Il caso trattato dalla sentenza in esame riguarda il rigetto della richiesta di Autorizzazione Integrata Ambientale (di seguito AIA) per un impianto di termovalorizzazione di pneumatici fuori uso (PFU).
La sentenza (QUI) è particolarmente rilevante sotto i seguenti profili:
1. definisce la natura giuridica dell’AIA e quindi il suo oggetto ampio;
2. l’importanza dello stato sanitario della zona interessata dall’impianto da autorizzare a prescindere dalle emissioni specifiche dello stesso;
3. il ruolo che il Sindaco deve svolgere come Autorità Sanitaria all’interno della procedura di rilascio dell’AIA.
Riporto sinteticamente i principali passaggi di questa sentenza in rapporto ai suddetti tre profili.
SULLA NATURA GIURIDICA DELL’AIA
Afferma il Consiglio di Stato: “Si deve, infatti, rilevare che l’autorizzazione integrata ambientale è configurata come un titolo abilitativo conseguente ad una verifica di carattere generale sull’impianto, con particolare riguardo alle emissioni in relazione all’ambiente circostante, attribuendo alle autorità interessate un ampio potere - espressione di discrezionalità tecnica - anche circa le concrete misure tecniche che devono essere disposte per il controllo e la riduzione di tali emissioni, le quali inoltre rilevano anche in un ampio contesto geografico circostante.”
Si conferma il carattere profondamente diverso dell’AIArispetto alle autorizzazioni ambientali settoriali del passato(acqua, aria, rifiuti etc.). Queste ultime si limitavano a verificare che l’impianto rispettasse i limiti di legge settoriale di riferimento e niente di più. L’AIA invece oltre a stabilire limiti di emissioni per i singoli comparti ambientali (aria , acqua, suolo) verifica la compatibilità dell’intero modello gestionale dell’impianto (ciclo produttivo, materie prime, misure di mitigazione) con il sito in cui è collocato.
Questo fa capire come il potere di chi rilascia l’AIA non possa essere limitato all’imporre i limiti di emissioni di legge e le migliori tecnologie disponibili frutto del processo definitivo dalla UE ma anche ulteriori limiti, ulteriori prescrizioni anche oltre quanto stabilito dalla legge se motivato dalla situazione specifica (ambientale e sanitaria)in cui l’impianto è collocato.
Infatti in relazione al caso esaminato dalla sentenza del Consiglio di Stato si afferma: “Ne deriva che, già con riferimento ai pareri espressi da tali organi tecnici, fosse giustificato il diniego, non essendo stato realizzato il monitoraggio continuo richiesto dall’ARPA né modificato il sistema di abbattimento di NOx.
Anzi, con riferimento a tali criticità, la difesa della appellante deduce che il sistema di monitoraggio avrebbe richiesto una modifica dell’impianto già prima dell’avvio, riconoscendo quindi il mancato adeguamento a quanto richiesto nella conferenza di servizi istruttoria. Tale argomentazione difensiva circa la modifica dell’impianto non può poi essere condivisa, in quanto il potere di modifica di un impianto ai fini della verifica delle emissioni da parte dell’ARPA è espressamente previsto nella disciplina dell’AIA”. Conclude sul punto il Consiglio di Stato: “Si deve, quindi, rilevare, sul punto, che le modifiche al fine di contenere o verificare le emissioni sono espressamente previste dalla disciplina dell’AIA sopra richiamata, con la conseguente legittimità, nel caso di specie, di tali richieste di modifica, espressione di discrezionalità tecnica certamente non tacciabile di illogicità od abnormità.”
SULL’IMPORTANZA DELLO STATO SANITARIO DELLA ZONA INTERESSATA DALL’IMPIANTO DA AUTORIZZARE A PRESCINDERE DALLE EMISSIONI SPECIFICHE DELLO STESSO
Nel caso esaminato dalla sentenza del Consiglio di Stato la istruttoria che ha portato al diniego dell’AIA ha rilevato come i vari soggetti partecipanti alla conferenza hanno fatto riferimento alla particolare criticità ambientale dell’area della valle del Sacco, circostanza che ha assunto anche un rilievo a livello legislativo, in quanto inserita tra i siti di bonifica di interesse nazionale.
In tal senso afferma il Consiglio di Stato: “La complessiva scadente qualità ambientale dell’area in questione, confermata da tale previsione legislativa, ben poteva essere oggetto di valutazione nel suo complesso, a prescindere dalla presenza o dal superamento del singolo inquinante, come sostiene la parte appellante.”.
Quanto sopra perché la disciplina dell’AIA è finalizzata a “conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso” per cui, nella sentenza qui esaminata, il Consiglio di Stato afferma: “una valutazione in termini di costi - benefici derivanti da un impianto industriale e dei suoi possibili effetti sull’ambiente e sulla salute dei cittadini vanno al di là della specifica localizzazione dell’area, ai fini urbanistici, dovendo essere considerata la vicinanza della abitazioni con riferimento all’effetto complessivo delle emissioni inquinanti sull’ambiente circostante.”
È FONDATO UTILIZZARE IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE, SE ADEGUATAMENTE MOTIVATO, PER NEGARE IL RILASCIO DELL’AIA
Il verbale della conferenza di servizi nel caso in esame si richiama al principio di precauzione quale principio fondante la decisione di non rilasciare l’AIA . Secondo il Consiglio di Stato: “Tale richiamo è corretto, in quanto la disciplina di tutela ambientale e della salute dei cittadini deve ritenersi ormai orientata da tale principio, come del resto riconosciuto specificamente per la gestione dei rifiuti dal sopra richiamato art. 178 del d.lgs. n. 152 del 2006.”
Il Consiglio di Stato ricorda altresì che il principio di precauzione è contenuto nell’articolo 191 del Trattato UE che al primo paragrafo fa riferimento alla tutela della salute e al secondo al principio di precauzione proprio per confermare l’integrazione del principio suddetto con l’obiettivo di un elevato livello di tutela ambientale.
Il principio di precauzione, secondo la sentenza qui esaminata, quindi: “…integra, quindi, un criterio orientativo generale e di larga massima, che deve caratterizzare non soltanto le attività normative, ma prima ancora quelle amministrative, come prevede espressamente l'art. 1 della legge 7.8.1990 n. 241, ove si stabilisce che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta ... dai principi dell'ordinamento comunitario” (Consiglio di Stato IV, 18 luglio 2017, n. 3559 - QUI).