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12 giugno 2005

CLIMA E CENTRALI A CARBONE.


IL GEOLOGO LANCIAVA L'ALLARME GIA' NEL 1994

E' cambiato il clima in Liguria? Ma sì,ce ne siamo accorti tutti, specialmente negli ultimi anni. La colpa? Delle tre centrali dell’Enel che funzionano lungo le coste della Riviera(Genova, Vado Ligure e La Spezia) specie da quando le ultime due sono passate ad un’alimentazione a carbone.

Lo sostiene, dati e studi alla mano, il professor Pietro Maifredi,geologo, docente di idrogeologia all’Universita di Genova. Che spiega in questa intervista com’è arrivato a simili conclusioni e lancia anche un suggerimento-appello agli operatori economico-turistici di tutta la regione per un’azione comune di richiesta dei danni all’ente elettrico di Stato.
Professor Maifredi, da quando studia i mutamenti del micro-clima in Liguria?«Da più di 15 anni. Ho denunciato la situazione già nel 1980 in un convegno a Genova, di cui ero segretario, su “L’uomo e il suo ambiente”.
Ho riproposto il problema ad una conferenza dell’Ilres, nell’89, sui
problemi della Liguria, in un rapporto di 500 pagine, l’ambiente veniva condensato in 20
e anche questa segnalazione è caduta nel vuoto. Vista l’indifferenza dei liguri e la latitanza delle autorità, ho pensato di coinvolgere i più diretti interessati, gli operatori turistici.Se diventa di pubblico dominio che per trovare il sole occorre evitare la Liguria, il crollo del turismo è inevitabile: dico questo non per disfattismo ma con spirito ottimistico, perchè le cose non sono così nere come sembrano se si riuscirà a smuovere la pubblica opinione».
Che cosa provoca il cambiamento del tempo?
«Le centrali, con qualsiasi combustibile lavorino, emettono in atmosfera inquinanti di vario tipo che non dovrebbero superare certi limiti.
Ma esiste un particolare inquinante, le cosiddette ceneri impalpabili, che è ammesso in quantità rilevante poiché la sua ricaduta al suolo è molto lenta e non sono ancora dimostrati i molto probabili effetti negativi sulla salute della popolazione. ( NOTA DI UPLS:Nel 1994 non erano erano ancora dimostrati ma oggi c'è ampia letteratura scintifica che dimostra gli effetti negativi delle polveri sottili sulla salute delle polazioni esposte)
Queste polveri, emesse in migliaia di tonnellate all’anno e trasportate a circa 500 metri di quota dalla forza ascensionale dei fumi delle due grandi centrali dì Vado e La Spezia hanno però un difetto notevole: ogni minuscola particella costituisce un nucleo di condensazione attorno al quale si forma una goccia d’acqua se nell’atmosfera è presente un'umidità elevata.

Dove c’è una catena montuosa importante parallela al mare, come in tutta la Liguria, quando spira vento di mare è normale che si formino nubi, per il fatto semplicissimo che l’aria umida spostandosi rapidamente verso l’alto lungo i versanti esposti a Sud e costretta a raffreddarsi.
L’umidità relativa aumenta rapidamente perché l’aria fredda può contenere meno vapore d’acqua di quella calda e si arriva alla condensazione con formazione delle classiche nuvole da scirocco».
Però questo è normale, specie in primavera e autunno, quando si hanno le note
piogge equinoziali.
«E’ vero. Ma l’introduzione di migliaia di miliardi di microscopici nuclei di condensazione artificiali ha creato uno scompenso terribile poiché ora basta una qualsiasi brezza di mare da pochi chilometri all’ora perchè si abbia egualmente una condensazione con formazione di nubi stratificate altrettanto artificiali.Una quantità di fumo apparentemente irrilevante, se posta alla giusta quota e con adeguate condizioni di umidità atmosferica, diventa una scura nuvola che copre tutto il cielo.
Il problema diventa grave se si considera che il regime di brezza è proprio quello che dovrebbe corrispondere al bel tempo ed è quindi quello delle vacanze estive o invernali.La situazione peggiora dopo alcuni giorni perché la mancata insolazione fa cessare anche le brezze e così la nuvola diventa stazionaria».Ma si può riconoscere il fenomeno?
«E’ facilissimo. Il colore della luce che arriva a terra è marroncino-rossastro perchè al centro di goccia c’è una particella di carbone, mentre attraverso le nuvole normali il colore della luce tende all' azzurro.Il mare è completamente piatto a dimostrazione che si tratta di brezza e non di venti.
La cappa di nuvole è presente prevalentemente di giorno e si allontana quasi sempre di notte, se fa in tempo ad instaurarsi una brezza di terra.
E inoltre: i bollettini meteorologici, basati su dati di pressione atmosferica, danno regolarmente bel tempo.Difficilmente piove, al massimo si ha qualche gocciolina sparsa. Le nuvole
diventano ogni giorno più spesse e sempre più marroni, raggiungendo un massimo, alla
fine del "bel tempo" che in genere coincide con Ferragosto.
L’umidità del suolo, infine,diventa opprimente».
E tutto questo dove si verifica?
«In generale il fenomeno è limitato nello spazio dell’arco ligure e, salvo eccezioni, cessa a pochi chilometri oltre il crinale o a poche miglia in mare.
In molti casi è facile vedere il bel tempo a pochi chilometri dalla costa con nuvole bassissime a Finale o a Varigotti.
Andando a Vado, specie all’imbrunire, si vede direttamente il fenomeno con i fumi che originano una grande nuvola che si sposta verso Altare ( è lì che sono nati i famosi cartelli “strada sdrucciolevole per umidità dovuta ai vento di mare!”) e poi ritorna verso Finale.
L’influenza di queste emissioni in atmosfera è ben nota agli addetti ai lavori, anche se è piu studiata quella legata alle emissioni di ossidi di zolfo che del resto sono presenti anche in questi fumi in misura più o meno elevata.
Mi preoccupa il fatto che i giovani sono ormai convinti che questo sia il normale clima della Liguria. Ignorano che i cinquantenni hanno fatto in tempo
a vedere una Riviera con un sole degno di un’isola greca.
Su una pignolissima guida tedesca di pochi anni fa, quando già il fenomeno era evidente, si segnalava che nel periodo estivo la probabilità di trovare nuvolo in Liguria superava gli 8 giorni su 10. Secondo lei, professor Maifredi, che cosa si può fare?
«Non si tratta di spegnere le centrali anche se è un problema spinoso da affrontare visto che la Liguria sta producendo due terzi di energia per “esportazione” verso la Pianura Padana e solo un terzo, forse meno, con la crisi industriale, viene consumato in loco.

E’ un
servizio che viene pagato dai liguri in salute e posti di lavoro in meno, data l’importanza del turismo per la nostra regione. ...

Gli inconvenienti sono incominciati con l'invecchiare dei precipitatori elettrostatici, chedovrebbero eliminare quasi tutti i fumi, e con
la necessità di eseguire giornalmente le “soffiate”’ per la pulizia delle caldaie che vengono effettuate di notte soprattutto per ridurre i rischi legate a un eventuale blocco dell’impianto (o anche, malignamente, perché così nessuno vede) con l’espulsione in atmosfera di una quantita anomala di polveri.
Questo dimostra che l’Enel(e non solo..) non e in grado di mantenere gli standard previsti in una centrale moderna (quella di Genova non viene considerate perché ormai troppo vecchia)
e che delle sue promesse non ci si può fidare, cosa che hanno fatto, dopo lungo e sofferto iter, le pubbliche amministrazioni del Savonese e dello Spezzino, sempre con il ricatto dei posti di lavoro».Ma allora esiste una soluzione?
..... è indispensabile che l’Enel abbia un comportamento “trasparente” cosa di cui dubito molto e che soprattutto
, visto che gli enti locali hanno venduto per trenta denari il bel tempo dellaLiguria, vi sia un controllo rigoroso sui nuovi impianti di lavaggio dei fumi. Nel frattempogli operatori economico-turistici dovrebbero rivolgersi alla magistratura per chiedere i danni.
Se qualcuno si sveglia. c’è la speranza di non dover far vedere il sole ai nostri nipoti attraverso le videocassette di Piero Angela".
Pier Paolo Cervone

06 giugno 2005

2009/06/07 " ASPETTANDO…… L’A.I.A. DI ILVA TARANTO"

Tratto da PeaceLink

ASPETTANDO…… L’A.I.A. DI ILVA TARANTO

a cura di B. De Marzo (PeaceLink e A.I.L.)

Relazione illustrata il 3 giugno 2009 nella “Sala Atrio della Regione Piemonte” in occasione del convegno “Il caso Taranto – Il racconto di una storia emblematica di inquinamento”, organizzato dal Centro Studi SERENO REGIS – Ecoistituto del Piemonte .

Perché “il caso Taranto” a Torino? per la trasformazione di quel tessuto sociale e la cessazione del sogno dell’industrializzazione forzata, per la generale “omissione di soccorso” in una situazione eccezionale per dimensioni e varietà degli inquinanti, per l’emergenza che è in atto e non può più essere ignorata.

  1. Introduzione

Ho avuto esperienze professionali importanti, che mi consentono di parlare di cose conosciute sul campo. Le ho messe a disposizione del volontariato. In questo mondo variegato, affrontiamo anche le questioni ambientali che hanno fatto di Taranto una delle città più inquinate d’Europa. I mali sono antichi: circa 20 anni fa Taranto fu dichiarata, con legge dello Stato, “città ad elevato rischio di crisi ambientale”. Da allora la situazione è peggiorata.

Il nostro obiettivo è di combattere incompetenza, superficialità, cialtronaggine, specialmente se praticate in malafede e contro i legittimi interessi della popolazione. I nostri alleati sono Internet, che mette a disposizione una quantità immensa di informazioni, e l’Unione Europea (Commissione, Parlamento, Consiglio e Corte di Giustizia), che mette a disposizione la mediazione della cultura e della legislazione europea che, in campo ambientale, sono sicuramente più avanzate di quelle italiane.

Spesso ci capita di scoprire le magagne commesse da chi contava sulla superficialità generalizzata per far passare “porcherie” di vario genere. Tra esse primeggia il “sonno italiano sulla IPPC”: è la “porcheria” più grossa contro l’ambiente fatta dai Governi e dai Parlamenti succedutisi in Italia dal 1996 in poi.

  1. Il “sonno italiano sull’IPPC”

Percorso legislativo tortuoso e distratto

La direttiva 61/96/CE, detta IPPC (Integrated Pollution Prevention Control), è lo strumento cardine per l’attuazione di politiche ambientali che mirano a realizzare la riduzione complessiva dell’inquinamento prodotto dal settore industriale della Comunità Europea. Adotta un approccio preventivo ed integrato che punta ad evitare o ridurre le emissioni intervenendo alla fonte, nelle varie fasi del processo produttivo, attraverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale di competenza dello Stato o delle Regioni, a seconda delle caratteristiche degli impianti. La direttiva IPPC, oltre alla riduzione integrata dell’inquinamento, riguarda anche la riduzione dei consumi, l’efficienza dell’uso dell’energia e delle materie prime e “le misure necessarie per prevenire gli incidenti e limitarne le conseguenze”.

I passaggi legislativi per il recepimento della IPPC nell’ordinamento italiano e per il concreto raggiungimento delle finalità prefissate sono stati “tortuosi e distratti”. Un primo passo è avvenuto con la legge 128/1998 ed il D. Lgs 372/1999, rimasti, però, inapplicati, con conseguente procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea contro l’Italia. Il D. Lgs 59/2005 ed il D. Lgs 152/2006 hanno recepito quasi completamente la IPPC del 1996. Ad oggi, però, nessuna azienda italiana è in possesso di AIA di competenza statale.

Altre anomalie

Le Istituzioni centrali, emesse con ingiustificabile ritardo le norme per ridurre l’inquinamento, di fatto, ne hanno ostacolata l’applicazione con omissioni ed errori incredibili.

Il Ministro Pecoraro Scanio, ad esempio, esercitò lo spoil system e ritenne opportuno rinnovare la Commissione IPPC, deputata alle istruttorie delle domande di AIA di competenza statale. La nuova Commissione, però, per pastoie varie, fu insediata il 29 ottobre 2007 e i responsabili ministeriali, fin dal 1996, sapevano che il 30 ottobre 2007, cioè il giorno dopo l’insediamento, era la scadenza ultimativa entro la quale le aziende dovevano essere in possesso dell’AIA.

Il Governo italiano, proprio il 30 ottobre 2007 emette il ddl 180 con cui differisce i termini in materia di AIA scaduti proprio quello stesso 30 ottobre 2007. Il ddl viene convertito in legge il 12 dicembre 2007, con procedura d’urgenza (!).

Per inciso, forte di un tale precedente, anche il nuovo Ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo cambierà la Commissione IPPC.

Alla fine solo i cittadini pagano

In conclusione, alla data del 30 ottobre 2007 nessuna grande azienda italiana era in possesso dell’AIA e tutte hanno continuato a produrre ed a inquinare. Gli Italiani non sanno che al danno subito per l’inquinamento non contrastato si aggiunge la beffa delle salatissime multe che la Comunità Europea comminerà allo Stato italiano per infrazione della legge comunitaria del 1996 relativa all'AIA, multe che gli Italiani pagheranno con le tasse, mentre ai veri responsabili dell’infrazione, politici e ministeriali, non verrà comminata nessuna pena.

Tutto ciò la dice lunga sulla accettabilità delle politiche ambientali nel nostro Paese. E’ mancata la volontà politica a perseguire la riduzione integrata dell’inquinamento italiano o, peggio, sono state assecondate, e continuano ad essere assecondate, le richieste dei settori produttivi italiani che ritengono che il rispetto della direttiva IPPC sia incompatibile con la competitività dei propri prodotti. In più, strutture ministeriali a volte ostili o addirittura complici, improprie determinazioni politiche, veri e propri boicottaggi e prevalere di lobby hanno portato alla situazione attuale. Ad essa non è stato capace di porre rimedio neanche un Ministro “verde”, in carica all’ambiente per due anni. Eppure, almeno dalla Puglia e da Taranto in particolare, egli ha ricevuto ripetutamente denunce di associazioni ambientaliste, sanitarie e civiche oltre che di medici ed operatori sanitari sulle connessioni tra gravi patologie ed emissioni inquinanti.

  1. Autorizzazione Integrata Ambientale - AIA

Il dispositivo principe per ridurre l’inquinamento

Il già citato D. Lgs. 59/2005 “regolamenta la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività industriali e prevede misure intese ad evitare oppure, qualora non sia possibile, a ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, e per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel complesso”. Il dispositivo principe per realizzare tale protezione è l’AIA – Autorizzazione Integrata Ambientale – che è il provvedimento che autorizza l’esercizio degli impianti a determinate condizioni, atte a garantire che gli impianti siano conformi alle leggi e regolamenti specifici. Essa sostituisce ogni altra autorizzazione, visto, nulla osta o parere in materia ambientale.

I contenuti dell’AIA

  • L’AIA prescrive che le condizioni di funzionamento dell’impianto siano conformi a quanto autorizzato e che le emissioni effettivamente conseguenti all’attività produttiva siano entro i limiti fissati.
  • L’AIA recepisce le “Migliori Tecniche Disponibili” (dette anche MTD o BAT), cioè impianti e pratiche operative esistenti nel mondo, con emissioni inquinanti dai valori inferiori a quelli limite fissati.
  • I valori limite di emissione fanno riferimento alle MTD liberamente scelte, fermo restando l’obbligo di utilizzare tecniche efficaci per la riduzione di un grave impatto ambientale; in altre parole, per rispettare le norme di qualità ambientale, si devono impiegare impianti e pratiche operative più efficaci delle MTD descritte nel DM 31.1.2005.
  • Nell’AIA sono stabiliti controlli, a cura ISPRA (ex APAT), e relative metodologia, frequenza, procedura di valutazione, con obbligo di comunicazione all'Autorità competente.
  • A seconda della gravità dei reati, sono previste sanzioni penali fino all’arresto per due anni e forti ammende.

Il miglioramento ambientale è la priorità assoluta

  • Le disposizioni del D. Lgs. 59/2005 fanno dell’AIA uno strumento efficace e rigoroso per l’abbattimento dell’impatto ambientale, forte della affermazione che l’autorizzazione, per essere concessa, deve conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso.
  • L’Autorità competente a rilasciare l’AIA attiva il processo istruttorio e quello di controllo in base ai quali si definiscono gli interventi, obbligatori per il richiedente, che rendono realistico il miglioramento dell’impatto ambientale.
  • Attraverso l’AIA si effettua il controllo della situazione esistente, nel rispetto delle norme, e si punta al miglioramento della situazione data con riduzione delle emissioni, ricerca di forme alternative alle MTD o previsione di altre misure per abbattere l’inquinamento.
  • La procedura dell’AIA consente forti capacità di iniziativa da parte delle istituzioni locali coinvolte, nonché della società civile e delle sue espressioni.
  • La conoscenza attenta e consapevole della situazione e delle regole, la partecipazione, l’esercizio del diritto alla conoscenza della proposta, della concessione dell’AIA e del controllo, costituiscono, nel loro insieme, lo strumento decisivo per il miglioramento.
  • “Manovrata” opportunamente, l’AIA regola il vero, controllato ed efficace processo di ripristino e mantenimento di una accettabile situazione ambientale.
  • In sintesi, il rilascio dell’AIA deve essere vincolato alla realizzazione di un progetto di risanamento ambientale completo, credibile, realmente efficace, con tempi certi, con adeguate risorse economiche, senza dimenticare che nella Parte sesta del D. Lgs 59/2005 sono fissate le “Norme in materia di tutela risarcitoria contro danni all’ambiente”.

Il “pubblico interessato” è ignorato dai ministeriali

  • Il comportamento dell’Italia non è stato conforme ai principi di trasparenza, informazione e partecipazione del pubblico nelle procedure di autorizzazione fissati nella Direttiva 96/61/CE (IPPC) del 1996, Convenzione di Aarhus” del 1998, Direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE, “Protocollo di Aarhus” del 2004.
  • La sentenza del TAR di Lecce del 4 giugno 2008 (Prima Sezione, Registro Ordinanze 417/2008, Registro Generale 780/2008) ha ribadito l’obbligo ad assicurare la partecipazione del “pubblico” alla procedura per l’AIA, proprio in riferimento all’Accordo di Programma per Taranto e Statte.
  1. Il “pubblico interessato” all’Ilva di Taranto

La pressione del volontariato

Da oltre 40 anni i Tarantini subiscono le conseguenze delle emissioni inquinanti dell’Ilva, un tempo di proprietà dello Stato e nel 1995 acquistata dal Gruppo Riva.

L’importanza strategica per l’Italia di questo colosso siderurgico e la “benevolenza” dei potenti hanno fatto sì che per tutto questo tempo l’inquinamento ambientale prodotto dal più grande stabilimento siderurgico d’Europa non fosse contrastato come occorreva.

Negli ultimi anni, grazie all’impegno di cittadini variamente associati, l’inquinamento ambientale è finalmente diventato l’argomento principe del dibattito politico e sociale di Taranto.

Il dibattito ha reso consapevoli che:

  • l’ILVA è un “peccato mortale originario” dello Stato italiano, responsabile oggettivo della costruzione di uno stabilimento “mostre”, come recentemente ha riconosciuto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, all’epoca, sostenne la decisione, senza vederne le conseguenze negative;
  • il grave impatto ambientale, specie dell’ “area a caldo”, risale alla scelta iniziale della disposizione degli impianti, anche se si è aggravato negli ultimi anni;
  • il “proprietario privato” se non guadagna o passa la mano o chiude;
  • l’inquinamento ambientale industriale incide sulla salute dei cittadini;
  • i vari “Atti di Intesa” tra Regione, Enti locali, Sindacati ed Ilva, stipulati in pompa magna tra il 2003 e il 2007, non hanno prodotto nessuna riduzione degli inquinanti, con il Gestore che, con l’assenso delle Istituzioni, ha rimandato i provvedimenti risolutivi “ad elementi acquisiti” (BAT, ecc.);
  • a Taranto viene emessa in atmosfera la micidiale diossina, di cui nessuno aveva parlato prima ed ora denunciata dalle organizzazioni territoriali, in particolare da PeaceLink, AIL, TarantoViva, Comitato per Taranto e UIL, e basata sulle stime comunicate dalla stessa Ilva relativamente alle emissioni dall’ormai famigerato camino E 312 del proprio impianto di agglomerazione e pubblicate sul registro INES – Inventario Nazionale Emissioni e Sorgenti.

In questo quadro inquietante parte, alla chetichella, la procedura dell’AIA.

Le scadenze della procedura per l’AIA

L’Ilva il 28 febbraio 2007, per legge ultimo giorno utile, ha presentato al Ministero dell’ambiente la domanda e relativa enciclopedica documentazione per ottenere l’AIA. Mondo ambientalista e persino il Comune di Taranto rimangono all’oscuro di tutto fino alla fine di luglio, mentre la scadenza per la presentazione di “osservazioni” del “pubblico interessato” era fissata al 10 agosto. Con un miracolo di volontà e dedizione siamo riusciti, unici in Italia, ad imbastire entro il 10 agosto, a scanso di speculazioni interessate, le “primissime osservazioni” sulla domanda di Ilva, con riserva di successivi approfondimenti. La “riservatezza da carbonari" forse mirava a far trovare la città e il territorio di fronte al fatto compiuto, cioè alla concessione dell'AIA all'Ilva entro il 30 ottobre 2007. Con il nostro intervento, abbiamo chiesto di seguire il percorso tracciato dal comma 20 dell’art. 5 del D.Lgs 59/2005, che, tra l’altro, permetteva l’inserimento nella procedura anche del “pubblico interessato”.

Quel 10 agosto 2007 ha preso l’avvio una lunga serie di interventi formali del “pubblico interessato” di Taranto che dura ancora oggi e che ha fatto capire all’Autorità preposta che nella procedura per l’AIA di Ilva Taranto si erano affacciati cittadini attenti, determinati e competenti.

  1. Passaggi significativi nella procedura AIA di Ilva Taranto

Le “Osservazioni del pubblico interessato”

Ad integrazione e sostituzione delle “primissime osservazioni” del 10 agosto 2007, 24 organizzazioni territoriali hanno presentato, il 20 settembre 2007, circa 100 pagine di “osservazioni” che illustrano una quantità incredibile di “anomalie ed inadempienze” presenti nella mastodontica documentazione presentata da Ilva a supporto della domanda.

Una documentazione così mal fatta illumina «la supponenza di un’Azienda di rilievo internazionale consapevole di avere “buoni argomenti” per andare avanti per la sua strada, potendo trascurare impunemente norme, prescrizioni, raccomandazioni e impegni sottoscritti ed operare nel territorio con il piglio e l’indifferenza del “Colonizzatore”».

A sostegno delle “Osservazioni”, 26 organizzazioni territoriali hanno inviato al Presidente della Repubblica la “Petizione” datata 9 ottobre 2007 sugli incredibili ritardi del Parlamento, del Governo e della Corte dei Conti che hanno fornito alle grandi aziende italiane, e quindi anche ad Ilva, l’alibi che le assolverebbe dall’accusa di mancato rispetto delle leggi, senza, però, salvare l’Italia dalle contestazioni della Corte di Giustizia europea per gravi inadempienze. Le grandi imprese italiane, dopo il 30 ottobre 2007, continueranno ad esercire gli impianti AIA, cioè senza vincoli ed impegni di sorta per ridurre l’impatto ambientale. I cittadini continueranno a beccarsi le emissioni attuali senza alcun provvedimento migliorativo. E nessuno si preoccupa delle conseguenze sulla salute delle persone e delle sanzioni che la Corte di Giustizia europea potrà comminare, tanto sarà lo Stato a pagare perché non è stato capace di attuare in Italia la direttiva 61/96/CE.

L’Accordo di Programma

Dopo otto mesi di nostre sollecitazioni a tutto campo e solo pochi giorni prima delle elezioni politiche anticipate, il giorno 11 aprile 2008 viene firmato, ex comma 20 dell’art. 5 del D.Lgs 59/05, l’Accordo di Programma “Area industriale di Taranto e Statte”. Con Ilva, Edison, Enipower, ENI, Cementir e Sanac firmano l’impegno quattro Ministeri, Regione Puglia, Provincia di Taranto, Comuni di Taranto e Statte, ISPRA (ex APAT) ed ARPA Puglia.

Il 28 maggio 2008 presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare c’è stata l’audizione di associazioni, comitati e cittadini di Taranto. Sono state presentate 6 relazioni su: Richieste organizzative e di metodo, Aspetti legali e normativi, Impatto sanitario, Ambiente e sicurezza sul posto di lavoro, Questioni impiantistiche e B.A.T., Piano di riduzione delle emissioni e di monitoraggio.

Le 6 relazioni, durissime e documentatissime, vengono apprezzate e, fatto insolito, applaudite a lungo da un uditorio istituzionale, qualificato e competente.

Nell’estate 2008, noi ambientalisti smontiamo il “piano di panna montata” presentato da Ilva a fronte dell’Accordo di programma: è un’impudica riproposizione del vecchio piano in cui, ancora una volta, non ci sono i dati di partenza né le riduzioni in quantità e tempi di diossina, mercurio, benzene, benzoapirene, arsenico ed altri inquinanti.

Il 16 settembre 2008 le rappresentanze locali di 24 associazioni e comitati vari inviano nuove “osservazioni del pubblico interessato” al Ministero dell’ambiente e a Regione Puglia, ARPA, ASL e Enti locali: si sollecita l’esame puntuale in sede di istruttoria IPPC dei documenti già prodotti e si rivendica il legittimo diritto a partecipare alle specifiche conferenze dei servizi. Depone molto male che il Ministero dell’ambiente, da oltre un anno, non prende posizione sulle osservazioni formulate: se il Ministero le condivide dovrebbe prendere i provvedimenti del caso, se non le condivide dovrebbe spiegarne le ragioni in maniera specifica ed ufficiale.

Il movimento dilaga

Oltre 17.000 persone di ogni parte d’Italia e dall’estero firmano l’appello “Non lasciate che i cittadini di Taranto muoiano di cancro!” lanciato il 25 settembre 2008 da A.I.L. sezione di Taranto attraverso il sito www.ail.taranto.it. 17.000 messaggi di posta elettronica giungono direttamente nella casella di posta elettronica del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell’ambiente, dei rappresentanti italiani presso le Istituzioni Europee, di tutti i deputati e senatori, del Presidente della Regione Puglia, del Prefetto di Taranto, del Presidente della Provincia e del Sindaco di Taranto.

Oltre 20.000 persone partecipano alla manifestazione organizzata da “Alta Marea”, che raggruppa gran parte del volontariato, chiedono la riduzione dell’inquinamento industriale attraverso l’AIA e sollecitano la legge regionale antidiossina.

Il volontariato produce altri documenti indirizzati al Ministero. Il più importante è quello del 29.1.2009, sottoscritto congiuntamente dalle Associazioni e dai Sindaci di Taranto e di Statte in qualità di massimi responsabili della salute dei cittadini. In tale documento vengono fissate le condizioni per il rilascio dell’AIA all’Ilva di Taranto. Con i due Sindaci firmano 45 Associazioni e Comitati ambientalisti, sanitari e culturali, 5 Associazioni di categoria, 12 Ordini e Collegi professionali, 3 Sindacati e 4 semplici cittadini molto vicini al mondo ambientalista, con un totale di 69 firme. Tra esse ci sono quelle delle rappresentanze locali di organizzazioni nazionali come AIL, ANT, ARCI, CARITAS, ITALIA NOSTRA, LEGAMBIENTE, LIBERA, LIPU, UNICEF, WWF, ASCOM, UIL, CNA, CONFCOOPERATIVE, FEDERFARMA.

Lo stallo della procedura AIA

Il gruppo Riva ha conseguito fatturati ed utili imponenti, soprattutto nel sito di Taranto, fino al record assoluto di 878 milioni di euro del 2007. E’ ora di investire molto su Taranto e vincere la sfida di continuare a produrre acciaio a Taranto nel rispetto delle norme, in tutti i campi, a tutela della salute dei cittadini e della sicurezza dei lavoratori. L’Ilva ancora non ha presentato un nuovo piano di adeguamento impiantistico. L’AIA ad Ilva non è stata rilasciata. Nel frattempo nella procedura AIA si è inserita prepotentemente la vicenda delle legge regionale antidiossina, frutto del coraggio e dell’impegno dell’associazionismo tarantino.

  1. Conclusioni

Le acciaierie sono, ovunque, sinonimo di inquinamento. Gli orientamenti nella migliore siderurgia mondiale sono:

  • processi e tecnologie siderurgiche rimarranno immutate a lungo eccetto le innovazioni in campo ambientale e della sicurezza;
  • l’abbattimento dell’inquinamento richiama ricerca, innovazione ed investimenti;
  • l’obiettivo è crescere rispettando salute, sicurezza e ambiente, cioè sincronizzare la qualità della vita, dentro e fuori della fabbrica, con gli obiettivi aziendali.

Si punta, quindi, a un sistema che integri, gestisca e coordini le risorse e gli aspetti relativi a HSE, Health, Safety, Environment (salute, sicurezza, inquinamento). “Siderurgia ecologica zero waste” coincide con una Siderurgia in possesso e rispettosa proprio di un’AIA severa.

La cittadinanza attiva di Taranto non vuole decidere se “morire di cancro o di fame”: l’intera classe dirigente, quella sindacale inclusa, deve dimostrare nei fatti, senza “equilibrismi e testa nella sabbia”, che non è coercibile il diritto al lavoro e che non è negoziabile il diritto alla vita e alla salute.

Nella scommessa per la vita e per lo sviluppo di Taranto, giocano un ruolo importante le Istituzioni pubbliche. Il nostro obiettivo è quello di “spingerle” a far conciliare la sopravvivenza dell’azienda con i sacrosanti diritti alla salute, alla sicurezza e all’ambiente, in una parola, alla vita e alla salute dei Tarantini, compromessa dai veleni che vengono sparsi nel cielo e nel mare di Taranto.

Una personalità immensa l’aveva già chiesto 20 anni fa: “Il campanello di allarme è già scattato, anche qui a Taranto. Occorre ora far sì che le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicchè l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo; saremmo tutti noi.” E’ Giovanni Paolo II, che visita l’Ilva di Taranto il 28 ottobre 1989.

Nel corso della nostra lotta per la riduzione dell’inquinamento ambientale di origine industriale ci siamo imbattuti:

  • nella incomprensione dei politici locali e nazionali;
  • nella indifferenza degli organi istituzionali: senza alcun esito abbiamo sollecitato Parlamentari, Regione, Enti Locali e persino il Presidente della Repubblica;
  • nel quasi disinteresse di stampa e TV nazionali (nessun grande giornalista ha risposto ai nostri appelli);
  • nell’arroganza ed illegittimità di alcuni organismi tecnici ed amministrativi pubblici, che deliberavano, o facevano deliberare dalla politica, in difformità alle norme e all’interesse e alla salute dei cittadini: il più delle volte, sono loro che forniscono soluzioni ed escamotage ad hoc: come si può chiamarli a rispondere del loro operato?

Abbiamo studiato montagne di carte e di norme, abbiamo inondato di segnalazioni, obiezioni e denunce le Autorità competenti. Abbiamo la sensazione che ignoreranno tutto ciò e che faranno delle “porcherie”. Ci stiamo disponendo a continuare la lotta su tre fronti:

    1. Commissione e Parlamento europei;
    2. Tribunale Amministrativo Regionale;
    3. Magistratura ordinaria penale.

Sappiamo che da soli sarà dura, per questo cerchiamo ovunque, come qui a Torino, alleanze, aiuti, consigli.