La posizione di ISDE Italia
Già nel 1987 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definiva l’area di Taranto “ad elevato rischio ambientale”. Negli anni successivi una lunga serie di contributi scientifici ha dimostrato le responsabilità dell’ILVA nella presenza, parallelamente alla compromissione ambientale, di danni sanitari a carico di lavoratori e residenti di qualunque età (soprattutto bambini).
La situazione di rischio per la salute persiste tuttora.
Le evidenze disponibili dimostrano anche l’improponibilità dei progetti di
“ambientalizzazione”. Qualunque sarà il combustibile utilizzato per alimentare il
siderurgico e nonostante tutti i possibili accorgimenti tecnici, livelli produttivi tali da creare
profitti per il gestore saranno inevitabilmente associati all’emissione di quantità intollerabili di inquinanti ed a conseguenze ambientali e sanitarie prevedibili e misurabili, che andranno a perpetrare la discriminazione e le disuguaglianze in una popolazione che ha già pagato un prezzo altissimo in termini di mortalità e morbosità.
Tutto questo, inoltre, avverrebbe nella regione italiana con la maggiore produzione di gas
climalteranti da sorgenti industriali (con ILVA ancora una volta in primo piano),
complicando enormemente il raggiungimento degli obblighi internazionali sottoscritti dal
nostro Paese per il contenimento dei cambiamenti climatici.
Ai richiami dell’Istituto Superiore di Sanità sulla “urgenza di interventi finalizzati a
ripristinare la qualità dell’ambiente” e motivati dagli eccessi di mortalità e morbosità
ripetutamente riscontrati soprattutto in età pediatrica, si sono sino ad ora ricevute risposte
unicamente finalizzate a confermare la tirannia del diritto dei privati a produrre acciaio
su qualunque altro diritto, compreso quello alla salute.
Le evidenze disponibili sono state sino ad ora sistematicamente ignorate, con il risultato di un’esposizione indebita e di un’amplificazione del divario tra la salute possibile e la salute reale della popolazione, che ha raggiunto livelli inaccettabili per un Paese civile.
La mancata interruzione dell’attività inquinante dell’ILVA genera enormi danni economici
per l’incremento esponenziale dei costi sanitari (almeno 400 milioni di euro/anno secondo
la European Environmental Agency), per i danni spesso irreversibili subiti da intere
categorie imprenditoriali (ad es. allevatori, mitilicoltori, agricoltori) e per le conseguenze dei
cambiamenti climatici, grandi amplificatori di criticità preesistenti.
Tali pesanti costi, tuttavia, non sono sino ad ora mai stati seriamente considerati nel
bilancio decisionale sulla prosecuzione o sull’interruzione dell’operatività dell’ILVA.
In caso di prosecuzione dell’attività, ancora una volta, a profitti per pochi
corrisponderebbero costi distribuiti sull’intera comunità tarantina e inammissibili
sofferenze.
Appare anche insostenibile il voler considerare la prosecuzione dell’attività ILVA
come strumento di difesa del lavoro. Circa un terzo delle denunce di malattie
professionali in Puglia vengono dalla provincia di Taranto e molte di queste riguardano
tumori professionali. Appare ininterrotta la serie delle morti bianche all’interno del
siderurgico, si continua a parlare di esuberi e la presenza dell’ILVA non migliora le
prospettive di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, considerato che proprio in
provincia di Taranto c’è il tasso di disoccupazione giovanile più alto a livello regionale e tra
i più alti a livello nazionale.
Non è questo il modello di lavoro da difendere.
I lavoratori di Taranto hanno bisogno di uno Stato che crei finalmente per loro una via di
fuga, impegnandosi a costruire proposte di lavoro rispettose della dignità umana e
alternative rispetto alla subordinazione ad uno dei più spietati ricatti occupazionali, quello dello scambio tra lavoro e salute.
Il voler perseverare sullo “scenario ILVA” come unico possibile, obiettivo perseguito sino
ad ora dallo Stato con l’imposizione di numerosi decreti legge, ha evidentemente fallito a
Taranto il suo principale proposito, quello di salvaguardare insieme ambiente, salute e
lavoro, generando senza soluzioni di continuità ulteriori rischi e danni sanitari per tutti e
forme di impiego non rispettose della dignità dei lavoratori.
Le possibilità alternative di lavoro, di sviluppo imprenditoriale e di riconversione
economica sono fattori negoziabili. La salute e la dignità umana non lo sono e non
dovranno mai più esserlo.
Roma, 19 giugno 2018
Per Informazioni:
Associazione Medici per l’Ambiente – ISDE Italia
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