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31 maggio 2016

Reggio Calabria:Dopo quasi 8 anni di lotte la vicenda del progetto di una centrale Termoelettrica a carbone si avvia alla conclusione


centrale carbone saline joniche

Tratto da Strettoweb.com
Reggio Calabria, la vicenda del progetto di una centrale Termoelettrica a carbone si avvia alla conclusione


“Dopo quasi 8 anni di lotte la vicenda del progetto di una centrale Termoelettrica a carbone che la SEI Spa vorrebbe costruire a Saline di Montebello Jonico si avvicina alla sua conclusione. 
Nel lontano 19 giugno 2008 la S.E.I. S.p.A. presentava al Ministero dello Sviluppo Economico, una domanda per l’autorizzazione, alla costruzione e all’esercizio di una centrale termoelettrica alimentata a carbone, della potenza di 1320 Mwe, e delle relative opere connesse, localizzata in Saline Joniche del Comune di Montebello Jonico (RC). Anche grazie alla forte pressione della società civile, raccordata dalle associazioni del territorio costituite nel Coordinamento Associazioni Area Grecanica – NO CARBONE, la quasi totalità della amministrazioni coinvolte (la Regione Calabria, la Provincia, la citta di Reggio Calabria, i comuni di Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Bagaladi, San Lorenzo e Condofuri) firmavano un documento congiunto nel quale manifestavano il loro dissenso alla realizzazione del progetto, dissenso che poi la Regione concretizzava nella delibera della Giunta Regionale con la quale negava l’”intesa forte” necessaria per la realizzazione del progetto.
 Nonostante la ferma opposizione della Regione Calabria veniva avviato il sub procedimento di VIA che non sortiva alcun esito per la presenza di ben due pareri contrari del Ministero dei beni culturali”, scrive in una nota il Coordinamento Associazioni Area Grecanica-No Carbone. “Il governo Monti -prosegue la nota- con il DPCM del 15 giugno 2012 decretava la compatibilità ambientale e l’autorizzazione all’ esercizio per la centrale. 
Il Coordinamento Associazioni Area Grecanica – NO CARBONE in quell’occasione presentava ricorso al Tar Lazio per l’annullamento di tale provvedimento, così come facevano altre Associazioni ambientaliste nazionali Legambiente, Greenpeace e WWF e la Regione Calabria. Il TAR Lazio, con la sentenza n. 03402/2015 annullava il DPCM, ma, a seguito dell’’appello della SEI, il Consiglio di Stato con la sentenza N. 01779/2016 riteneva la legittimità del provvedimento di compatibilità ambientale ribadendo che l’autorizzazione all’esercizio della centrale a carbone può essere concessa solo previa un’intesa forte tra lo Stato e la regione Calabria. Durante questi otto anni si è creato una sinergia tra associazioni e movimenti a sostegno del NO alla centrale di Saline Joniche che hanno travalicato non solo i confini calabresi ma, addirittura quelli italiani. Il 13 giugno 2014 dalla Svizzera ci arrivava un segnale di civiltà: il popolo del Cantone dei Grigioni con un referendum votava contro la possibilità che le società a partecipazione cantonale potessero investire nella costruzione di centrali a carbone fuori dal territorio elvetico, in tal modo obbligando la Repower, socio di maggioranza della SEI SpA, a uscire dal progetto della centrale.
 Il 15 gennaio 2015 il Consiglio Comunale di Rimini, sotto la pressione del Comitato Acqua Pubblica Emilia Romagna e di Re-Common, votava una delibera che impegnava il Sindaco a contestare la partecipazione di HERA spa (multiutility a rilevante partecipazione pubblica e secondo azionista della SEI) e intimare l’uscita dal progetto per la centrale di Saline.
 È di pochi giorni fa l’annuncio del Presidente del Consiglio di Amministrazione di Repower che nel corso dell’annuale assemblea dei soci tenutasi il 13 maggio 2016, della messa in liquidazione della SEI SpA. Questa notizia -aggiunge la nota-non ci può far pensare che tutto è finito: il procedimento per l’autorizzazione è ancora pendente e il progetto con le autorizzazioni ed i pareri già ottenuto ben può essere venduto ad altra società (se non è già stato fatto). Dopo quasi 8 anni di lotta è giunto il momento di porre fine a questa vertenza che pende sul futuro dello sviluppo sostenibile della Calabria. Per questi motivi, il Coordinamento NO CARBONE chiede alla Regione Calabria la riattivazione del procedimento di concertazione per concludere l’iter decisorio sull’autorizzazione all’esercizio allo stato “interrotto” (per come definito dalla sentenza del Consiglio di Stato) e che, se riattivato e portato a termine con le attuali normative non potrà che portare ad un rigetto della domanda di autorizzazione ancora pendente presso il Ministero dello Sviluppo Economico, così come votato nelle delibere del Consiglio Regionale della Calabria che hanno sempre sostenuto la volontà della Regione di negare l’intesa alla autorizzazione“, conclude la nota.

Per approfondire http://www.strettoweb.com/2016/05/reggio-calabria-la-vicenda-del-progetto-di-una-centrale-termoelettrica-a-carbone-si-avvia-alla-conclusione/418289/#xXXXomtDvjcrLFzQ.99

30 maggio 2016

17 Luglio 2015 :Tirreno Power, il Pm Granero: «Poteri pubblici contro di noi».

 Pubblichiamo alcuni stralci dei quotidiani 

del  17 luglio 2015

Tratto da Il Secolo XIX

Tirreno Power, il Pm Granero: «Poteri pubblici contro di noi».

Savona - Alcuni mesi fa, era il gennaio scorso, lo disse chiaramente: «Sono stato soggetto a pressioni di tutti i tipi, come ricatti e pedinamenti. Se si vanno a toccare determinati interessi succede questo». Oggi «che gli atti sono pubblici», Francantonio Granero è disposto a parlare di quella testimonianza, affidata allora alla commissione parlamentare sui rifiuti: 
«Mi riferivo a un aspetto molto preciso dell’inchiesta su Tirreno Power: dalle intercettazioni appare come tutta la pubblica amministrazione si sia coalizzata contro la nostra perizia epidemiologica e ambientale. Perché?».

- Tirreno Power: la Procura indaga tutta l’ex giunta regionale

Quello studio, così scomodo e indigesto, parla di 427 morti, e migliaia di ricoveri legati ai fumi della centrale di Vado. Eppure in alcuni passaggi degli atti pare quasi che la preoccupazione principale sia lui, un procuratore scomodo («in Italia possono i procuratori fare ciò che vogliono», dice uno degli indagati), tanto da spingere il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti (ad affermarlo sono due dirigenti del ministero dell’Ambiente intercettati) a informarsi se è possibile dargli fastidio con un’indagine disciplinare del Consiglio superiore della magistratura: «Gli attacchi personali sono il meno, ne ho subiti di peggiori nella mia carriera, penso ad esempio all’inchiesta sull’ex presidente della Regione Liguria Alberto Teardo, e non è mai stato mio costume parlarne. 

Ciò che mi amareggia profondamente è che i morti, le vittime, in questa storia passano in secondo pianoNon sembrano essere nei pensieri delle istituzioni e, di riflesso, non sono al centro dei titoli dei media che stanno trattando l’inchiesta». 

Ma quali sono queste intimidazioni? Dove emergono e in che modo?


Per provare a rispondere a questi interrogativi si possono mettere in fila tre episodi precisi, circoscritti dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico. Il primo riguarda la «porcata», copyright di Giuseppe Lo Presti e Antonio Milillo, dirigenti del dicastero dell’Ambiente: si tratta di una leggina ad hoc (rimasta un’intenzione) che il governo starebbe preparando per favorire l’azienda, il dissequestro dell’impianto e salvare l’occupazione. La norma, da licenziare con la firma del ministero dell’Ambiente, sarebbe in realtà partorita negli uffici dello Sviluppo economico, dove il ministro Federica Guidi, per i carabinieri «incontra a tal proposito» l’avvocato di Tirreno Power, l’ex Guardasigilli Paola Severino.

- Tirreno Power, le quattro delibere che inguaiano Burlando

Il secondo fatto viene raccontato dagli investigatori in un capitolo intitolato «tentativi di delegittimazione della perizia». È in questa parte di informativa che compaiono i vertici della Regione Liguria, in particolare la dirigente del settore Ambiente Gabriella Minervini, che risponde direttamente all’ex governatore Claudio Burlando. L’obiettivo, per gli inquirenti, è chiaro: «Minimizzare qualsiasi dato che, anche indirettamente, sia coerente con quanto accertato dalla consulenza epidemiologica come ad esempio il riferimento all’eccesso di mortalità rilevato dai dati Istat per malattie cardiorespiratorie connesse alle caratteristiche di una centrale elettrica». È in questo contesto che compare una sorta di controperizia, che Minervini discute con uno dei suoi autori, Franco Merlo, epidemiologo dell’Ist di Genova. Il dossier, che dovrebbe «demolire» la perizia della Procura, non è firmato. E quando i pm convocano i medici che l’hanno redatta, questi «rinnegano ciò che hanno scritto», spiegando che quelle conclusioni erano affrettate e «superficiali».
L’ultimo tassello è la segnalazione al Csm, che non risulta essere mai partita. «Ripeto, non mi stupisco degli attacchi personali - conclude Granero - Non fanno che confermare la bontà del nostro lavoro».


«Tirreno Power, il Governo spieghi il ruolo di De Vincenti»

Genova - Impegnati a chiedere le dimissioni di Rosario Crocetta per non aver reagito a una frase indegna che però la Procura di Palermo ha smentito, i politici della maggioranza non hanno detto una sola parola sul coinvolgimento del governo Renzi nella vicenda della Tirreno Power, la centrale di Vado Ligure sospettata di aver ucciso 427 persone e fatto ammalare oltre duemila adulti e centinaia di bambini.
Alessandro Cassinis
Continua a leggere su Il SecoloXIX



Tratto da Uomini Liberi

RASSEGNA STAMPA  DI OGGI SULLA VICENDA 
TIRRENO POWER
Oggi sui giornali locali si continua con un'altra botta di 
estratti delle intercettazioni mentre sui nazionali si approfondisce la questione di De Vincenti e della norma
 ad hoc, dei bastoni tra le ruote a Granero  e .........
LA STAMPAIL SECOLOXIXIL FATTO QUOTIDIANOIL CORRIERE
IL SOLE 24 OREIL MESSAGGEROIL GIORNALELIBERO



 Immagine tratta da Il Secolo XIX da pag 17

Tratta da Il Messaggero da pag 14
                                           


                                                        __________________________
Tratto da Bliz Quotidiano

Tirreno Power, dossier: “Claudio Burlando cercò di sbugiardare i pm”



SAVONA – Il governatore della Regione LiguriaClaudio Burlando cercò di delegittimare e sbugiardare le inchieste della Procura di Savona sulla Tirreno Power. Questo il contenuto di un dossier redatto da due medici dell’Ist di San Martino in contatto con ivertici della Regione in mano ai pm, scrive il Secolo XIX.
Nel documento, scrivono M. Grasso e M. Menduni sulSecolo XIX, ci sarebbero le prove che la Regione chiese ai medici di “smontare” la perizia che attribuisce ai fumi della centrale Tirreno Power di Vado Ligure migliaia di morti:
“C’è un documento che fa paura, un dossier che manda all’aria qualsiasi tentativo di «adoperarsi per salvare i posti di lavoro». È la perizia che accusa i fumi della centrale Tirreno Power di Vado di aver provocato migliaia di morti. Ecco perchè quello studio va contrastato a ogni costo. Nelle parole degli inquirenti questo proposito, attuato dai rappresentanti della Regione Liguria, l’ente che avrebbe dovuto vigilare su inquinamento e salute, è spiegato in un capitolo dell’inchiesta dal titolo eloquente: «Tentativi di delegittimazione della consulenza tecnica epidemiologica-ambientale».
L’inchiesta giudiziaria non piace alla politica, locale e nazionale, e i carabinieri del Nucleo operativo ecologico non ci girano troppo intorno: «Durante tutta l’attività di indagine si sono registrati diversi tentativi di delegittimare la consulenza epidemiologica commissionata dalla Procura di Savona».
L’obiettivo è chiaro: «Minimizzare qualsiasi dato che, anche indirettamente, sia coerente con quanto accertato dalla consulenza epidemiologica come ad esempio il riferimento all’eccesso di mortalità rilevato dai dati Istat per malattie cardio-respiratorie connesse alle caratteristiche di una centrale elettrica».
Conclusioni che, se fossero provate, manderebbero all’aria la grande manovra, secondo gli inquirenti spinta da Roma con l’appoggio del sottosegretario alla presidenza del Consiglio e dal ministro dell’Economia Federica Guidi, di elaborare una leggina ad hoc («una porcata», per dirla con le parole di due dirigenti del ministero dell’Ambiente intercettati) per favorire Tirreno Power e «mantenere i livelli occupazionali»”.
Tratto da La Repubblica

Tirreno Power, quelle “manovre” di Burlando &C. per convincere la ...

La Repubblica - 
Tirreno Power, quelle “manovre” di Burlando &C. per convincere la Asl a La centrale Tirreno Power "Durante tutta l'attività di indagine si sono registrati tentativi di delegittimare la consulenza epidemiologica commissionata dalla Procura della ...Leggi l'articolo integrale


Tratto da genova24

Tirreno Power “pilotava” la Regione. Minervini a Guccinelli: “Per il ...

Genova24.it - ‎15 lug 2015‎
Tra gli altri, ci sono i dirigenti della Tirreno Power (come Massimiliano Salvi, Pasquala D'Elia, Giovanni Gosio), ma anche i funzionari del Ministero dell'Ambiente (come Mariano Grillo) e della Regione Liguria (Gabriella Minervini), della Provincia di ...
______________________
             
Leggi anche uno stralcio del 12 ottobre 2014 su LINFALAB :

Si è arrivati al calcolo delle percentuali di aumento del rischio e del numero dei ricoveri e delle morti, determinate proprio dalla presenza della centrale Tirreno Power.


Quello che è stato fatto è stato realizzare non una stima, ma una misura del danno, attraverso uno studio caso-controllo della popolazione,«definendo come base dello studio, l’esperienza di vita di tutti i residenti nei comuni contigui alla provincia di Savona, da caratterizzare con diversi livelli di esposizione».



29 maggio 2016

Agostino Di Ciaula : L' Incenerimento e' il modo peggiore per trattare i rifiuti

Tratto da You tube

Danni alla salute di inceneritori e discariche di Agostino Di Ciaula, Coordinatore del Comitato Scientifico ISDE Italia.
L' Incenerimento e' il modo peggiore per trattare i  rifiuti 
 Ecco alcune immagini tratte dalla relazione del Medico Isde Agostino di Ciaula e guardatevi l' interessante  video  diviso  in tre parti su You tube.












27 maggio 2016

Silvestrini : Multinazionali dell'energia, venti di transizione e di reazione ai cambiamenti

Multinazionali dell'energia, venti di transizione e di reazione ai cambiamenti

Tratto da Qualenergia
In passato in presenza di alti prezzi degli idrocarburi i guadagni delle multinazionali dei fossili aumentavano e, contemporaneamente, anche gli investimenti sulle energie rinnovabili risultavano più interessanti.
Oggi, viceversa, il trend ribassista di carbone, petrolio e metano colpisce con forza le multinazionali del settore, ma non impedisce la rapida crescita delle rinnovabili. E, considerata la riduzione dei prezzi di solare ed eolico prevista nel medio e lungo periodo, l’avanzata di queste tecnologie non potrà essere più fermata.
È interessante capire come questa tendenza influisca sulle strategie delle aziende elettriche e in quelle petrolifere. I loro bilanci verranno, infatti, messi sempre più in difficoltà dalla rapida crescita delle soluzioni alternative. Oggi la diffusione delle rinnovabili determina un calo del prezzo dell’elettricità, con notevoli impatti sulle quotazioni delle utilities; domani l’esplosione di eolico e solare da un lato e della mobilità elettrica dall’altro incideranno sulla domanda di gas e petrolio contribuendo alla riduzione del prezzo dei fossili.
Ma come reagiscono le compagnie energetiche al drastico cambio del contesto in cui hanno storicamente operato? Nel caso di alcune utilities elettriche, sono proprio le rinnovabili a risanare bilanci a fronte delle difficoltà della generazione tradizionale. Emblematico il caso di Enel che ha totalmente cambiato il proprio modello di business, tanto da incorporare Enel Green Power, diventata ormai motore del cambiamento. Altre utilities sono a metà del guado e qualcuna, a livello internazionale, sparirà.
Un’analoga trasformazione sta avvenendo nel mondo dei fossili. In qualche caso il salto del fossato è già completamente avvenuto, come dimostra la storia di ERG che ha smobilitato le proprie raffinerie per lanciarsi nell’eolico.
Guardando alle società più importanti, la situazione è variegata, ma si intravvedono segnali di una diversificazione delle attività. Questo cambio di marcia è più evidente nella francese Total da tempo impegnata nel solare, o nella norvegese Statoil lanciatasi nell’eolico off-shore galleggiante. Come è noto, e come era prevedibile, anche Eni ha timidamente annunciato programmi per 1 miliardo di euro nel fotovoltaico. La stessa Arabia Saudita ha avviato un cambio di strategia.
All’altro estremo si situano le big statunitensi. Proprio in questi giorni si tiene l’assemblea degli azionisti della Exxon e il suo amministratore Rex Tillerson, a fronte della crescente pressione di alcuni investitori che chiedevano un cambio di approccio visti i rischi climatici, ha candidamente affermato che la riduzione delle produzione di petrolio ”non è accettabile per l’umanità”. Malgrado questo, il 38% degli azionisti hanno votato una mozione per richiedere una rendicontazione annuale sull’impatto delle politiche climatiche dopo Parigi sui profitti dell’azienda. Anche il 41% degli azionisti della Chevron hanno sollecitato uno “stress test climatico.
La transizione non sarà quindi così banale, ma lascerà sul campo morti e feriti. Ne è un esempio il caso delle grandi società del carbone che non hanno avuto il tempo di diversificare in un contesto di calo della domanda e dei prezzi e sono fallite.
È importante focalizzare l’attenzione sui produttori di combustibili fossili perché è evidente che il processo di decarbonizzazione in atto, comportando la ridiscussione della loro stessa esistenza, alimenterà inevitabilmente azioni contro le politiche climatiche.
È vero che solo la capacità di definire rapidamente strategie alternative determinerà la possibilità di una loro sopravvivenza, come sottolinea un numero crescente di autorevoli osservatori. Ma non dobbiamo aspettarci che questa prospettiva venga accettata pacificamente. Visti gli enormi interessi in gioco, è chiaro che verrà esercitata un’enorme pressione nei confronti dei governi per evitare l’adozione di incisive politiche di contenimento delle emissioni.
La Exxon deve difendersi in questi mesi nei tribunali dall’accusa di avere finanziato gruppi negazionisti e di avere nascosto informazioni sui rischi climatici che pure i suoi stessi scienziati avevano evidenziato. Possiamo immaginare il ruolo che queste compagnie potranno esercitare nei prossimi delicati e decisivi anni. E l’elezione del nuovo presidente Usa è alle porte …

Il Wwf : «L’Italia potrebbe vivere senza bruciare carbone».

Tratto da WWF

Mariagrazia Midulla a Il Manifesto: «L’Italia potrebbe vivere senza bruciare carbone»

Riportiamo di seguito l'articolo apparso su Il Manifesto con l'intervista a Mariagrazia Midulla, Responsabile Clima ed Energia del WWF Italia.

Il Wwf a Renzi: «L’Italia potrebbe vivere senza bruciare carbone»

«Non si tradiscono soltanto gli impegni presi alla Cop 21 di Parigi, ma tutte le promesse già fatte in precedenza: gli Usa avevano annunciato lo stop ai finanziamenti delle centrali all’estero, l’Italia un mese fa, per bocca del premier Matteo Renzi, ha detto di voler uscire dal carbone: ma poi attraverso Sace finanzia un nuovo impianto in Repubblica Dominicana».
Mariagrazia Midulla è Responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, e ha contribuito a elaborare  lo studio Swept under the Rug:How G7 Nations Conceal Public Financing for Coal Around the World, l’ultimo rapporto denuncia contro i sette Grandi, riuniti domani e dopodomani in Giappone. Nel periodo 2007-2015, dice il report, il G7 ha messo ben 42 miliardi sulla costruzione di nuove centrali.
Da un lato promettono, dall’altro gli investimenti non si fermano.
Per alcuni Paesi, come è il caso del Giappone, addirittura i finanziamenti vengono rivendicati apertamente: durante Cop 21 gli ambientalisti di Tokyo ci hanno spiegato che il governo nipponico dichiara gli investimenti sulle centrali all’estero come finanza per le politiche climatiche.
Si può fare a meno oggi del carbone?
Assolutamente sì, il carbone è il primo combustibile fossile di cui possiamo fare a meno, e il peggiore per emissione di anidride carbonica e per i danni causati all’ambiente e alla salute delle popolazioni. Bisogna tagliare sia i finanziamenti diretti che quelli indiretti: Sace, agenzia pubblica italiana, ad esempio non sta investendo direttamente per la centrale di Punta Catalina, in Repubblica Dominicana, ma offre una garanzia ad alcuni finanziamenti bancari.
C’è ancora molto carbone all’interno del territorio italiano?
Abbiamo ancora dodici centrali, alcune delle quali, come quelle di La Spezia e Brindisi, piuttosto inquinanti. Assicurano circa il 13,5% del fabbisogno elettrico del nostro Paese. Più in generale abbiamo una quota inferiore rispetto alla Germania, che ha le miniere, ma pesa comunque molto sulle emissioni di CO2: il 35-40% delle emissioni di anidride carbonica del settore elettrico vengono dal carbone. È chiaro che il nostro obiettivo deve essere quello di chiuderle. Per fortuna sono stati abbandonati i progetti di nuovi impianti o di riconversioni, come quelli di Saline Joniche e di Porto Tolle, ma questo ancora non basta per una inversione di tendenza, soprattutto se pensiamo che parallelamente si è avuta una battuta d’arresto sullo sviluppo delle energie rinnovabili.
Quali soluzioni si possono suggerire al nostro governo?
Bisogna rendere il carbone economicamente meno vantaggioso, con una carbon tax o con limiti più rigidi alle emissioni delle singole centrali: così chi li sfora dovrà essere obbligato a chiudere o a intraprendere costosissimi ammodernamenti, al giorno d’oggi non più convenienti sul piano economico.
L’Italia sarebbe già capace di vivere a carbone zero?
Oggi si può sostituire completamente il carbone che ancora utilizziamo: la nostra capacità di produzione complessiva di energia elettrica è pari al doppio del picco massimo di richiesta mai raggiunto, registrato lo scorso luglio. Ma soprattutto si deve tornare a investire sulle rinnovabili: gli ultimi dati di Assoelettrica, di inizio anno, registrano ancora una perdita di posizione dopo le buone degli anni passati. Si sono tagliati gli incentivi e si continuano a frapporre ostacoli all’installazione di fotovoltaico sulle case, sulle imprese, invece di varare sgravi fiscali come negli Usa. Il nuovo ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, ha annunciato di voler rivedere la strategia energetica unificandola con quella del clima: ottimo, speriamo che alle parole adesso seguano i fatti.

26 maggio 2016

Arriva il TTIP:Trattato Usa-Ue sul commercio, “giova alle multinazionali ma nuoce alla salute”

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Trattato Usa-Ue sul commercio, “giova alle multinazionali ma nuoce alla salute”

  

Pubblichiamo l'intervento di Roberto De Vogli, professore associato in salute globale e politica economica presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università della California Davis, honorary senior lecturer presso l’University College di Londra e associato del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione all'università di Padova

Il trattato di libero commercio tra Usa e Ue chiamato Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) è il più importante accordo commerciale mai discusso nella storia. Se approvato, avrà effetto su nazioni che rappresentano circa il 50% del prodotto interno lordo (Pil) mondiale. I sostenitori del TTIP affermano che l’accordo rappresenta uno stimolo importante per la crescita economica e l’occupazioneGli oppositori dicono invece che l’accordo favorirà le corporazioni transnazionali e nuocerà alla salute dei cittadini. Chi ha ragione?
Al fine di valutare i potenziali effetti futuri del Ttip sulla salute, ci si è affidati all’analisi delle evidenze storiche dell’impatto sanitario dei trattati di libero commercio simili al Ttip approvati in passato. In un recente articolo, apparso su Epidemiologia & Prevenzione, abbiamo esaminato la letteratura pubblicata su riviste scientifiche internazionali concluso che il Ttip può influenzare negativamente la salute pubblica.
Il Ttip potrebbe influenzare l’accesso ai farmaci. Riducendo gli ostacoli tecnici agli scambi commerciali (Technical Barriers to Trade, TBT), quest’accordo potrebbe promuovere maggiore cooperazione scientifica tra agenzie come la European Medicine Agency (EMA) e la Food and Drug Administration (FDA), e ridurre quindi la duplicazione dei processi.
 Il Ttip, tuttavia, contiene una clausola sulla proprietà intellettuale(Intellectual Property) e una sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuali (Trade-Related Intellectual Property Rights) che, espandendo ed estendendo i monopoli sui brevetti, avrà l’effetto di ritardare la disponibilità di farmaci generici e causare un sottoutilizzo di farmaci essenziali tra le popolazioni più vulnerabili come i poveri e gli ammalati. 
Oltre a limitare l’accesso ai farmaci, il Ttip potrebbe anche ridurre l’accesso alle cure sanitarie: la regola sull’accordo dei servizi sul commercio (Trade in Services Agreement, TIS) comprende una clausola “anti-arretramento” (ratchet clauseche preclude la possibilità che servizi sanitari pubblici, che sono già stati privatizzati, possano tornare a essere gestiti dallo Stato. Questa è una grave violazione contro la volontà dei cittadini di scegliere il proprio servizio sanitario nazionale.
Il Ttip potrebbe influenzare negativamente le politiche finalizzate a ridurre il consumo di tabacco e alcol.
La clausola del Ttip chiamata arbitrato privato per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati (Investor to State Dispute Settlement, ISDS) consente alle corporazioni transnazionali di citare in giudizio, di fronte a tribunali internazionali privati, gli Stati che abbiano approvato una legge in grado di ridurre il valore del loro investimento. L’ISDS, già incluso in trattati di libero commercio approvati in passato, è stato ampiamente utilizzato dalle corporazioni transnazionali. La Philip Morris, ad esempio, ha già citato in giudizio l’Uruguay e l’Australia per delle leggi sull’apposizione di avvertenze grafiche sui pacchetti di sigarette finalizzate alla protezione della salute, rifacendosi a potenziali violazioni dell’accordo di libero commercio.
Un altro gruppo di determinanti della salute che potrebbero essere influenzati dal Ttip sono le malattie legate alla dieta e all’agricoltura...... Il Ttip potrebbe causare un indebolimento delle norme nel settore alimentare e agricolo soprattutto nella Ue. Il Ttip rischia di causare l’aumento delle importazioni di carne bovina trattata con ormoni e polli trattati con il cloro, oltre a facilitare le importazioni di cibi geneticamente modificati (GM), entrambi illegali o soggetti a restrizioni all’interno dell’Ue, ma permessi negli Stati Uniti.
Discutibilmente, il più grave effetto sulla salute del Ttip riguarda la sua capacità di scoraggiare o bloccare politiche ambientali. Il cambiamento climatico è ampiamente considerato la più importante minaccia del secolo per la salute globale, in grado di provocare il collasso della civiltà moderna. Le disposizioni ISDS sono state sfruttate dalle grandi corporazioni transnazionali di combustibili fossili per citare in giudizio quei governi che cercano di limitare l’estrazione e l’esportazione dei combustibili stessi. ......
Nel complesso, il Ttip non è solo un potenziale fattore di rischio per la salute, ma anche una minaccia alla democrazia. È curioso notare l’assoluta mancanza di reciprocità all’interno del progetto dell’arbitrato: le corporazioni transnazionali possono citare in giudizio i governi, ma non il contrario.......
E voi da che parte state? Dalla parte dei colossi privati transnazionali che difendono il loro diritto al profitto o dalla parte dei cittadini che difendono il loro diritto alla salute? 
Qualcuno, comprensibilmente, potrebbe non scegliere, ma come scrisse Howard Zinn “non è possibile essere neutrali in un treno in corsa”: o fermiamo il “treno del Ttip”, o corriamo verso un futuro nel quale gli Stati dovranno inginocchiarsi di fronte al potere privato transnazionale. In realtà è già un po’ così.

Leggi su L' Espresso

Ttip, la trasparenza degli atti ridotta all'osso

A partire dal 30 maggio, deputati, senatori e funzionari governativi che ne facciano richiesta avranno un’ora 
di tempo per «prendere visione» di centinaia di pagine dal contenuto complesso 
e tecnico. 
In nessun modo però potranno riferirne all’opinione pubblica 
i contenuti.

Trasparenza sì, ma solo per i parlamentari. E con le rigide condizioni dettate 
dal segreto di Stato imposto sui documenti relativi al Ttip. A partire dal 30 maggio, deputati, senatori e funzionari governativi che ne facciano richiesta avranno un’ora 
di tempo per «prendere visione» di centinaia di pagine dal contenuto complesso 
e tecnico.

Nessuna possibilità però di riprodurre i testi, 
né in forma elettronica né trascrivendone singole parti. Dovranno accontentarsi solo di qualche eventuale nota, presa a mano, rigorosamente diversa dal testo originale e comunque non divulgabile.

Sono queste le regole della direttiva firmata del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, per l’accesso ai documenti del trattato. 

In nessun modo i nostri parlamentari potranno infatti riferire all’opinione pubblica 
il contenuto dell’accordo. Anche di quel poco che riusciranno a leggere e capire 
nella sola ora di tempo che ognuno di loro avrà a disposizione.
Continua a leggere su L' Espresso.
Ecco il Ttip