digestione anaerobica rispetto al compostaggio venga perseguita perché gode di cospicui incentivi, rappresentando un redditizio e sicuro investimento per i gestori. Questi, infatti, ovviamente non considerano i costi esternalizzati negativi, che sono a carico della comunità.

Per quanto attiene le “acciaierie decarbonizzate” (immaginiamo ex ILVA di Taranto), al progetto di mantenerla in attività sostituendo il carbone col metano ISDE ha dedicato uno specifico documento. Se è vero che l’abbandono del carbone come fonte energetica sia un’ovvia necessità, è altrettanto vero che occorre contestualizzare il problema. Diventerebbe così facile capirecome anche la combustione del metano, anch’esso combustibile fossile, inquina e comporta conseguenze ambientali, economiche e sanitarie rilevanti, soprattutto se finalizzato alla produzione di acciaio e all’alimentazione di processi di sinterizzazione. Sarebbe di conseguenza facile capire come purtroppo questa proposta non sia tollerabile in un territorio che da decenni paga costi economici, ambientali e sanitari altissimi e in una regione (la Puglia) da anni in cima alla classifica della produzione di gas clima-alteranti in ambito nazionale.

Secondo l’Energy Watch Group, una rete globale di scienziati e parlamentari senza scopo di lucro, il gas non è da considerarsi idoneo per la transizione energetica. Nel loro rapporto“Natural Gas Makes No Contribution to ClimateProtection” (anno 2019), affermano che «le emissioni aggiuntive di metano compensano qualsiasi risparmio di monossido di carbonio».

È stato calcolato da autorevoli ricercatori che il passaggio dal carbone al metano garantisce una modesta riduzione della produzione di gas clima-alteranti (circa 17% entro 40 anni). Per contro, emissioni fuggitive pari al solo 8% generano nello stesso periodo solo il 20% in meno delle alterazioni climatiche prodotte dall’utilizzo di carbone in un secolo di operatività.

A proposito di “energie rinnovabili”, ricordiamo che il fotovoltaico converte la luce del Sole in energia elettrica con un’efficienza di circa il 20%, quasi cento volte maggiore dell’efficienza della fotosintesi clorofilliana. Fotovoltaico ed eolico oggi sono le due tecnologie che forniscono energia elettrica ai costi più bassi, anche se accoppiate a sistemi di accumulo (Vincenzo Balzani).

Ci sono molteplici studi che indicano le possibilità tecnologiche di fornire energia a basso costo e abbondante per tutta l’Europa ricorrendo alle risorse rinnovabili
. Sappiamo come fare e ci sono risorse sufficienti per farlo, a patto di accettare che non si può continuare a far crescere esponenzialmente i consumi per sempre (Ugo Bardi).

Ci sembra che la crisi pandemica da Covid-19 debba essere letta con questa lente, che è l’unica che può portare a scelte di ripartenza virtuosa.

Per quanto riguarda poi gli “impianti di riciclo”, ISDE ritiene utili gli impianti preposti al reale recupero della materia, in coerenza con la gerarchia di trattamento dei rifiuti suggerita dalla stessa Commissione Europea.

Su questi argomenti ISDE ha contribuito con argomenti di merito in varie occasioni e con documenti di approfondimento scientifico (WWW.ISDE.IT)......

Riteniamo infatti più che mai urgente discutere, senza pregiudizi e con spirito collaborativo, su ciò che è davvero sostenibile e rispettoso dell’ecosistema e della salute umana e animale in accordo con la visione olistica dell’approccio One-Health, riconosciuto dalla Commissione Europea e dal Ministero della Salute italiano. La difficile ma urgente transizione verso un’economia compatibile con la natura ha bisogno di scelte basate sulla valutazione dei benefici netti per la salute e l’ambiente validati dalla scienza indipendente. È anche auspicabile il massimo di coesione tra soggetti a cui i valori sopra enunciati stanno a cuore.

Come indicato dall’IPCC non abbiamo più molto tempo a disposizione per passaggi intermedi che non vadano nella direzione di una drastica riduzione delle emissioni da subito se vogliamo evitare che i drammatici effetti della crisi del clima già in atto diventino irreversibili.

29 dicembre 2020

No a un inceneritore rifiuti proposto dalla Regione Liguria.

Riceviamo dal MODA e pubblichiamo 
No a un inceneritore rifiuti proposto dalla Regione Liguria


Un articolo recente de “Il Fatto Quotidiano” del 28 Dicembre 2020
riporta la notizia di un inceneritore di rifiuti proposto dalla Regione Liguria e che sarebbe finanziato con 103 milioni di euro con i fondi “green” del Recovery Plan.
Leggiamo nell’articolo de “Il Fatto Quotidiano”:
“ 103 milioni per un “impianto per utilizzo frazione ad alto potere calorifico da trattamento di rifiuti urbani, con generazione di energia termica ed elettrica”: in parole povere, un inceneritore. 
Al momento, la Liguria è una delle poche regioni italiane a non ospitare impianti di questo tipo,
La proposta di un nuovo inceneritore per la Liguria si cala in un contesto della gestione dei rifiuti che risulterebbe poco compatibile con le norme sull’ “Economia circolare” delle Direttive U.E.
Ecosavona infatti progetta addirittura un ampliamento della discarica
del Boscaccio di Vado Ligure(Sv) quando la Direttiva UE sulle discariche ne chiederebbe la quasi completa chiusura al 2035 ed inoltre, il progetto di Ecosavona prevede anche la fabbricazione di combustibile da rifiuti CSS in enormi quantità ( da 22.000 a 30.250 tonnellate/anno) prevalentemente  ricavato dalle plastiche che hanno un elevato potere calorico. 

Le plastiche (come CSS) quindi potrebbero essere incenerite nel nuovo impianto di combustione rifiuti.
Invece in alternativa, con una raccolta differenziata domiciliare spinta (tipo porta a porta) e anche in discarica con apposito macchinario detto “fabbrica dei materiali” che seleziona il rifiuto (RUR) residuale della raccolta differenziata,si potrebbe recuperare quasi tutto il materiale riciclabile, plastiche comprese.
E’ ben noto dalla letteratura scientifica internazionale che la combustione di derivati dei rifiuti (soprattutto delle plastiche)
metterebbero a rischio la salute della popolazione esposta ai fumi per 
l’ emissione nell’aria di pericolose diossine e metalli pesanti.

A nostro avviso OCCORRE QUINDI BLOCCARE FIN DA SUBITO IL PERICOLOSO PROGETTO DI UN INCENERITORE DI RIFIUTI CHE OVUNQUE FOSSE COLLOCATO POTREBBE INCIDERE SULLO STATO DI SALUTE DELLA POPOLAZIONE CIRCOSTANTE.

IN ALTERNATIVA CON I 103 MILIONI DI FINANZIAMENTO SI POTREBBERO RECUPERARE PIU’ DEL 90% SIA DELLE PLASTICHE CHE DEGLI ALTRI MATERIALI NEL PIENO RISPETTO DELL’ “ECONOMIA CIRCOLARE”,A TUTELA DELLA SALUTE DEI CITTADINI E PORTANDO ANCHE BENEFICI ECONOMICI PER LA VENDITA DEI MATERIALI E L’AUMENTO DELL’OCCUPAZIONE.
Savona, 29 Dicembre 2020
Virginio Fadda
M.O.D.A. Savona

28 dicembre 2020

Recommon : Covid 19 e la lobby dell’industria fossile

 Covid 19 e la lobby dell’industria fossile

Una crisi sanitaria globale, l’attenzione planetaria si è concentrata sulla pandemia: i tempi dilatati del lockdown, i lutti che hanno colpito le famiglie, le comunità, i decreti per cercare di risollevare l’economia in crisi, gli stanziamenti europei. Il difficile equilibrismo, che lascia fuori gli emarginati, ha dei risvolti che hanno, a volte, dell’incredibile.

L’industria dei combustibili fossili sta sfruttando la pandemia di COVID-19 per consolidare il proprio potere, accaparrarsi il denaro pubblico destinato alla ripresa e promuovere false soluzioni alla crisi climatica, che non fanno altro che aggravarla.

Questo è il tema della quinta puntata di #Omissis, il podcast prodotto da Re:Common, con la sapiente regia di Angelo Miotto.

Ascoltala ora:


27 dicembre 2020

Biodigestori: cosa dice la legge sulla pianificazione pubblica

Tratto da Note di Marco Grondacci  

Biodigestori: cosa dice la legge sulla pianificazione pubblica e l’ultima sentenza del Consiglio di Stato 

Il proliferare di progetti di biodigestori in giro per le regioni italiane, anche in aree dove il fabbisogno di trattamento dei rifiuti organici è coperto da impianti esistenti, spesso si fonda su una tesi interpreta in modo forzato (e a mio avviso illegittimo) la vigente disciplina della gestione dei rifiuti. 

La tesi l’ho recentemente ritrovata espressa per il caso del progetto di  biodigestore proposto in provincia di Pesaro che sto seguendo a supporto dei comitati locali.

La tesi è la seguente: “il biodigestore in quanto impianto di recupero di frazione differenziata (rifiuto organico) non rientra nella privativa pubblica ex articolo 182-bis DLgs 152/2006 e quindi i siti le dimensioni di questi impianti non rientrano nella pianificazione pubblica regionale o provinciale mentre vi rientrano le discariche e gli inceneritori che trattano il rifiuto indifferenziato. “

È fondata giuridicamente questa tesi ? A mio avviso non è fondata e spiego si seguito perché concludendo poi con una recentissima sentenza del Consiglio di Stato che conferma il ruolo della pianificazione pubblica anche per gli impianti che trattano il rifiuto post raccolta differenziata.........

CONCLUSIONI  

Quindi è la Regione che deve definire le esigenze impiantistiche i criteri di localizzazione e la tipologia degli impianti, saranno le Province a definire i siti dove collocarli negli ambiti definiti dalla stessa legge regionale e quindi recepiti nei piani di ambito. 

L’autosufficienza quindi deve essere definita nella pianificazione pubblica e il come verrà applicata dipendere dagli ambiti in cui è suddivisa la Regione e lo stesso principio di prossimità potrà essere derogato in parte solo se l’ambito regionale ma anche qui sempre confrontando scelte diverse in modo da evitare che il principio della  libera circolazione non crei squilibri nella chiusura del ciclo rifiuti sia in termini ambientali che di efficienza ed economicità.

Non solo ma la sentenza del Consiglio chiarisce che se da un lato in caso di carenza di impianti rispetto ai fabbisogni di ambito (nel caso della sentenza ambito regionale) si possono autorizzare nuovi impianti il tutto deve essere sempre parametro all’effettivo fabbisogno che deve essere espresso dalla pianificazione pubblica e non certo dal libero mercato che rischierebbe di stravolgere l’equilibrio tra principio di libera circolazione e principio di prossimità come definito, dal Consiglio di Stato nella sentenza qui esaminata, quale principio: “individuato come l’opzione preferibile tra più scelte”. Opzione che non può che essere oggetto della pianificazione pubblica regionale provinciale e di ambito e della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) quale procedura per garantire che vengano rispettate le FINALITA' AMBIENTALI della gestione dei rifiuti di cui all’articolo 178 DLgs 152/2006.

Qui l’articolo integrale


22 dicembre 2020

L’inquinamento uccide Ella, aveva solo 9 anni. Da Londra la storica sentenza

Tratto da Il digitale

L’inquinamento uccide Ella, aveva solo 

9 anni. Da Londra la storica sentenza

Ella Kissi-Debrah soffre di gravi cristi d'asma e muore nel febbraio del 2013. Oggi, dopo anni di inchieste e battaglie legali, arriva  la verità.

Ella Kissi-Debrah, una bambina di soli nove anni, asmatica, è morta nel febbraio del 2013 a causa dell’inquinamento atmosferico. La notizia arriva dalla South Circular Road a Lewisham, nel sudest di Londra, tra le strade più trafficate della capitale britannica.

La sentenza giunge dal medico legate Philip Barlow, dopo la lunga inchiesta condotta da Rosamund, la mamma della piccola, che non ha mai voluto accettare il referto del primo coroner anni fa, “morte per cause naturali”. Il primo caso nella storia del Regno Unito in cui si riconosce la cattiva qualità dell’aria come causa di decesso

Il premier britannico Boris Johnson annuncia la sua rivoluzione verde.

La morte della piccola Ella, uccisa dall’inquinamento

Ella è una bambina, soffre di gravi crisi asmatiche che costringono la mamma Rosamund a portarla nell’arco dei suoi soli nove anni di vita ben trenta volte all’ospedale, la maggior parte delle quali negli ultimi tre a cause di seri attacchi convulsivi. La malattia è aggravata dallo smog che circonda la sua abitazione e la sua quotidianità, la South Circular Road a Lewisham è una strada molto battuta, tra le più trafficate di Londra. 

Nessuno però avvisa la piccola e la sua famiglia che vivere in quella zona e soprattutto respirare quell’aria può esserle letale per Ella.

La perdita di un figlio è un dolore incommensurabile, la rassegnazione è miraggio soprattutto quando si sente che non è stato fatto quel che si doveva, soprattutto quando non si riesce a credere a quella “morte per cause naturali”. Rosamund non trova pace e vuole la verità.

La morte della piccola Ella e l’inchiesta della mamma: l’inquinamento contro il diritto alla vita

 È dal dolore che spesso si trova la forza per reagire e agire. Rosamund vuole verità e giustizia per sua figlia. I medici e le autorità, a detta della mamma, non hanno mai palesato il rischio e la gravità di esporre un corpicino così fragile, esile, con una salute così cagionevole a livelli così alti di biossido di azoto e polveri sottili come quelli che si riscontrano nelle principali arterie delle grandi metropoli. 

L’inchiesta parte da quel diritto espresso nell’articolo 2 della Legge sui diritti umani: il diritto alla vita. Un diritto negato a chi ha la sfortuna di esser malato, troppo debole rispetto alla forza di quei gas nocivi che appestano l’aria, e di vivere in un’aerea così contaminata da non riuscire più a distinguere l’aria pulita. Un diritto negato a colui che non viene avvisato dai medici della pericolosità dell’esposizione in certe condizioni a così tanto smog. Continua qui https://www.ildigitale.it/ella-uccisa-dallinquinamento-aveva-solo-9-anni/

20 dicembre 2020

Marco Grondacci : Un odg in Consiglio Regionale sui finanziamenti alla decarbonizzazione: domande a chi lo propone

 Tratto da Note di Grondacci.

Un odg in Consiglio Regionale sui finanziamenti alla decarbonizzazione: domande a chi lo propone

Il PD presenta (QUI) in Consiglio Regionale della Liguria un odg secondo il quale: La Liguria non si faccia scappare la grande opportunità offerta dal Just Transition Fund e cioè le risorse stanziate dalla Comunità Europea a sostegno dei territori interessati dalle trasformazioni economiche e sociali dovute all’abbandono del carbone. Nella nostra regione sono tre le province interessate da questo fenomeno.

La proposta in se non è sbagliata anche se viene presentata come una scoperta di questo partito quando in realtà come vedremo fondi di questo tipo sono previsti da tempo. Ma non mi interessa polemizzare ma invece capire  le reali volontà che stanno dietro la carta degli odg.  Perché quello che non è chiaro è quale rapporto c’è tra la richiamata opportunità del Just Transitione Fund con il progetto di centrale a gas da oltre 800 MW prevista a Spezia al posto della centrale a carbone, che peraltro è tutt’altro in procinto di essere chiusa a dimostrazione che gli allarmi che lancio da anni non erano fondati sul nulla come invece certe posizioni pseudo ambientaliste marcate dallo slogan “Basta Enel”!.

Allora se i fondi per la decarbonizzazione li leghiamo al progetto di turbogas spezzino sorgono domande precise da fare ad una forza di governo nazionale come il PD (ma anche i 5stelle dovrebbero chiarire visto il ruolo che hanno a livello nazionale).

Intanto prima delle domande voglio ricordare a chi presenta odg in Consiglio Regionale che la questione della transizione all’uscita dal carbone è di competenza statale in tutti i suoi aspetti mentre la Regione ha al massimo potere di Intesa sui singoli progetti di centrali a gas , superabile in Consiglio dei Ministri (studiarsi le sentenze della Corte Costituzionale QUI).

E VENIAMO ALLE DOMANDE... 

Esposizione della popolazione italiana all’inquinamento atmosferico, e relazione col Covid-19

 Tratto da deplazio.net

Esposizione della popolazione italiana all’inquinamento atmosferico, e relazione col Covid-19




covid inquinamentoatmosferico








L'inquinamento atmosferico è una delle principali cause di morte in tutto il mondo, e di recente è stato anche accostato alla pandemia di COVID-19.

Uno studio coordinato dal DEP Lazio ha così sviluppato modelli spazio-temporali che utilizzano molteplici fonti informative (dati satellitari, variabili di uso del territorio, meteorologia) e producono stime di concentrazioni giornaliere di materiale particolato (PM10 e PM2.5), biossido di azoto (NO2) ed ozono (O3) per ogni km2 del territorio italiano, ed ogni giorno nel periodo 2016-2019, le quali consentiranno di caratterizzare l’esposizione acuta e cronica della popolazione italiana e di valutare eventuali effetti avversi dell’inquinamento atmosferico sulla diffusione e la gravità dell’epidemia COVID-19.

Il modello spazio-temporale si conferma capace di catturare la variabilità del particolato (R2=0.78 e 0.74 per PM10 e PM2.5 rispettivamente) e fornisce stime attendibili anche per l’ozono (R2=0.76); per l’NO2 le performance del modello sono inferiori (R2=0.57). Le stime modellistiche sono state utilizzate per calcolare la PWE (population weighted exposure) come media annua pesata sulla popolazione residente in ogni singola cella, che rappresenta la stima dell’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico della popolazione italiana.

Queste stime sono pronte per essere utilizzate negli studi sull’associazione tra esposizione cronica all’inquinamento atmosferico e patologia da COVID-19, così come per indagini sul ruolo dell’inquinamento dell’aria sulla salute della popolazione italiana.

Clicca qui per andare al link della pubblicazione.           http://www.epiprev.it/materiali/suppl/2020_EP5-6S2/161-168_ART-Stafoggia.pdf

19 dicembre 2020

A Proposito dell’ex governatore Burlando ....

Comunicato Stampa di Unitiperlasalute Odv del 18 dicembre 2020

 In merito all'udienza del 15 dicembre scorso del processo Tirreno Power davanti al Tribunale di Savona in cui è stato sentito come testimone l'ex Governatore, si ritiene opportuno segnalare che le risposte generiche ed evasive fonite dal presidente della Regione su passaggi centrali della vicenda non si giustificano anche alla luce delle numerose note che gli furono inviate da parte di questa associazione e da diverse altre realtà corredate da corposa documentazione sulla pericolosità del carbone, compreso un incontro avvenuto in regione nel marzo 2011 e, in particolare, la nota inviata alla vigilia della conferenza dei servizi 2012. 

La conferenza dei servizi con l'assenso decisivo della Regione prima in occasione dell'autorizzazione alla costruzione del  nuovo gruppo  a carbone e poi per il rilascio dell'AIA nel dicembre 2012 diede limiti emissivi molto al di sopra dei valori indicati dai documenti europei sulle migliori tecniche disponibili e ancora oggi non riusciamo a capire il perché di questa decisione, peraltro in netto contrasto con la linea assunta dalla stessa Giunta regionale dal 2007 sino al luglio 2011.
Fu una decisione che ci ferì e ci ferisce ancora oggi, anche moralmente, perché le evidenze erano macroscopiche e molto semplici da interpretare e per questo non comprendiamo come l'ex presidente della Regione si trinceri dietro  generiche motivazioni dei propri tecnici di cui non è riuscito a dare una spiegazione e, soprattutto, senza esprimere una ragione plausibile per le decisioni politiche, assunta dalla sua Giunta.

L'azienda forse sosteneva di non essere in grado di non ridurre le emissioni minacciando la chiusura? In quel caso perché non si è approfondito con gli strumenti e i consulenti a disposizione della regione?

In realtà è bene sottolineare che l'azienda, a seguito del sequestro degli impianti a carbone del 11 marzo 2014 , nel maggio successivo presumibilmente nell'intento di farli riaprire presentò un progetto (ancora oggi pubblicato sul sito del Ministero) dichiarando di essere in grado immediatamente (dal maggio2014) di abbassare il limite di SO2 da 390/350 a 200 mgNm3 mensile con semplici interventi manutentivi e gestionali e dal 1 maggio 2016 addirittura a 150 giornaliero.

Quindi le domande sono: perché in Regione non avevano verificato per tempo questa possibilità? E perché queste  notevoli riduzioni non sono state prescritte anni prima visto che l'azienda era perfettamente in grado di farlo, limitando considerevolmente l'emissione di inquinanti molto pericolosi come il biossido di zolfo emesso sulle nostre teste?

L'ex Governatore aveva l'occasione di spiegarlo davanti alla legge e alla comunità che ha amministrato per anni.

Spiace che ancora una volta abbia perso questa occasione!

Nuovo impianto a gas Tirreno Power, il comune di Quiliano presenterà un'analisi critica ed una perizia

Tratto da Savona News  19 dicembre 2020,

Nuovo impianto a gas Tirreno Power, il comune di Quiliano presenterà un'analisi critica e una perizia dello studio di impatto ambientale

Sindaco Isetta: "Gli interessi dei cittadini di Quiliano, il problema del lavoro, quello della sicurezza ambientale, della salute, sono alla nostra attenzione"

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare lo scorso 23 novembre aveva comunicato ai comuni di Savona, Vado e Quiliano l’avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) in merito al progetto di realizzazione di una nuova unità a ciclo combinato nella centrale termoelettrica di Tirreno Power.

Contemporaneamente erano stati pubblicati sul sito del Ministero l’avviso pubblico, il progetto, lo studio d’impatto ambientale, la sintesi non tecnica, il documento relativo alla valutazione di impatto sanitari e la documentazione relativa alla valutazione di incidenza.

Da fine novembre quindi decorre il termine di 60 giorni entro il quale chiunque abbia interesse può presentare le proprie osservazioni concernenti la valutazione di impatto ambientale, anche fornendo nuovi ed ulteriori elementi conoscitivi e valutativi

Infatti il comune di Quiliano, tra i più critici per la realizzazione del nuovo impianto a gas, ha ritenuto necessario ricorrere ad una prestazione professionale che consiste nella redazione di una perizia giurata a supporto di un’azione di autotutela nei confronti del procedimento di VIA.

Costituendo così un’analisi critica della documentazione tecnica, con lo scopo di evidenziare le criticità del progetto di ampliamento e le ricadute dello stesso sul territorio comunale con particolare riferimento alla qualità dell’aria ed all’impatto sanitario.

 "Tema che va affrontato con urgenza e responsabilità. Gli interessi dei cittadini di Quiliano, il problema del lavoro, quello della sicurezza ambientale, della salute, sono alla nostra attenzione. Valuteremo con scrupolo e partecipazione, non dimenticando nessuna delle perplessità, problemi, che accompagnano un'operazione come questa, tanto improvvisa, quanto articolata e studiata. Per noi l'interesse dei quilianesi resta sovrano e imprescindibile e su questo vigileremo, studiando, approfondendo e decidendo coralmente nel modo più opportuno" aveva dichiarato il sindaco di Quiliano Nicola Isetta.

17 dicembre 2020

Recommon : Quattro scomode verità

Tratto da Recommon

         Quattro scomode verità 

Più che la soluzione per la crisi climatica, a noi l’idrogeno sembra una pericolosa distrazione dal necessario cambio di modello che milioni di persone in Europa e nel mondo chiedono a gran voce. Non solo per ridurre le emissioni di CO2, metano e altri gas climalteranti, ma anche e soprattutto per costruire un modello economico più giusto, sostenibile e finalmente libero dai combustibili fossili.

L’idrogeno “pulito” è una favola senza lieto fine

Il governo italiano ha trovato la soluzione alla crisi climatica: si chiama idrogeno. Per carità, Palazzo Chigi è in buona compagnia, con aziende, istituzioni e perfino alcune organizzazioni della società civile (non solo nostrane), pronte a festeggiare la buona novella, sulla quale sono state già redatte delle linee guida per una strategia nazionale. Prima di sognare un mondo in cui tutto sarà alimentato dall’idrogeno pulito e in cui la crisi climatica sarà solo un lontano ricordo, facciamo un bel bagno di realtà. 

Partiamo da un dato molto esemplificativo: attualmente meno dell’1% per cento dell’idrogeno prodotto nel mondo proviene da fonti rinnovabili. Del rimanente, circa il 90% proviene dalle odiate fonti fossili, principalmente gas e in parte carbone. Il governo italiano auspica di coprire al massimo il 20% dei bisogni energetici del Paese con l’idrogeno “verde”, ovvero prodotto con fonti rinnovabili, entro il 2050. Anche se tutto dovesse andare secondo i piani, cosa tutt’altro che scontata, così rimarremo con l’80% dei consumi coperto dalle fossili e solo in parte dalle rinnovabili già installate. Uno scenario di certo vantaggioso per la lobby del gas e dell’idrogeno, contrarie alla conversione alla piena elettrificazione incentrata sulle rinnovabili. Questo sarebbe il modo di affrontare realmente la crisi climatica?

Inoltre nelle linee guida per la strategia italiana si parla di “20% del fabbisogno coperto da idrogeno verde”, senza dire però dove verrebbe prodotto. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia(IEA), produrre idrogeno interamente da energia elettrica(rinnovabile o meno) porterebbe a una domanda di energia di 3.600 TWh, più del doppio dell’attuale generazione di energia all’interno dell’Unione europea. Ma non dovremmo, invece, imparare a contenere la domanda di energia e investire in efficienza?

Guarda il video dei gastivists:

Cambia la tecnologia, ma non il modello

La ricetta è sempre la stessa. Anche l’idrogeno verde è calato all’interno di un modello iper-centralizzato di produzione e distribuzione, che rimane incentrato sulle fossili. Un modello che si fonda su mega progetti e consumo di suolo, a discapito delle comunità e dell’ambiente. Un modello che accompagna – e non mette in discussione – l’espansione delle estrazioni di gas fossile, dall’Est Mediterraneo al Mozambico o all’Artico (solo per citare alcuni progetti). In altre parole, gas e idrogeno prodotto dal gas, procedono mano nella mano. Nulla di nuovo, e quindi di più democratico o sostenibile, sotto al sole.

Un modello sbagliato che per altro sarebbe imposto dalle corporation e dalle istituzioni europee anche a paesi esterni all’UE: entro il 2050, l’Europa vuole installare sul suo territorio 40 GW di rinnovabili per la produzione esclusiva di idrogeno e altri 40 GW alle porte dell’Unione europea. Tra i primi candidati troviamo l’Egitto e il Marocco, che sono già collegati all’Europa da gasdotti verso la Spagna e l’Italia, con mega-progetti di solare concentrato per l’export di energia. Progetti questi già criticati per l’importante quantità di acqua di cui necessitano, il che nelle zone desertiche rappresenta un limite significativo.

Ricapitolando, esiste un serio problema di modello estrattivista traslato sulle rinnovabili, con tutto l’addentellato di impatti nefasti che i progetti su larga scala provocano su contesti ambientali estremamente fragili o dove i diritti umani sono minacciati, come nel caso dei territori contesi del Sahara Occidentale sotto l’attuale sovranità del Marocco, dove si trovano alcuni dei mega progetti di solare concentrato di cui sopra. A corollario di tutto ciò è quasi inevitabile porsi una doppia domanda: crediamo davvero che l’idrogeno verde sia sostenibile?

Il cavallo di Troia del gas

La lobby dell’idrogeno è la stessa della lobby del gas. Una lobby potente, forte e strutturata, che sta in pole position per accedere ai finanziamenti europei del Recovery Plan e del Green Deal Europeo per modificare i gasdotti esistenti e attrezzarli per trasportare l’idrogeno. Così ci si porta un pezzo avanti per il futuro, rimanendo vincolati alle fossili. Ma intanto, come tra le righe ammette la stessa Snam, si continua ad andare a tutto gas, che finché esisterà e sarà richiesto dal mercato avrà la priorità sull’idrogeno.

Non è un caso che Snam sia tra i principali proponenti dell’idrogeno prodotto dal gas fossile, con o senza la promessa cattura delle emissioni (CCS), una tecnologia ampiamente messa in discussione dagli studi scientifici e tecnici. La narrazione sull’idrogeno sembra fatta su misura proprio per il settore estrattivo, che può continuare a espandersi e allo stesso tempo si presenta come attore di cambiamento. Ma è davvero questo “il cambiamento” che vogliamo?

Soldi per i soliti sospetti

Adattare gli impianti come i gasdotti per favorire anche il trasporto dell’idrogeno ha un costo tutt’altro che risibile e di cui nessuno parla. I soldi ce li dovrebbe mettere lo Stato, nemmeno a dirlo, perché secondo le aziende, quello che viene offerto è “un servizio al pubblico”. La verità è che si tratta di un’attività commerciale, chiaramente nelle mani di corporation che vendono dei servizi allo Stato e alla collettività per fare un profitto. Ma noi abbiamo davvero bisogno di questo “servizio”?

Invece di andare alle sempiterne corporation del settore estrattivo, queste risorse potrebbero essere veicolate verso lo sviluppo di un nuovo paradigma. Un immenso segnale di rottura con il passato, all’insegna del decentramento e dei bisogni reali delle persone, delle rinnovabili su piccola scala e controllate da comunità di persone invece che dalle mega corporation, e del mettere in rete. Un modello finalmente affrancato dalle immancabili “proiezioni di mercato sulla domanda di energia”, opera degli stessi colossi energetici, e che rinneghi il mantra della “crescita esponenziale dei consumi” per una più ragionata riduzione sulla base dei bisogni e non del profitto.    

16 dicembre 2020

Re:Common: «I 12 progetti che rischiano di distruggere il Nostro pianeta»

Tratto da Il Cambiamento

Re:Common: «I 12 progetti che rischiano di distruggere il pianeta»

Diciotto Ong internazionali, tra cui l'italiana Re:Common,
 lanciano il rapporto “I 12 progetti che rischiano di distruggere 
il Pianeta”. Lo studio prende in esame 12 mega-progetti fossili attualmente in fase di sviluppo che, se venissero realizzati, causerebbero il rilascio di atmosfera di 175 miliardi di 
tonnellate di anidride carbonica.

Re:Common: «I 12 progetti che rischiano di distruggere il pianeta»

Diciotto Ong internazionali, tra cui l'italiana Re:Common, lanciano il rapporto “I 12 progetti che rischiano di distruggere il Pianeta”. Lo studio prende in esame 12 mega-progetti fossili attualmente in fase di sviluppo che, se venissero realizzati, causerebbero il rilascio di atmosfera di 175 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. «Un volume di CO2 sufficiente a esaurire metà del budget di carbonio rimanente per restare al di sotto della fatidica soglia di 1,5 gradi Celsius» scrive Re:Common sul proprio sito.

IL RAPPORTO E' SCARICABILE QUI

«Oltre alle conseguenze per il clima, questi progetti comportano impatti negativi anche dal punto di vista ambientale e della salute delle persone, oltre a causare serie violazioni dei diritti umani - scrive l'associazione - A guidare l’espansione fossile ci sono società come l’italiana Eni, la francese Total, l’anglo-olandese Shell e le altre major dell’oil&gas, ma anche la finanza gioca un ruolo da protagonista. Dalla firma dell’Accordo di Parigi a oggi, le principali banche e i fondi di investimento mondiali hanno finanziato le società attive in questi 12 progetti con circa 3mila miliardi di dollari».

«Un fiume di denaro che dimostra come, nonostante gli impegni e le politiche di disinvestimento adottate in questi anni da molti istituti, per il clima la finanza non stia ancora facendo la propria parte. I 12 progetti analizzati rappresentano un test fondamentale per banche, assicurazioni e fondi di investimento. Le Ong che hanno realizzato il rapporto ritengono che per evitare gli impatti più catastrofici della crisi climatica occorre interrompere immediatamente i finanziamenti per quelle società che continuano a realizzare nuovi progetti fossili».

«Sono passati cinque anni dall’Accordo di Parigi, eppure il modello di business dell’industria fossile è rimasto immutato» ha dichiarato Alessandro Runci di Re:Common, tra gli autori del rapporto. «Società come Eni hanno continuato a espandersi, come in Mozambico, dove la scoperta di enormi riserve di gas si è trasformata in una maledizione per le comunità. Banche come UniCredit e Intesa Sanpaolo, quest’ultima tra le più fossili in Europa, devono smettere immediatamente di finanziare le società che stanno devastando il Pianeta», ha aggiunto Runci.

«Tra i casi più rilevanti inclusi nel rapporto c’è l’espansione dell’industria del gas in Mozambico, guidata da Eni e la francese Total, che sta causando devastazione e violenze nella regione di Capo Delgado. Nel Mediterraneo orientale, un’altra società italiana, Edison, è tra le proponenti del mega gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare i giacimenti di gas della regione, molti dei quali controllati da Eni, con i mercati europei - proseguono da Re:Common - In Suriname, la scoperta di un enorme giacimento di petrolio ha innescato una corsa all’accaparramento delle risorse che mette a rischio il delicato ecosistema del Paese sudamericano. Nel nord della Patagonia, Total e Shell sono tra le più attive nelle attività di fracking in quel territorio, nonostante persino le Nazioni Unite abbiano sollevato delle criticità, sia per gli impatti ambientali e climatici, che per quelli sulle comunità e i popoli indigeni che abitano la regione. Il carbone è invece il protagonista dei progetti in Cina, India e Bangladesh, dove l’industria si sta continuando a espandere, ignorando gli appelli della comunità scientifica ad abbandonare il carbone entro il 2040».

«Per quanto riguarda la finanza, i giganti americani Blackrock, Vanguard e Citigroup guidano la classifica dei maggiori finanziatori delle società coinvolte in questi progetti, seguiti dalle inglesi Barclays e HSBC e dalla francese BNP Paribas - aggiunge Re:Common - Ad alimentare l’espansione fossile ci sono anche le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit, che complessivamente, dal 2016 ad oggi, hanno finanziato con la cifra astronomica di 30 miliardi le società fossili che guidano i 12 progetti, con Eni in cima alla lista dei beneficiari. Va specificato però che mentre Unicredit ha recentemente adottato delle politiche sui combustibili fossili che vanno nella giusta direzione, Intesa Sanpaolo rimane il fanalino di coda tra le banche mondiali, e uno dei pochi istituti di credito europei a non aver ancora indicato una data per il phase-out del carbone».

Le Ong che hanno redatto il rapporto: The Conservation Council of WA (CCWA), The Center for Energy, Ecology, and Development, The Center for International Environmental Law, Coastal Livelihood and Environmental Action Network (CLEAN), Climate Risk Horizons, Enlace por la Justicia Energética y Socioambiental (EJES), FARN, Framtiden i våre hender (Future in our hands), Friends of the Earth U.S., The Friends of the Earth France, The Global Gas and Oil Network (GGON), Global Energy Monitor (GEM), Oil Change International, Rainforest Action Network, Reclaim Finance, Urgewald, The Leave it in the Ground Initiative (LINGO), Re:Common.

15 dicembre 2020

Medico Isde G. Ghirga : Iniezione di alluminio in aerosol nella stratosfera, grave minaccia per la salute mentale dei bambini

Tratto comedonchisciotte

Iniezione di alluminio in aerosol nella stratosfera, grave minaccia per la salute mentale dei bambini


L’attenzione pubblica è fissa sul Covid ma dovremmo interessarci anche ad altri inquietanti progetti come, ad esempio, la Geoingegneria Solare con l’uso di polveri tossiche.

L’iniezione di aerosol di polveri fini (solfati, ma anche ossido di alluminio) – che  vengono immesse nella bassa stratosfera al fine di riflettere parte dei raggi solari e ridurre temporaneamente la temperatura terrestre – è una tecnica  di geoingegneria che ha come scopo quello di mitigare i danni causati dal riscaldamento globale. 

Peccato che non sia così innocua, anzi è una seria minaccia per i bambini perché ne modifica il comportamento e ne compromette il normale sviluppo neurologico. L’alluminio, in particolare, è neurotossico e, nebulizzato in particelle piccolissime nell’aria, può raggiungere il sistema nervoso direttamente attraverso le terminazione olfattive presenti nelle cavità nasali.

La denuncia arriva da Isde-Associazione Medici per l’Ambiente attraverso le parole del dottor Giovanni Ghirga che il 4 dicembre ha partecipato con un intervento sul tema all'”Excellence in Pediatrics Conference” di Amsterdam.

*************

www.isde.it

Di seguito riportiamo l’intervento del Dott. Giovanni Ghirga ( membro di ISDE Italia) in occasione di Excellence in Pediatrics Conference (virtual for COVID-19) 

La pandemia da COVID-19 finirà ma i Cambiamenti Climatici sembrano inarrestabili, con tutte le loro conseguenze, compresi alcuni progetti come la Geoingegneria Solare con l’uso di polveri tossiche.

La Geoingegneria solare che utilizza aerosol di ossido di alluminio nella stratosfera è una seria minaccia per la salute mentale globale dei bambini. L’iniezione di aerosol di polveri fini, iniettate nella bassa stratosfera al fine di riflettere parte dei raggi solari e ridurre temporaneamente la temperatura terrestre, è una tecnica  di geoingegneria che ha come scopo quello di mitigare i danni causati dal riscaldamento globale (Harvard’s Solar Geoengineering Research Program).

Questa tecnica vuole copiare cosa è accaduto dopo le grandi eruzioni vulcaniche come quella del Mount Pinatubo nelle Filippine. L’eruzione vulcanica fu seguita da una nube di polvere di solfati la quale, in 3 settimane, si diffuse su gran parte della terra e la coprì quasi totalmente in un anno. I due anni successivi all’eruzione, la terra ebbe un abbassamento della temperatura di circa 0.5 gradi Celsius.

Recentemente è stato dimostrato che gli aerosol con ossido di alluminio potrebbero essere utilizzati al posto dei solfati (anche essi molto tossici) per aumentare drasticamente la quantità di raggi solari che vengono riflessi e non raggiungono così la superficie terrestre.

Tuttavia, diversi studi epidemiologici suggeriscono che l’alluminio potrebbe non essere così innocuo come si pensava in precedenza.

L’alluminio è stato incluso tra le 200 sostanze chimiche neurotossiche che stanno silenziosamente erodendo l’intelligenza, modificando il comportamento e mettendo a rischio il futuro dei bambini. Questa è chiamata la “pandemia silenziosa” da sostanze tossiche, la quale compromette un normale sviluppo neurologico dei bambini.

Recentemente, il contenuto di alluminio del tessuto cerebrale ottenuto da donatori affetti da autismo è stato rilevato essere costantemente elevato. La elevata presenza dell’alluminio intracellulare nelle cellule non neuronali è stata una osservazione straordinaria nel tessuto cerebrale dei soggetti affetti da autismo e può fornire indizi sia sull’origine dell’alluminio cerebrale che su un suo possibile ruolo etiologico nel disturbo dello spettro autistico, in soggetti geneticamente predisposti. Inoltre, la prevalenza del disturbo dello spettro autistico è in aumento.

In Italia, secondo l’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio dei Disturbi dello Spettro Autistico (2019), un bambino ogni 77 (nella fascia di età 7-9 anni) ha un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi (4,4 maschi ogni 1 femmina).

In rapporto a questi dati, una tecnica come la geoingegneria solare che utilizza aerosol di alluminio (ma anche di solfati) può aumentare il rischio di un incremento dei disturbi del neurosviluppo.

Infatti, il tempo medio di permanenza di una particella nella parte inferiore della stratosfera è di circa 1-2 anni. Dopo l’eventuale trasporto nella troposfera, le particelle subiscono processi di miscelazione relativamente rapidi a causa di eventi meteorologici, turbolenze ed altri fenomeni, i quali causano una rimozione delle polveri iniettate mediante deposizione secca, sedimentazione o altro.

Alla fine, queste polveri tossiche ricadranno sulla superficie terreste, contaminando però prima l’aria che respiriamo.

Tutti i giorni assumiamo una certa quantità di alluminio attraverso il cibo. Tuttavia, questa forma di alluminio utilizzata nella geoingegneria solare è diversa perché legata a particelle talmente piccole che possono raggiungere il sistema nervoso direttamente attraverso le terminazione olfattive presenti nelle cavità nasali.

Clicca QUA per scaricare l’abstract

FONTE:ISDE 


13 dicembre 2020

Allarme Onu: «Fallimento suicida sul clima»

 Tratto da Il Cambiamento   

Nel 2020 caldo record. Allarme Onu: «Fallimento suicida sul clima»

Nel 2020 caldo record. Allarme Onu: «Fallimento suicida sul clima»

Il 2020 è destinato a passare alla storia non solo come l'anno della pandemia di Covid-19 ma anche come uno dei tre anni più caldi mai registrati. Dodici mesi segnati da temperature così roventi da poter persino superare il record stabilito nel 2016. Il cambiamento climatico avanza senza sosta ed il riscaldamento globale appare inarrestabile.

È il messaggio che ci dà in sostanza il Rapporto 2020 sullo stato del clima globale presentato a Ginevra da Petteri Taalas, segretario generale dell'Organizzazione mondiale della meteorologia dell'Onu (Wmo).

Nelle stesse ore in cui è stato divulgato il Rapporto, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha denunciato il fallimento "suicida" nella lotta al riscaldamento globale e affermato che la ripresa dalla pandemia di coronavirus potrebbe essere l'occasione per l'umanità di salvare il pianeta.

"L'umanità sta dichiarando guerra alla natura, questo è un suicidio. L'anno prossimo abbiamo l'opportunità di arrestare la distruzione e iniziare la guarigione. La ripresa dal Covid e il risanamento del nostro pianeta devono essere due facce della stessa medaglia", è stato l'appello di Guterres.

Da parte sua, Taalas ha messo in guardia sul fatto che "c'è almeno una possibilità su 5 che da ora al 2024 l'aumento della temperatura superi temporaneamente la fatidica soglia di 1,5° C dell'accordo di Parigi". Dal momento che le colonnine di mercurio segnano record continui di anno in anno, "il decennio 2011-2020 sarà il più caldo in assoluto mai registrato, con i sei anni più caldi a partire dal 2015", sempre secondo le valutazioni del Wmo. Gli esperti dell'Onu hanno fatto sapere anche che il calore degli oceani "è a livelli mai visti e oltre l'80% dell'oceano globale ha subito un'ondata di caldo marino durante il 2020, con ripercussioni diffuse per gli ecosistemi marini che già soffrono di acque più acide a causa dell'assorbimento di anidride carbonica (Co2)".

Nonostante il blocco del Covid-19, si osserva nel Rapporto, le concentrazioni atmosferiche di gas a effetto serra hanno continuato a salire, impegnando il pianeta ad un ulteriore riscaldamento per molte generazioni a venire a causa della lunga durata della Co2 nell'atmosfera.

Il caldo più torrido ha colpito l'Asia settentrionale, in particolare l'Artico siberiano, dove le temperature erano di oltre 5°C sopra la media. Il caldo siberiano ha raggiunto il suo picco alla fine di giugno con 38,0°C registrati a Verkhoyansk il 20 di giugno, provvisoriamente la temperatura più alta mai osservata a nord del Circolo Polare Artico.

Altra cattiva notizia è che il ghiaccio marino artico ha raggiunto il suo minimo annuale a settembre, classificandosi al secondo posto tra i meno estesi degli ultimi 42 anni, mentre la Groenlandia ha continuato a perdere massa anche se a un ritmo più lento. Al quadro dipinto dal Wmo, già di per sé preoccupante, si aggiunge il fatto che la stagione degli incendi - che ha devastato vaste aree dell'Australia, della Siberia, della costa occidentale degli Usa e del Sud America - è stata la più attiva negli ultimi 18 anni. L'Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) ha rincarato la dose e denunciato che i cambiamenti climatici sono la più grande minaccia al patrimonio naturale dell'Unesco (252 siti naturali) come i ghiacciai e le zone umide ed hanno messo la Grande Barriera Corallina australiana in condizioni "critiche".