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30 novembre 2012

Daniel Tarozzi:"L'Ilva ha cambiato la storia"


Tratto da Il Cambiamento

"L'Ilva ha cambiato la storia"

  di Daniel Tarozzi  

Non ho mai amato il vittimismo tipico italiano, il "piove governo ladro", il cercare sempre in altri la responsabilità di ciò che non funziona.Questo, però, non deve farmi perdere la capacità di indignarmi o di essere scosso dai balletti della politica nazionale e dallo spregio che questa gente ha per i diritti, per la salute, per l'ambiente, per la vita stessa dei loro elettori.
Ieri mi trovavo a Savona (sono ancora in giro in camper per raccontare in un libro l'Italia che cambia) e ho incontrato la rete "Fermiamo il carbone".


 Tra le persone in sala Ilaria, 27 anni, che si è presentata così: "sono venuta a vivere in Liguria per respirare aria pulita. Da oggi sono in chemioterapia". 

I rappresentanti della Rete ci spiegano che in 16 anni nei dintorni della centrale a Carbone sono morte 2664 persone in più rispetto alla media regionale. Molti di loro hanno mogli, mariti, genitori, amici morti per tumore o altre patologie affini.
Il Comitato ci mostra un volantino stampato dal PD prima delle ultime elezioni regionali: in quel volantino il PD si dichiara contrario all'ampliamento della centrale a carbone. Vince le elezioni e dopo qualche mese da il via libera all'ampliamento della centrale (con l'appoggio della maggior parte delle forze politiche di sinistra e di destra)....


 
Nel frattempo, persino il maltempo sembra voler inferire sulla vicenda dell'Ilva in una delle zone più martoriate del nostro Paese. "L'Ilva ha cambiato la storia"! Questo mi ha spiegato in provincia di La Spezia Daniela Patrucco, attivissima contro la centrale a carbone dell'Enel. Secondo Daniela, per la prima volta la magistratura ha portato alla ribalta la salute come fattore determinante nei dibattiti su questi siti inquinanti.
Già, perché normalmente questi temi vengono considerati "roba da ambientalisti". Si contrappone lavoro e ambiente e si dice che "non si può fermare lo sviluppo".
 Ma lo sviluppo che si finisce per finanziare è quello dei tumori, delle leucemie, dei feti deformati dalle sostanze inquinanti. Lo sviluppo del dolore, della morte, della sofferenza.

Io credo che sia venuto il tempo di dire basta a questi finti dibattiti.  
La salute non può essere un valore negoziabile. Nessun posto di lavoro può venire prima della vita di una singola persona. Non esiste una soglia di inquinamento accettabile. Quanti tumori sono accettabili? E di chi?

Soprattutto è ora di dire con forza che queste aziende sono state sconfitte dalla storia. Non ha più alcun senso continuare con questo tipo di economia e di "sviluppo": esistono alternative, metodologie e approcci che permettono di vivere bene, senza uccidere, senza sfruttare, senza distruggere e magari recuperando anche il piacere del vivere e del relazionarsi.
È ora di cambiare.
Daniel Tarozzi

30 Novembre 2012

29 novembre 2012

Ilva: Associazione Nazionale Magistrati, magistratura intervenuta davanti a grave rischio per salute


 Tratto da Asca

Ilva: Anm, magistratura intervenuta davanti a grave rischio per salute

29 Novembre 2012 - 20:05

(ASCA) - Roma, 29 nov - L'Associazione nazionale magistrati, con riferimento alle questioni poste dagli ultimi provvedimenti della magistratura riguardanti lo stabilimento Ilva di Taranto, ''pur consapevole del dramma occupazionale e sociale determinato dalle situazioni su cui tali interventi hanno inciso, ricorda che il diritto alla salute, come quello al lavoro, e' un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, che all'art. 41 impone che l'iniziativa economica privata non possa svolgersi in modo da recare danno alla liberta', alla dignita' e alla sicurezza della persona''.

L'Anm ribadisce, in una nota, che la magistratura nel caso Ilva ha ''rigorosamente esercitato le proprie prerogative''.
''La ricostruzione delle note vicende dello stabilimento siderurgico di Taranto, cosi' come delineate anche da sentenze passate in giudicato, - sottolinea l'Anm - consente a chiunque di riconoscere che la magistratura e' intervenuta, con gli strumenti giudiziari ordinari che le leggi le mettono a disposizione, solo e unicamente in adempimento di un obbligo giuridico, in presenza di gravi ipotesi di reato, e con la finalita' di prevenire il protrarsi di un attuale grave e concreto pericolo per la salute dei lavoratori e dei cittadini''.

L'Anm auspica che ''sia compiuto ogni sforzo, da parte delle Istituzioni e delle forze sociali, per trovare, in piena cooperazione e fuori da logiche di scontro, soluzioni che contemperino la tutela della salute con quella dell'occupazione, nel pieno rispetto delle attribuzioni che la Costituzione assegna alle Autorita' politiche democratiche e alla giurisdizione''.

APPELLO:I tarantini possono riprendere in mano il loro futuro.

Tratto da Peacelink
Per un futuro dove lavoro e salute non siano piu' diritti in conflitto

I tarantini possono riprendere in mano il loro futuro

26 novembre 2012
CLICCA QUI PER FIRMARE QUESTO APPELLO PUBBLICO

Studenti davanti al Tribunale di TarantoOggi e' una giornata storica per la citta' di Taranto: l'eta' dell'acciaio e' finalmente chiusa.

I tarantini possono riprendere in mano il loro destino e tornare protagonisti della propria storia.


A tutte le famiglie dei lavoratori Ilva, a tutte le famiglie segnate da lutti e malattie, a tutti gli allevatori, i mitilicoltori e i cittadini che a qualunque titolo hanno subito, loro malgrado, la presenza ingombrante della grande industria, vogliamo porgere la nostra solidarieta', la nostra partecipazione alle loro apprensioni e alle loro speranze, e la nostra convinta fiducia in un futuro dove lavoro e salute non saranno piu' diritti in conflitto, e nessuno di noi sara' piu' costretto a temere ne' la morte per diossina ne' la privazione per disoccupazione.

Questa importante pagina di storia non l'hanno scritta ne' i politici che ci hanno governato, ne' gli industriali che ci hanno inquinato, ma coloro che hanno sostenuto con onesta', coraggio e determinazione una dura battaglia per l'affermazione della legalita' e del diritto alla salute garantito dalla nostra Costituzione.

La storia di tante citta' europee riconvertite con successo dall'industria siderurgica allo sviluppo sostenibile ci fa ritenere che anche a Taranto sara' possibile un futuro virtuoso, dove la ricchezza della nostra bella terra possa diventare lavoro per tutti e non solo profitto per pochi.

Ora abbiamo davanti una occasione storica da non farci sfuggire, una pagina bianca da scrivere con fiducia, dove la nostra comunita' cittadina potra' finalmente tracciare in piena liberta' la propria Storia, scommettendo sul patrimonio di competenze, dignita' e coraggio di cui i tarantini hanno dato ampia prova nell'eta dell'acciaio che finalmente e' giunta alla sua inevitabile conclusione.

Al termine di questo percorso chiediamo una seria assunzione di responsabilita' da parte delle istituzioni e del governo nelsostenere il processo di bonifica necessario per restituire quei territori alla loro vocazione agricola,  turistica, commerciale e culturale. I principi che ci guidano sono molto chiari: chi inquina paga, il lavoro e la salute sono diritti costituzionali che lo Stato deve impegnarsi a garantire.
Chiediamo che i lavoratori dello stabilimento siano immediatamente riassorbiti dallo Stato per i progetti di bonifica del territorio.  Occorre trasformare Taranto in un centro di eccellenza della riconversione Industriale.

Chiediamo che siano destinati alla tutela del reddito dei dipendenti e alla bonifica dell'area siderurgica, gli immensi profitti accumulati dal Gruppo Riva.

La societa' civile tarantina metta gratuitamente a disposizione le competenze per contribuire a tracciare, in un percorso
aperto e partecipativo, quello che sara' lo sviluppo del territorio tarantino.

Da oggi il futuro ci e' stato restituito, e quello che accadra' dipendera' solo da noi.

Taranto, 26 novembre 2012, ore 23 (orario della chiusura dello stabilimento Ilva)

Primi firmatari dell'appello

Cinzia Amorosino,Rosella Balestra,Gabriele Caforio,Francesca Caliolo,Giovanni Carbotti,Antonella e Giovanna Coronese,Saverio De Florio,Simona Fersini,Fulvia Gravame,Carlo Gubitosa,
Antonio Lenti,Cinzia Maggi,Luciano Manna,Alessandro Marescotti,Tonia Marsella,Vanni Ninni,
Marina Ortini,Daniela Spera, Laura Tussi,Filomena Vitale


L'appello puo' essere firmato fra pochi minuti anche su www.firmiamo.it e suwww.tarantosociale.org

SVILUPPO INDUSTRIALE..............

Lo sviluppo industriale deve avere una sua nuova logica produttiva, che rispetta l’ambiente, la deve avere nel suo Dna.


Tratto da" Il Cambiamento"

Ilva. Se Taranto muore, “è una minchiata”

“Due tumori in più... una minchiata”. Commentando i rischi per la salute derivanti dallo stabilimento siderurgico di Taranto, si è espresso così l'amministratore delegato dell'Ilva Fabio Riva, arrestato due giorni fa insieme ad altre sei persone.

di Paolo Ermani - 28 Novembre 2012

Emerge da indiscrezioni riportate dai media che per Fabio Riva, uno dei padroni dell’Ilva, qualche tumore in più a Taranto sia una “minchiata”. Ma il problema sono solo e unicamente queste persone terrificanti per le quali la vita non vale nulla o anche chi va a lavorare per questi soggetti?

Si dice che il lavoro non c’è e quindi bisogna accettare quello che ci offrono, ma di sicuro ce ne sarà sempre meno di lavoro se le braccia vengono costantemente regalate a persone senza scrupoli. A causa dell’Ilva a Taranto sono andati in fumo migliaia di posti di lavoro in settori non inquinanti e sensati. 

Possibile che di imprenditoria ci sia solo l’Ilva, possibile che non si possa costruire un avvenire migliore per noi e i nostri figli?
 Non siamo agli albori della rivoluzione industriale, siamo nel ventunesimo secolo, oggi possiamo scegliere.
Perché non puntare al risanamento ambientale, alle fonti rinnovabili, alla riqualificazione energetica, al turismo di qualità, all’agricoltura locale, all’autoproduzione alimentare ed energetica, anche per ridurre il ricorso ai soldi? Tanto fra un po’, fra crisi economica e ambientale, saremo costretti per forza ad intraprendere questa virtuosa strada.
Non si può fare? È irrealistico, è impossibile? È più realistico continuare a morire di cancro e inquinare interi paesi piuttosto che provare delle alternative?
ilva
"Possibile che di imprenditoria ci sia solo l’Ilva, possibile che non si possa costruire un avvenire migliore per noi e i nostri figli?"

Vai all'articolo integrale

Leggi su Savona News
 
ILVA: dopo la tromba d'aria.....e' sotto gli occhi di tutti che la situazione dell'Ilva resta drammatica.
  
....E' evidente che bisogna salvaguardare ed innovare la produzione industriale dell'acciaio, fondamentale per il tessuto produttivo italiano, ma a causare il rischio di chiusura degli impianti Ilva e' stata la gestione illegale della famiglia Riva, che ha messo il profitto davanti agli interessi dei cittadini. 

 ''Invece di fare il gioco degli indagati e aprire un fronte di scontro con chi fa rispettare la legge, il Governo - dice Belisario - ha il dovere di respingere al mittente il ricatto occupazionale e di schierarsi al fianco dei magistrati, lavorando perche' tutto rientri nei binari della legalita'''.

''Clini e' stato per anni ai vertici del Ministero dell'Ambiente senza muovere un dito, mentre - sostiene Belisario - l'azienda avvelenava il territorio fregandosene delle conseguenze. 

I cosiddetti tecnici non possono continuare ad assecondare solo gli imprenditori, e' sotto gli occhi di tutti che la situazione dell'Ilva resta drammatica, soprattutto per la sicurezza dei lavoratori''. 

''Il dovere del Governo Monti - conclude Belisario - e' quello di imporre gli investimenti per la riconversione degli impianti, garantendo i posti di lavoro e tutelando ambiente e salute''.

Leggi l'articolo integrale

28 novembre 2012

SISTEMA TARANTO : Convinti che il sistema Taranto sia il sistema Taranto

Tratto da Peacelink

Sistema di corruzione degno di una vera e propria organizzazione criminale

Convinti che il sistema Taranto sia il sistema Taranto
26 novembre 2012 - Angelo Bonelli

“Non c’è nulla di più infame che svendere la salute dei cittadini”. Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: “Il sistema Taranto si è dimostrato un sistema di illegalità e corruzione degno di una vera e propria organizzazione criminale che non si è fatta scrupoli a lucrare sulla vita delle persone. Siamo convinti che il ‘sistema Taranto’ potrebbe essere il sistema che viene utilizzato nella maggior parte delle aree inquinate dove i cittadini, la loro salute e la loro vita sono le prime vittime di chi specula sull’inquinamento e opera nell’illegalità”. 


“Quello di Taranto sarà il processo ambientale più importante nella storia d’Italia. Quello che ci preoccupa, però, è l’incapacità da parte del governo di fornire alla città una prospettiva politica, economica e occupazionale alternativa ad una città dove si muore d’inquinamento – spiega il leader ecologista -. Con il tentativo di minimizzare l’emergenza ambientale e sanitaria e con la ricerca di soluzioni utili all’azienda più che ai cittadini si è perso, volutamente, del tempo prezioso mentre l’unica istituzione ad aver compreso le proporzioni del dramma e del disastro è stata la magistratura che sta facendo rispettare la legge.

STOP AL CARBONE! DA SALINE JONICHE FINO A DOHA


Comunicato Stampa
STOP AL CARBONE! DA SALINE JONICHE FINO A DOHA

Presentato oggi da Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF Italia il ricorso contro la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche, autorizzata dalla presidenza del Consiglio dei Ministri
In Italia si fermino le lobby del carbone, a partire da Saline Joniche fino Porto Tolle e Vado Ligure, e si elimini la quota del 13% di carbone dalla Strategia Energetica Nazionale

“Lo stop al carbone in Italia cominci da Saline Joniche
insieme con l’assunzione di una seria politica ‘taglia-emissioni’ in grado di rispondere all’emergenza climatica, al centro del dibattito della COP18, il vertice internazionale sul Clima in corso a Doha, in Qatar, fino al 7 dicembre”. È questo il messaggio che Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF hanno lanciato oggi durante la conferenza stampa di presentazione del ricorso che si oppone alla decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPCM) di autorizzare la costruzione di una nuova centrale a carbone presso Saline Joniche (RC) da parte del consorzio S.E.I., capeggiato dalla società svizzera Repower. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche Slow Food Italia e un portavoce della rete grigionese contro il carbone.
“Fermare la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche, in Calabria – dichiarano le associazioni ambientaliste in una nota congiunta - è un primo passo, fondamentale per bloccare l’avanzata lungo tutto lo stivale delle lobby del carbone e di una politica energetica vecchia, inutile e dannosa per il clima e la salute ma che tuttora persiste, con una quota di circa il 13% , nella Strategia Energetica Nazionale in fase di pubblica consultazione”.

IL RICORSO. L’autorizzazione alla costruzione di questa centrale è stata concessa dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) calpestando, con una evidente forzatura, la volontà istituzionale e sociale dei territori interessati, e a dispetto di svariate controindicazioni. Prima tra queste l’aver bypassato il Piano Energetico della Regione Calabria (che a sua volta ha presentato un ricorso motivato) che vieta espressamente la costruzione  di centrali a carbone sul proprio territorio e punta decisamente sul mix fatto di rinnovabili ed efficienza energetica. E' questa la scelta ritenuta a giusta ragione in grado di preservare e valorizzare anche le potenzialità e le eccellenze ambientali, naturalistiche e culturali dell’area interessata, dalla  valenza turistica alle fiorenti piantagioni di bergamotto, testimonial di biodiversità e risorsa economica,  apprezzato in tutto il mondo. In questo senso, l’autorizzazione accordata dal DPCM suona come un’arrogante e coloniale  ingerenza nei confronti di una regione che con coerenza e lungimiranza, prima di altre e prima del Governo nazionale, vede nella sostenibilità e nell’economia a basse emissioni di CO2 un motore per il proprio sviluppo a medio-lungo termine, e vanifica anche i progetti concreti che si stanno indirizzando in questa  nuova direzione.
La stessa Repower ha recentemente ammesso che non costruirebbe mai una centrale come quella di Saline Joniche in Svizzera. Dovrebbero però spiegare perché la stessa centrale, che a pieno regime emetterebbe ben 7,5 milioni di tonnellate di CO2 l’anno (per non parlare delle altre sostanze pericolose per la salute umana), dovrebbe essere tollerata dai calabresi. . 
E' una domanda che anche nel Canton dei Grigioni, pongono movimenti, partiti e associazioni che condannano nettamente l’investimento di Repower in Calabria e chiedono, anche attraverso un referendum e la proposta di un “premio-vergogna”, di rivedere tale decisione. Tra l’altro il progetto fa riferimento ad una tecnologia, quella della cattura e confinamento geologico della CO2, allo stato attuale e nel futuro più prossimo, impraticabile, in quanto ancora in via di sperimentazione, non matura e  insostenibile economicamente, comunque non applicabile in zone sismiche come Saline Ioniche.
Va anche considerato che, se costruita, la centrale a carbone di Saline Joniche stravolgerebbe l’ecosistema marino e terrestre dell’Area Grecanica e della Costa Viola, minaccerebbe ben 18 aree vincolate (secondo il Ministero dei Beni Culturali), di cui ben 5 Siti di Importanza Comunitaria, in pieno contrasto con la direttiva europea Habitat. Basterebbe considerare il trasporto dell’elettricità prodotta attraverso un elettrodotto ritenuto fortemente impattante sul paesaggio reggino dallo stesso Ministero dei Beni Culturali.
Non ultimo, minaccerebbe gravemente la salute delle popolazioni locali: una stima dei danni basata sulla metodologia della European Environmental Agency (EEA) mostra come la centrale a pieno regime causerebbe in un anno 44 morti premature, 101 milioni di ¤ di costi sanitari, 500.000 ¤ di danni all’agricoltura a ben 250 milioni di ¤ causati dalle ingenti emissioni di CO2.
Infine, come se questo non bastasse, ci si chiede a cosa serva la costruzione di una nuova centrale, visto che a fronte di una richiesta energetica storica massima di 56.822 MW (avvenuta nel 2007), l’Italia già dispone di una potenza installata che supera i 118.443 MW, una sovraccapacità produttiva che costringe gli impianti a funzionare a scartamento ridotto con gravi conseguenze economiche per il Paese e per le stesse bollate dei cittadini. Un dato è certo: la centrale non serve certo ai calabresi, né tantomeno per assicurare la sicurezza energetica del nostro Paese; garantisce solo forti utili all’azienda e solo maggiori costi  per la collettività.

IL CARBONE IN ITALIA. Ci si chiede, in questi giorni in cui è in fase di pubblica consultazione la Strategia Energetica Nazionale (SEN), quale sia il modello di sviluppo energetico che l’Italia vuole perseguire. Quello vecchio, pericoloso e senza futuro del carbone o quello lungimirante e sostenibile fatto di un mix equilibrato di rinnovabili, efficienza e risparmio energetico? Stando ai fatti, sembrerebbe il primo; oggi in Italia il 12,9% dell’energia elettrica è prodotto da carbone, che causa però oltre il 30% delle emissioni totali di CO2. Queste percentuali potrebbero aumentare se tutti i progetti in fase di autorizzazione andranno a buon fine. Saline Joniche è solo una parte del “fronte del carbone”. Altri punti caldi sono Porto Tolle (progetto di riconversione da olio combustibile in pieno Parco Delta del Po), Vado Ligure (progetto di ampliamento della centrale a carbone esistente, a dispetto di evidenze di pesante inquinamento dell’ecosistema locale con impatti sanitari devastanti), Sulcis (è recente la notizia dell’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia per aiuti di stato a Carbosulcis, a testimonianza dell’insostenibilità anche economica dell’impresa).
Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF chiedono espressamente che dalla SEN venga eliminata la quota di carbone prevista e dirottata in favore di fonti di energia pulita e più efficienti.

OLTRE L’ITALIA: L’EMERGENZA CLIMATICA SUL TAVOLO DI DOHA. L’emergenza climatica, che abbiamo visto di recente in azione sia in Italia con la nuova ondata di alluvioni che nel resto del mondo con eventi disastrosi come l’uragano Sandy, è in questi giorni al centro della COP 18, la Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici, iniziata ieri a Doha e in corso fino al prossimo 7 dicembre. E’ pertanto fondamentale per l’interesse stesso della sopravvivenza umana, oltre che per la salvaguardia ambientale, che dal tavolo di Doha emergano impegni vincolanti per gli Stati con delle scadenze ben precise sull’adozione di tutte le misure e gli strumenti necessari alla riduzione delle emissioni inquinanti. Più precisamente, tra i temi esaminati nel vertice di Doha ci sono: il secondo periodo di impegni del Protocollo di Kyoto, per i Paesi industrializzati,, trasformando le indicazioni dei Governi in veri e propri target di riduzione. Un impegno a cui non possono sottrarsi i Paesi in Via di Sviluppo, considerando però che ciò avvenga attraverso una distribuzione equa degli sforzi tra Paesi sviluppati, responsabili per primi della concentrazione attuale dei gas serra in atmosfera e quindi riscaldamento globale, e Paesi in Via di Sviluppo che devono coniugare il diritto al benessere e allo sviluppo con la necessità di limitare e ridurre i gas serra e l’aumento medio della temperatura globale.
Altro scoglio è quello della finanza, laddove è necessario arrivare a nuove fonti di risorse, soprattutto per venire incontro ai paesi più vulnerabili e meno sviluppati. E altre risorse finanziarie saranno necessarie per limitare la deforestazione, causa di una grossa fetta di emissioni e distruttiva dei bacini essenziali per assorbire carbonio.
Roma, 27 novembre 2012

Gli Uffici Stampa

WWF Italia, Tel.: 06 84497 265/213; 02 83133233
Greenpeace, tel. 06 68136061
Legambiente, 06.86268376 - 53
LIPU, tel.: 0521.1910706  



27 novembre 2012

SVIZZERA:Redditività in picchiata per carbone e gas: il governo intende agire?

Anche in Germania le energie rinnovabili stanno facendo una concorrenza spietata al settore termoelettrico, mettendo in crisi le centrali elettriche a carbone e gas naturale. Come già successo in Italia, dove molte centrali di nuova costruzione che usano il metano come combustibile sono in crisi e non producono più a sufficienza per ripagare gli alti costi di costruzione, anche nel cuore dell’Europa la priorità di cui godono sulla rete elettrica eolico e fotovoltaico sta costringendo le centrali tradizionali a restare ferme per gran parte dell’anno.
Secondo quanto riporta il quotidiano tedesco Der Spiegel, infatti, una trentina di impianti della Renania Settentrionale-Vestfalia rischia la chiusura. Ben 29 impianti su 72, tra gas e carbone, vengono definiti “candidati al problema”: a partire dal 2014 saranno fuori mercato e non riusciranno a produrre energia a sufficienza e a prezzo abbastanza competitivo per restare aperte.


Leggi tutto: http://www.greenstyle.it/crisi-termoelettrico-in-germania-per-colpa-di-eolico-e-fotovoltaico-13201.html#ixzz2DQgbu6WV

Anche in Germania le energie rinnovabili stanno facendo una concorrenza spietata al settore termoelettrico, mettendo in crisi le centrali elettriche a carbone e gas naturale. Come già successo in Italia, dove molte centrali di nuova costruzione che usano il metano come combustibile sono in crisi e non producono più a sufficienza per ripagare gli alti costi di costruzione, anche nel cuore dell’Europa la priorità di cui godono sulla rete elettrica eolico e fotovoltaico sta costringendo le centrali tradizionali a restare ferme per gran parte dell’anno.
Secondo quanto riporta il quotidiano tedesco Der Spiegel, infatti, una trentina di impianti della Renania Settentrionale-Vestfalia rischia la chiusura. Ben 29 impianti su 72, tra gas e carbone, vengono definiti “candidati al problema”: a partire dal 2014 saranno fuori mercato e non riusciranno a produrre energia a sufficienza e a prezzo abbastanza competitivo per restare aperte.


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Anche in Germania le energie rinnovabili stanno facendo una concorrenza spietata al settore termoelettrico, mettendo in crisi le centrali elettriche a carbone e gas naturale. Come già successo in Italia, dove molte centrali di nuova costruzione che usano il metano come combustibile sono in crisi e non producono più a sufficienza per ripagare gli alti costi di costruzione, anche nel cuore dell’Europa la priorità di cui godono sulla rete elettrica eolico e fotovoltaico sta costringendo le centrali tradizionali a restare ferme per gran parte dell’anno.
Secondo quanto riporta il quotidiano tedesco Der Spiegel, infatti, una trentina di impianti della Renania Settentrionale-Vestfalia rischia la chiusura. Ben 29 impianti su 72, tra gas e carbone, vengono definiti “candidati al problema”: a partire dal 2014 saranno fuori mercato e non riusciranno a produrre energia a sufficienza e a prezzo abbastanza competitivo per restare aperte.


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"Redditività in picchiata per carbone e gas: il governo intende agire?" 

LUGANO - I Verdi tornano a parlare della centrale a carbone tedesca di Lünen, nella quale l'Azienda Elettrica Ticinese partecipa finanziariamente con una decisione molto controversa e lo fanno con un'interrogazione al Consiglio di Stato.
 
Secondo indiscrezioni pubblicate dalla rivista Spiegel, uno studio commissionato dal Ministero dell’Ambiente di Düsseldorf giunge alla conclusione che quasi la metà delle centrali termiche del Nord Reno Vestfalia, e più precisamente 29 su 72, sarebbero a rischio chiusura entro il 2014. Il motivo: la riduzione dei prezzi dell’energia causata dalla grande quantità di energia prodotta dalle centrali eoliche e solari.
 
Sempre secondo la rivista Spiegel, anche le nuove centrali non saranno rifinanziabili fino al 2030. "Questo significa - si legge nell'interrogazione - che la centrale di Lünen potrebbe produrre perdite per gran parte del periodo coperto dalla partecipazione AET (2013-2035). A causa delle perdite causate dalle centrali di produzione termiche diversi grandi produttori si trovano confrontati con situazioni drammatiche. Spiegel fa il nome di Eon, RWE, Vattenfall e EnBW.  
Non bastasse questo, la Sociatà Trianel ha di recente perso un’importante battaglia giuridica contro l’organizzazione ambientalista Bund al tribunale amministrativo di Lipsia. Un‘ulteriore complicazione che riapre la strada a possibili nuovi ricorsi contro le immissioni della centrale".....

  Viene infine chiesto se la fiducia sull’operazione Lünen resti giustificata e se davanti alla difficile situazione economica in cui versano le attuali e le future centrali a carbone, il CdS non ritenga indispensabile chiedere ad AET di procedere a degli accantonamenti straordinari urgenti".
Leggi l'articolo integrale su Ticino on line.ch

Leggi  anche

Crisi termoelettrico in Germania per colpa di eolico e fotovoltaico

GreenStyle-di Peppe Croce-26/nov/2012
... mettendo in crisi le centrali elettriche a carbone e gas naturale. ... Secondo quanto riporta il quotidiano tedesco Der Spiegel, infatti, una ...leggi qui l'interessante articolo integrale

Ilva di taranto , il gip sequestra anche l’acciaio: “Frutto del disastro ambientale”

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Ilva, il gip sequestra anche l’acciaio: “Frutto del disastro ambientale”

Secondo il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, l'Ilva "imperterrita" ha continuato a produrre nonostante l'autorità giudiziaria avesse sequestrato l'impianto. L'azienda del gruppo Riva, quindi, non avrebbe potuto far uscire dalla fabbrica nessuno tipo di lavorato o prodotto

Ilva, il gip sequestra anche l’acciaio: “Frutto del disastro ambientale”

“Una situazione paradossale”. Il giudice per le indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco, bolla così quella che definisce “la situazione attuale dell’Ilva” che “imperterrita” ha continuato a produrre nonostante l’autorità giudiziaria avesse emesso un primo provvedimento il 26 luglio del 2012, poi confermato dal Riesame e così fino in Cassazione, di blocco della produzione. L’azienda del gruppo Riva, quindi, non avrebbe potuto far uscire dalla fabbrica nessuno tipo di lavorato o prodotto. Tutto l’acciaio prodotto all’Ilva da quel giorno in poi è frutto di un reato. Quel disastro ambientale provocato da un riversamento continuo “nell’ambiente circostante e non di una quantità rilevante di sostanze altamente nocive per la salute umana” e non solo. I prodotti lavorati finali sono, nel ragionamento del gip, il “frutto” di un avvelenamento del territorio, degli animali e delle persone che, secondo i rapporti epidemiologici, ha portato il territorio ad avere un’incidenza di tumori spaventosamente alta.
Nel complesso di una vicenda magmatica, tra perizie e controperizie, una delle certezze del giudice è che l’attività produttiva dell’Ilva, che “ha provocato e provoca danni ambientali e sanitari inaccettabili”, è caratterizzata dalla “piena illiceità penale”.  L’acciaio, che fino a oggi ha dato lavoro a oltre 5000 mila operai nella sola città pugliese, è “frutto dell’attività in tale (illecito) modo posta in essere dal Siderurgico” e di conseguenza costituisce il prodotto “dei reati contestati e quindi cosa pertinente agli stessi”. Una sorta di estensione del reato che prolunga il sequestro dall’azienda all’acciaio. Come se l’inquinamento prodotto avesse “infettato” l’accaiaio.
L’Ilva ha continuato “imperterrita nella criminosa produzione dell’acciaio, nella vendita di questi prodotti assicurandosi lauti profitti non curante delle disposizioni dell’autorità giudiziaria e in violazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali sopraindicati (i decreti di sequestro, ndr). Questa riflessione giuridica – il gip cita alcune sentenze di Cassazione in ordine alla confiscabilità – motiva quindi il sequestro preventivo “del prodotto finito e/o semilavorato” dell’Ilva nelle relative aree di stoccaggio e “destinato alla vendita ovvero al trasferimento in altri stabilimenti del gruppo”. L’Ilva quindi, a questo punto, non può vendere nessuno dei prodotti lavorati: anche perché in qualche modo commetterebbe una vera e propria ricettazione. 
 Leggi l'articolo integrale


Leggi anche su Il Fatto Quotidiano

Politici, giornalisti e sindacalisti: tutti i tentacoli del “sistema gelatinoso dell’Ilva”

Gas serra e protocollo di Kyoto, a Doha si discute sul clima....Greenpeace: "Fatti, non parole"

Tratto da La Repubblica

Gas serra e protocollo di Kyoto,a Doha si discute sul clima

Via alla conferenza annuale. I paesi più ricchi si sono impegnati a mobilitare risorse per un totale di 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 e parte di questi fondi andranno diretti al Fondo verde per il clima. Il ministro dell'ambiente Corrado Clini: "Il problema non riguarda solo i paesi in via di sviluppo". 

 Greenpeace: "Fatti, non parole".


COMBATTERE i cambiamenti climatici e tagliare le emissioni di gas serra. Gli obiettivi sono gli stessi, da anni a questa parte. Quelli con sui si sono aperti a Doha(Qatar) i lavori della 18esima conferenza mondiale delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici che segna una nuova partenza per i negoziati internazionali. A distanza di vent'anni dal summit della terra di Rio, che nel 1992 tracciò le linee guida di questi appuntamenti sul clima, il compito di Doha è quello di guardare al regime post 2012........

A Doha, quest'anno non ci saranno gli attivisti di Greenpeace: "Costi troppo alti", hanno spiegato gli organizzatori che hanno comunque lanciato un monito: "Da questa conferenza devono uscire fatti non parole  -  ha dichiarato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia - È ora che i governi, compreso quello italiano che promuove il carbone e le trivellazioni in mare, si diano da fare per rappresentare concretamente gli interessi delle popolazioni, sempre più vittime del cambiamento climatico, e non quelli delle imprese fossili, dai petrolieri a chi costruisce centrali a carbone, che di tutto questo sono responsabili".
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Tratto da La Repubblica

Clima, allarme dell'agenzia Onu per il meteo:"Nel 2011 record di gas serra in atmosfera"

L'Omm avverte che le emissioni continuano a crescere, rischiando di provocare gravissime conseguenze. La CO2 in particolare ha raggiunto le 390 parti per milione, avvicinandosi alla pericolosa soglia del 450 ritenuta il limite per contenere l'aumento di temperatura entro i 2 gradi  

 Leggi l'articolo di VALERIO GUALERZI


26 novembre 2012

Ilva, disastro ambientale e concussione,7 arresti.

  ......Il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio parlando del filone d'indagine relativo all'Ilva  ha evidenziato come "il diritto alla vita e il diritto alla salute non siano comprimibili dall'attivita' economica.  

Non ci possono essere situazioni di inesigibilita' tecnica ed economica quando e' in gioco il diritto alla vita che e' un diritto fondamentale sancito dalla Carta Costituzionale".

Leggi su Savona News 

Le dichiarazioni di oggi del Procuratore capo della Repubblica di Taranto: da leggere con attenzione

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Tratto dal Corriere del Mezzogiorno

CONTESTATA ANCHE L'ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE

Ilva, disastro ambientale e concussione,7 arresti. Indagato il presidente Ferrante

Tra i destinatari del provvedimento Fabio Riva
e l'ex all'Ambiente della Provincia di Taranto Conserva
Sequestrata produzione degli ultimi quattro mesi

Ilva
TARANTO - Nuova bufera sull'Ilva: gli uomini della guardia di Finanza hanno eseguito sette arresti a Taranto e in altre regioni nei riguardi dei vertici della società e di politici e funzionari pubblici. 
Tre persone sono in carcere e quattro agli arresti domiciliari, accusate a vario titolo di associazione per delinquere, disastro ambientale e concussione.  
I DESTINATARI DEL PROVVEDIMENTO - In carcere sono finiti Fabio Riva, amministratore delegato dell'Ilva, Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento l'ex consulente Girolamo Archina, «licenziato» tre mesi fa dall'azienda dopo che, dall'inchiesta per disastro ambientale, era emerso un episodio di presunta corruzione che coinvolgeva l'ex rettore del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti, al quale Archinà avrebbe consegnato una busta contenente la somma di 10mila euro in cambio di una perizia addomesticata sull'inquinamento dell'Ilva; Ai domiciliari Lorenzo Liberti, l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto Michele Conserva, dimessosi circa due mesi fa dall'incarico quando si seppe che poteva figurare tra gli indagati della inchiesta sull'Ilva collaterale a quella per disastro ambientale, l'ingegnere Carmelo Delli Santi, rappresentante della Promed Engineering. Conserva e Delli Santi sono entrambi accusati di concussione.
I provvedimenti sono legati anche ad una inchiesta, parallela a quella per disastro ambientale che il 26 luglio scorso ha portato al sequestro degli impianti dell'area a caldo del Siderurgico. Questa inchiesta parallela è stata denominata Environment Sold Out (Ambiente svenduto).
GLI INDAGATI - Il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante e il direttore generale dell'azienda, Adolfo Buffo, sono coinvolti nell'inchiesta che ha portato all'emissione delle sette ordinanze di custodia cautelare e al sequestro dei prodotti finiti/semilavorati.
IL SEQUESTRO - La procura di Taranto ha posto sotto sequestro tutta la produzione dell'Ilva degli ultimi quattro mesi. L'intera produzione stoccata nell'ex yard Belleli e nei parchi della zona portuale di Taranto è finita sotto sequestro preventivo. Sigilli alle migliaia di lastre di acciaio e coils, grossi cilindri di materiale finito pronti per essere spediti alle industrie. La merce sequestrata non potrà essere commercializzata perché si tratta di prodotti realizzati in violazione della legge.  
Secondo la procura ionica, costituiscono profitto di reati perché realizzati durante i quattro mesi in cui l'area a caldo dello stabilimento era sotto sequestro senza alcuna facoltà d'uso.


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24 novembre 2012

Saline Joniche: le associazioni ambientaliste dicono NO

Tratto da La Repubblica" Saline Joniche: le associazioni ambientaliste dicono NO

Le 4 associazioni presenteranno in Senato il ricorso alla costruzione della centrale a carbone calabrese, un pericolo per l'ambiente e per la salute

(Rinnovabili.it) – Greenpeace, Legambiente, LIPU e WWF Italia hanno comunicato che presenteranno, durante la conferenza stampa programmata per la prossima settimana, il ricorso contro l’autorizzazione alla realizzazione della centrale a carbone di Saline Joniche, in Calabria. 
Fermare la costruzione di un impianto altamente inquinante e pericoloso per la salute è l’obiettivo delle Associazioni che si schierano contro una politica energetica nazionale che si sta dimostrando retrograda e anacronistica, e che invece di proteggere la popolazione e l’ambiente dà spazio e denaro a centrali a carbone.    
Per questo, venerdì 27 novembre i 4 gruppi si riuniranno in Senato presentando ufficialmente il ricorso contro il provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha autorizzato la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche. 
Nel corso dell’incontro oltre ad esplicitare le richieste contenute nel documento si andrà nuovamente a mettere in luce la delicata situazione dei “fronti del carbone” aperti in Italia citando casi come Porto Tolle il Sulcis 
e facendo richiesta di una strategia energetica nazionale che sappia dare maggiore spazio allo sviluppo delle energie rinnovabili al posto della pericolosa logica del carbone.

Unep- Agenzia Onu per l’ambiente: I tagli alle emissioni di CO2 insufficienti.

Tratto a Zeroemission
Unep: tagli a emissioni CO2 insufficienti
Venerdì, 23 Novembre 2012
Da un rapporto dell’agenzia Onu per l’ambiente, i tagli alle emissioni di CO2 che i vari Paesi stanno attuando sono insufficienti per rallentare gli effetti dei cambiamenti climatici. “Se non si prenderanno misure ulteriori avremo 58 miliardi di tonnellate di gas serra entro il 2020”


Saranno 58 i miliardi di tonnellate di gas serra che graveranno nell’atmosfera entro il 2020, ossia 14 in più rispetto al livello necessario per limitare il riscaldamento a 2 °C.
A prevederlo è il recente report dell’Unep, l’agenzia Onu per l’ambiente, pubblicato in vista della grande conferenza sul tema che inizierà a Doha il 26 novembre.  
L’agenzia segnala questo pericolo avvertendo che i tagli alle emissioni di CO2 che i vari paesi stanno attuando sono insufficienti per rallentare gli effetti dei cambiamenti climatici. Secondo l’Unep il gap fra quello che si dovrebbe fare e i risultati reali si sta ampliando. Avverte inoltre il rapporto che dal 2000 le emissioni sono aumentate del 20% invece di ridursi del 14 come era necessario. Come ha illustrato Achim Steiner, direttore esecutivo dell’Unep “Siamo ancora in tempo a richiudere il gap.
 Ci sono molte azioni che possono essere messe in campo. Ma la verità è che la transizione a un’economia a basso carbonio sta avvenendo troppo lentamente”. 
 Proprio ieri il Wwf aveva segnalato che in materia, i governi sono “troppo lenti per rispondere in modo concreto ai cambiamenti del clima”, sostenendo proprio questa considerazione con i dati Unep. (a.b.)

Anche perchè con le  nuove centrali a carbone previste si amplierà sempre di più il gap fra quello che si dovrebbe fare e i risultati reali.
Al di là delle parole mancano infatti   fatti concreti che vadano realmente nella direzione di un’economia a basso  carbonio. 
 Come al solito l' Italia è in buona compagnia 
tra i meno lungimiranti......

Un serio problema secondo quanto contenuto nel documento del World Resources Institute, all’interno del quale si sottolinea come il carbone sia responsabile per il 44% delle emissioni totali mondiali di CO2.

Leggi tutto: http://www.greenstyle.it/centrali-a-carbone-ne-nasceranno-1-200-in-59-paesi-13124.html#ixzz2D7lybXQ8
Centrali a carbone ne nasceranno 1200 in 59 paesi
  Energia: in progetto 1199 centrali a carbone nel mondo

centrale-a-carbone
Secondo uno studio del ‘World Resources Institute’ (WRI)di Washington , nel mondo sono attualmente in via di realizzazione 1.199 nuove centrali a carbone con una capacità totale installata di 1,4 milioni di Megawatt.
Ma quali sono i dati emersi dallo studio?
L’analisi rileva che sono ben  483 aziende elettriche stanno progettando nuove centrali a carbone in 59 paesi nel mondo. Di queste ci sono le cosiddette ”big five” cinesi (Datang, Huaneng, Guodian, Huadian, and China Power Investment) che rappresentano lo spicchio maggiore, seguiti poi dall’India.

Anche le stime dell’International Energy Agency (IEA)non sono rassicuranti
Infatti il consumo mondiale di carbone ha raggiunto 7.238 milioni di tonnellate nel 2010; la Cina ha contribuito per il 46% del consumo, seguita dagli Stati Uniti con il 13%, e l’India con il 9%.