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27 febbraio 2017

Inquinamento: la catastrofe che colpì Londra.I polmoni delle vittime erano intasati dalla polvere nera e dai metalli pesanti.

Tratto da meteo.it

Inquinamento: la catastrofe che colpì Londra

Si ipotizza che le vittime ammontino a 12000

Sulla spinta di una grave tragedia, nel 1956 venne approvato a Londra il Clean Air Act, il primo grande provvedimento volto a contenere l’impatto ambientale degli inquinanti urbani e non solo, venivano regolamentate le emissioni industriali e domestiche, imposto l'utilizzo di combustibili meno inquinanti e avviati programmi per ricollocare gli impianti per la produzione energetica lontano dai centri abitati. La tragedia che viene ricordata come il grande smog di Londra si riferiva al dicembre 1952. 
Tra il 5 e il 9 dicembre l’Anticiclone delle Azzorre si stabilì sull’Atlantico settentrionale, creando un fenomeno di forte inversione termica proprio sulla città di Londra. Uno strato di aria fredda e stagnante rimase intrappolata verso il basso da un altro strato di aria più calda, causando un’assenza totale di ventilazione e di ricambio d'aria, accompagnati da temperature rigide, che spinsero gli abitanti di Londra ad aumentare il consumo di carbone per il riscaldamento domestico. Questo produsse un’enorme quantitativo di smog che si andò a sommare a quello già abbondantemente prodotto dalle ciminiere industriali.
Inquinamento: la catastrofe che colpì Londra Previsioni | METEO.IT
Il carbone usato a quei tempi era di qualità infima, perchè la Gran Bretagna, nel pieno della crisi economica del dopoguerra, preferiva esportare il carbone più puro ed economicamente più remunerativo e tenere per il consumo domestico quello meno pregiato, contenente elevati contenuti di zolfo e quindi molto più inquinante. Questa serie di fattori climatici piuttosto particolari e la mancanza di una responsabile conoscenza dei problemi ambientali, furono determinanti per il consumarsi della tragedia. Le cronache del tempo registrano una visibilità dell’ordine di pochi metri. Il trasporto pubblico in superficie venne sospeso, venne impedita la circolazione anche dei veicoli privati e delle ambulanze. Le scuole vennero chiuse e diversi spettacoli teatrali o cinematografici furono interrotti perchè gli spettatori non riuscivano a vedere il palcoscenico: lo smog era ormai filtrato anche all’interno di locali e abitazioni. Chi possedeva una maschera antigas iniziò ad utilizzarla per scendere in strada.
Inquinamento: la catastrofe che colpì Londra Previsioni | METEO.IT
L’aria diventò irrespirabile e i cittadini furono colpiti da malori di ogni tipo, principalmente riguardanti patologie dell’apparato respiratorio. Quando l'arrivo di una perturbazione portò finalmente la pioggia, sulle strade e sui palazzi si depositò uno strato di sudiciume oleoso, dall'odore pungente e irritante per gli occhi e le vie respiratorie. Nonostante una prima valutazione attribuisca alla piaga del grande smog 4.000 decessi dovuti a infezioni dell'apparato respiratorio, da studi recenti si è arrivato a ipotizzare che le vittime dirette e indirette ammontino a ben 12.000 persone, con 100.000 casi di malattie imputabili all’esposizione della nebbia assassina. Inizialmente l'alto numero di decessi venne attribuito a un'epidemia di influenza ma l'analisi dei tessuti prelevati dai cadaveri confermò che i polmoni delle vittime erano intasati dalla polvere nera e dai metalli pesanti.
Inquinamento: la catastrofe che colpì Londra Previsioni | METEO.IT

Gianni Tamino:Ambiente, salute e pensiero sistemico circolare

Ambiente, salute e pensiero sistemico circolare

E’ questo il titolo dell’articolo di Gianni Tamino, pubblicato sulla rivista Sistema Salute all’interno della monografia “Promozione della salute nell’antropocene”.
Un’economia si può considerare sostenibile se è in grado di evitare sprechi di risorse e inquinamenti, che possono mettere a repentaglio gli equilibri ambientali e la salute umana. Ma l’attuale sistema produttivo lineare produce rifiuti ed ha favorito il cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico, la contaminazione delle acque, la rottura dei cicli biogeochimici, con lo sviluppo di nuove malattie, di tipo cronico-degenerativo.
Questo contributo mette a confronto l’economia lineare, che attualmente caratterizza la produzione industriale e agricola, con l’economia circolare della natura, che dura da milioni di anni. Dal confronto emerge che un’economia diversa, senza sprechi di risorse e senza inquinamenti, è possibile, se si seguono le indicazioni che vengono dal sistema produttivo naturale. 
La nuova economia deve utilizzare fonti di energia rinnovabili, come quella di origine solare, e soprattutto deve avere un andamento circolare, con continuo riutilizzo dei materiali impiegati in ogni ciclo produttivo.

25 febbraio 2017

Ilva, migliaia di genitori e bambini in piazza a Taranto .

Tratto da La Stampa

Ilva, migliaia di genitori e bambini in piazza a Taranto.

«Siamo bambini da salvare»
... erano sicuramente diverse migliaia i bambini e i genitori che stamattina a Taranto hanno preso parte a una marcia per opporsi - ancora una volta - alle emissioni inquinanti delle grandi industrie presenti sul territorio (Ilva, Eni, Cementir) e alzare la voce contro l’ipotesi del patteggiamento delle tre società imputate (Ilva, Riva Fire, Riva Forni Elettrici) nel processo «Ambiente svenduto». L’iniziativa, organizzata dalla quasi totalità delle associazioni presenti in riva allo Ionio  è stata presentata con un titolo emblematico: «Giustizia per Taranto». La marcia, priva di connotazioni politiche, è iniziata alle 9, sotto un cielo coperto che nel corso della mattinata ha dato origine anche a piogge a tratti. 


In strada anche gli ambientalisti campani e siciliani  
Nel corteo, partito a pochi metri dall’ospedale Santissima Annunziata e arrivato in piazza della Vittoria, nel pieno centro cittadino, c’erano diverse famiglie coi propri figli. Come documentano le immagini, scattate da Raffaella Trovato, erano tanti i cartelloni emblematici dell’emergenza ambientale che si vive in riva allo Ionio, giunta a un punto di non ritorno. Su alcuni si leggevano queste frasi: «Voglio respirare aria pulita», «Voglio legalità: no al patteggiamento», «Voglio poter aprire le finestre», «Voglio un futuro migliore», «Non voglio respirare gas», «Non voglio ammalarmi», «Ascoltate la nostra voce», «Siamo bambini da salvare».  
A srotolarli tanti bambini, molti dei quali provenienti dal quartiere Tamburi («I figli dei Tamburi chiedono giustizia», lo slogan campeggiante su un altro striscione), situato a ridosso dello stabilimento siderurgico e come tale esposto alle polveri di minerali. .....

Associazioni contrarie al patteggiamento richiesto dalle aziende sotto processo  
«Chiediamo di partecipare alle scelte che riguardano la città e pretendiamo che si investa da subito nella riconversione di Taranto e non in quella delle fabbriche inquinanti», hanno ripetuto a più riprese i promotori della mobilitazione, giunta al traguardo senza particolari intoppi. Il momento storico che si vive in riva allo Ionio, d’altronde, è cruciale. Dopo aver inquinato l’aria, la terra e l’acqua per cinquant’anni, contribuendo a incrementare i numeri di diverse malattie, l’industria siderurgica è rimasta impigliata nelle maglie della giustizia.  
La famiglia Riva è sotto processo per diversi reati: sia a Taranto sia a Milano. Mentre l’Ilva è attualmente gestita dallo Stato, che nei prossimi mesi la venderà a una delle due cordate fattesi avanti: AcciaItalia (Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio) o InvestCo Italy (Arcelor Mittal e Marcegaglia). Di fronte all’ipotesi di patteggiamento avanzata dalle tre aziende coinvolte nel processo «Ambiente svenduto», il gup di Milano Maria Vicedomini s’è opposta: troppo esiguo l’importo di 1,3 miliardi di euro per risarcire Taranto e i suoi cittadini per i danni procurati. .....

Caso Tirreno Power, udienza in autunno: 26 gli imputati

PROMEMORIA

Caso Tirreno Power, udienza in autunno: 26 gli imputati per disastro ambientale colposo

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Savona - AUTUNNO : è quello il termine fissato dal gup Francesco Meloni per dare il via all’udienza sul disastro ambientale e sanitario colposo a carico degli amministratori e direttori della centrale termoelettrica di Vado di Tirreno Power. Ventisei persone in tutto, tra cui l’ex direttore generale Giovanni Gosio, l’ex capo centrale Pasquale D’Elia e tutta una serie di amministratori che si sono succeduti nei vari consigli d’amministrazione di Tirreno Power.
Il gup Meloni avrebbe fissato anche la data precisa riservandosi però di comunicarla prima agli imputati. Di certo c’è che la maxi inchiesta avviata dall’ex procuratore Francantonio Granero e portata avanti dal procuratore Alessandro Ausiello, coadiuvato dal sostituti Daniela Pischetola e Vincenzo Carusi, approderà al gup dopo lo stop delle vacanze estive. Per l’accusa i ventisei imputati avrebbero omesso «l’adozione di tutte le cautele gestionali ed impiantistiche rese possibili dalle migliori tecnologie disponibili per ridurre gli effetti inquinati», non ottemperando le prescrizioni imposte dalle autorizzazioni e presentando istanze per tenere in esercizio i gruppi a carbone che come puntualizza il procuratore Ausiello «il funzionamento era destinato a cessare tra il 2018 e il 2020».
Restano invece in sviluppo i filoni riguardanti il presunto omicidio colposo, ipotesi per la quale la procura ha avviato nuovi ed ulteriori accertamenti per dare un nome e un volto alle eventuali vittime dell’inquinamento provocato dalle ciminiere della centrale.....
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24 febbraio 2017

25 febbraio 2017 - Ilva, “Giustizia per Taranto”: ecco tutte le ragioni per tornare in piazza,

Tratto da Inchiostro Verde 

Ilva, “Giustizia per Taranto”: ecco tutte le ragioni per tornare in piazza

Alla vigilia della grande mobilitazione di sabato 25 febbraio, che partirà da piazza Marconi alle ore 9 – scrivono i promotori dell’iniziativa – abbiamo voluto approfondire in modo, quanto più accessibile possibile, le ragioni che ci hanno portato a promuovere questa presa di posizione in favore del nostro territorio. Domande e risposte brevi, per meglio comprendere il delicato momento che Taranto e la sua provincia sono nuovamente costrette ad affrontare.
Perché tornare in piazza a manifestare?
Il momento per Taranto è molto delicato, il processo in corso per l’inquinamento dell’Ilva è in una fase cruciale e serve che la città prenda posizione per evitare di essere calpestata ancora una volta.
Perché, cosa sta succedendo nel processo Ilva?
La famiglia Riva è sotto processo per diversi reati, sia a Taranto che a Milano mentre l’Ilva è attualmente gestita dallo Stato. Le due procure, assieme a Governo e imputati, avevano trovato un accordo in base al quale far uscire dal processo le società collegate all’Ilva, in cambio di appena 1 miliardo e 300 milioni. Una giudice di Milano ha respinto l’accordo spiegando che quei soldi sono troppo pochi rispetto ai reati e ai danni procurati. Anche noi siamo contrari ad accordi al ribasso con Governo e imputati. Solo per Taranto la Procura, in un primo momento, disse che sarebbero serviti più di 8 miliardi di euro.
Se le Procure di Milano e Taranto, insieme ai Riva e al Governo (che attualmente gestisce l’Ilva) troveranno un nuovo accordo economico, a chi andranno quei soldi?
In un passaggio introdotto nell’ultima “Legge di Stabilità” il Governo ha previsto che i soldi frutto di accordo debbano essere destinati ai piani ambientali dell’Ilva.
Cosa sono i Piani Ambientali?
Sono le azioni previste in Ilva per diminuirne le emissioni nocive. Le aziende che stanno provando ad acquistare l’Ilva hanno la possibilità di concordare i piani ambientali con il Governo, col rischio che questi siano assai blandi rispetto all’emergenza ambientale in corso a Taranto. Alla popolazione non è ancora dato di conoscere i Piani presentati.
Cosa chiediamo con Giustizia per Taranto?
Che quei soldi costituiscano un anticipo per fermare la contaminazione di Taranto, a partire dalla messa in sicurezza della falda acquifera che, da sotto ai parchi minerali, trasporta gli inquinanti fino al mar Piccolo e ai pozzi di tutto il circondario, con rischio di contaminazione della catena alimentare. L’intervento rientrerebbe nei Piani ambientali e sarebbe perciò coerente con quanto previsto dal Governo, che però non vi sta provvedendo, né pare lo stia pretendendo dagli acquirenti. E’ un obbligo di legge, tant’è vero che già nel 2011 il Ministero dell’Ambiente intimò quest’operazione ai Riva, che allora gestivano lo stabilimento.
Quanti soldi servono per fermare la contaminazione delle acque che da sotto alla fabbrica arrivano al mare?
Tanti. L’osservanza di quest’obbligo non solo è necessaria per fermare la contaminazione di acqua e suolo, ma i suoi costi possono scoraggiare l’acquisto dell’Ilva. Non ottemperare significa consentire un lasciapassare ad inquinare ai compratori, sulla pelle dei tarantini.
Se l’Ilva viene salvata si manterranno i posti di lavoro?
Non è detto. Il rischio di esuberi c’è, sono stati già avviati alla cassa integrazione 5.000 lavoratori ed i nuovi acquirenti potrebbero ridurre ulteriormente gli occupati per ottimizzare produzione e profitti.
Come salvare allora l’occupazione?
Il Governo nel 2012 ha riconosciuto Taranto “area in situazione di crisi industriale complessa”. Con questa ammissione l’Italia ha il diritto di accedere ai Fondi Europei per la Globalizzazione (FEG). Questi soldi sono destinati proprio ad aiutare i lavoratori delle aziende sopra i 500 dipendenti in crisi. L’Italia però continua a non richiederli.
Cosa finanziano questi Fondi Europei?
Aiutano i lavoratori delle aziende in crisi a convertire la loro professionalità al fine di trovare nuovo impiego. Servono anche per accompagnare gli stessi dipendenti nella ricerca di nuova occupazione per due anni. Nel caso dei lavoratori Ilva e del suo indotto, si tratterebbe di farne delle maestranze specializzate nelle bonifiche.  In questo modo sarebbero gli stessi operai e impiegati Ilva a poter svolgere le bonifiche di Taranto, ma non solo, perché questa specializzazione può essere molto utile per trovare nuova occupazione nell’ambito delle economie verdi, sempre più in espansione.
Vale la pena chiedere le bonifiche se le fonti inquinanti sono ancora attive?
Le bonifiche a fonti inquinanti attive sono solo palliative e non risolutive, ma l’avvio della procedura per la loro effettuazione dà l’importantissima possibilità di accertare ufficialmente la fonte del danno e pretendere il suo risarcimento secondo il principio europeo, recepito anche dall’Italia, del “chi inquina, paga”. Se non si avvia questo iter i colpevoli potrebbero restare impuniti rispetto ai danni causati al territorio e le bonifiche inattuate. I custodi giudiziari di Ilva hanno accertato che per le bonifiche sarebbero necessari 2.000 operai in più rispetto agli attuali e per diversi anni.
E’ vero che non c’è alternativa occupazionale all’Ilva?
No. Salvare l’Ilva non significa salvare i posti di lavoro, con i nuovi acquirenti potrebbero esserci molti esuberi. Ma soprattutto, il sistema di interessi scoperto dalla Magistratura attorno all’Ilva, ha ampiamente dimostrato che la classe politica e dirigente del territorio non ha alcun interesse ad investire nelle alternative, poiché tenere la città sotto ricatto è per loro molto più redditizio. E’ vero dunque il contrario: non ci sono alternative A CAUSA DELL’ILVA. Per questo dobbiamo far sentire la nostra voce, nessuno lo farà per noi!
Per tutto questo, con GIUSTIZIA PER TARANTO, chiediamo di partecipare alle scelte che riguardano la città e pretendiamo che si investa da subito nella RICONVERSIONE di TARANTO e non in quella delle fabbriche inquinanti!  Contiamo nella massima partecipazione da parte della città per costruire un nuovo futuro per Taranto.

Uno studio segnala :L'inquinamento starebbe modificando i caratteri sessuali e la fertilità maschile


Tratto da blastingnews

L'inquinamento starebbe modificando i caratteri sessuali e la fertilità maschile 

Infertilità: uno studio segnala la tendenza
 alla mutazione genetica dell’uomo negli
 ultimi vent’anni.
Inquinamento ambientale: incidenza negativa sullo
 sviluppo ormonale dell'uomo
L’inquinamento starebbe incidendo negativamente sull’uomo, modificandone le caratteristiche ormonali e la conseguente infertilità. Lo avrebbe dimostrato un recente studio eseguito dall’Unità di Andrologia e Medicina della Riproduzione dell’Università di Padova.
Gli effetti negativi dell’inquinamento sulla salute 
dell’uomo
Le sostanze in grado di intervenire con la normale funzione ormonale dell’uomo, gli studiosi le hanno chiamate 
“interferenti endocrini” e sarebbero loro la causa degli 
effetti negativi capaci di interferire sul normale sviluppo 
e la crescita delle ultime generazioni. I prodotti inquinanti, 
come la plastica e la sua degradazione, espongono l’uomo e
 gli animali, attraverso l’alimentazione e le altre fonti di approvvigionamento come l’acqua, a sostanze che contengono,
 al loro interno, agenti chimici capaci di svolgere delle reazioni estrogeniche nel nostro organismo. Secondo gli esperti, la continua esposizione delle generazioni a questi agenti, 
starebbe aumentando, sensibilmente, l’insorgenza di diverse patologie andrologiche.

Infertilità e ambiente: dove risiede il pericolo per l’uomo
In molte specie animali, negli ultimi anni, è stato riscontrato 
un notevole incremento nelle anomalie del loro sistema riproduttivo. In particolare, gli interferenti endocrini 
sarebbero capaci di aumentare gli stati di ermafroditismo.
 Di questa strana tendenza sembrerebbe essere vittima anche l’uomo, attribuendo a questa ragione, la notevole riduzione
 della produzione di spermatozoi da parte dell’uomo negli 
ultimi venti anni. La ricerca, condotta di recente dagli studiosi dell’Università di Padova, avrebbe evidenziato, oltre alla riduzione degli spermatozoi, anche una modificazione della struttura corporea, sia in fase embrionale del feto che in quella adolescenziale nei ragazzi. La nuova tendenza fisica evidenzia una lunghezza degli arti maggiore rispetto al tronco e, in parallelo, una riduzione volumetrica degli organi riproduttivi.
Le variazioni individuate dallo studio sarebbero un campanello d’allarme, secondo gli studiosi, di quanto l’inquinamento possa incidere negativamente anche 
sulle caratteristiche antropometriche dell’uomo.

23 febbraio 2017

«Pochi fondi e troppo inquinamento».Il diritto è un’arma potente per ristabilire il legame tra la società umana e la Terra

Tratto da Il Corriere della sera

Gli Erin Brockovich dello smog
dall’Inghilterra contro la Lombardia

La denuncia al Tar della ong ClientEarth: «Pochi fondi e troppo inquinamento». La prima iniziativa legale è già partita: il 20 febbraio è stato notificato il ricorso al Tar sul Piano degli interventi per la qualità dell’aria. «Tanta ricchezza ma pochi investimenti»

(Ansa)
La loro vittoria in tribunale a Londra ha costretto il governo Cameron a introdurre un nuovo piano di contrasto all’inquinamento atmosferico. L’azione legale sostenuta a Dusseldorf, in Germania, ha portato alla prima storica sentenza sulla necessità di fermare la circolazione dei veicoli diesel in una città europea. Loro sono gli avvocati ambientalisti di ClientEarth, l’organizzazione britannica che sta mettendo sotto pressione nei palazzi di giustizia le amministrazioni di mezza Europa, dopo aver ispirato nel 2014 il pronunciamento fondamentale della Corte di giustizia Ue del Lussemburgo sul diritto all’aria pulita e alla salute dei cittadini dell’Unione. La ong appena sbarcata in Italia e sostenuta, tra gli altri, dalla band dei Coldplay, è stata fondata ed è tuttora guidata da James Thornton, 62 anni, l’avvocato-filosofo considerato «una delle dieci persone in grado di cambiare il mondo» dalla rivista New Statesman. La prima iniziativa legale è già partita: il 20 febbraio è stato notificato al governatore Roberto Maroni e all’assessore all’Ambiente Claudia Maria Terzi il ricorso al Tar della Lombardia con il quale ClientEarth, insieme alle associazioni italiane Cittadini per l’Aria e Aipi (Associazione ipertensione polmonare) chiede «con urgenza» alla Regione di rivedere il Pria, il Piano degli interventi per la qualità dell’aria approvato nel 2013 e rivelatosi «inadeguato» per una zona che resta tra le più «irrespirabili» in Europa.
«La Lombardia è un caso paradossale»
Spiega Ugo Taddei, legale ClientEarth di stanza a Bruxelles: «La Lombardia è un caso paradossale: una delle Regioni più ricche e tra quelle che meno investono. Dall’ultima relazione è emerso il taglio alle poche misure annunciate in un piano di quattro anni fa nel quale mancava un orizzonte temporale di rientro sotto i valori di legge». Basti pensare che qui il Pm10 è ancora record, mentre in tutta l’Europa occidentale è un problema quasi risolto. Il ricorso al Tar segue una diffida inoltrata alla Regione a fine 2016, l’ennesimo annus horribilis per gli sforamenti nelle polveri sottili a Milano e in molte altre città lombarde.

La causa «di interesse pubblico»
L’azione di ClientEarth e di Cittadini per l’Aria, dice Anna Gerometta avvocata in prima linea per l’associazione italiana, potrebbe non fermarsi al caso della Lombardia. La causa «di interesse pubblico» può infatti essere replicata, come fatto da ClientEarth in altri Paesi europei (Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Belgio, Regno Unito) in tutte le Regioni italiane che «non riconoscono il diritto alla salute, non sentono il dovere morale e giuridico di agire» e in definitiva sono «fuori legge» rispetto a una direttiva Ue che secondo gli esperti già largheggia sui limiti, essendo il frutto di parecchie mediazioni. 
Il nostro Paese è il secondo dell’Ue dopo la Germania per numero di morti premature attribuibili all’esposizione al particolato sottile (Pm2,5) e il primo per i danni alla salute provocato dal biossido d’azoto (rapporto 2016 dell’Agenzia europea dell’ambiente). Il modello Erin Brockovich, per citare la più celebre causa ambientale portata sul grande schermo da Julia Roberts, si sta rivelando efficace. Ha ricordato di recente Thornton, ricevendo un premio speciale dal Financial Times, che «il diritto è un’arma potente per ristabilire il legame tra la società umana e la Terra».

Climate Analytics :Ue, per salvare il clima chiudere 300 centrali a carbone entro il 2030

Tratto da La Repubblica

Ue, per salvare il clima chiudere 300 centrali a carbone entro il 2030           Ue, per salvare il clima chiudere 300 centrali a carbone entro il 2030

Secondo un rapporto dell'istituto Climate Analytics non sarà possibile rispettare l'aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi centigradi se l'Europa non avvierà da subito la chiusura di oltre 300 impianti

MILANO - Chiudere entro pochi anni tutte le centrali a carbone in Europa. prima che sia troppo tardi per la salvezza del clima e dell'ambiente. Per produrre energia, sia nelle centrali elettriche sia nei grandi impianti industriali, nell'Eurozona si consuma ancora troppo carbone. E se l'uso del più "sporco" dei combustibili fossili non verrà limitato al più presto, fino ad arrivare alla sua totale cancellazione dalla mappa energetica, non verranno raggiunti gli obiettivi concordati nella conferenza di Parigi per la salvaguardia del clima.

E' la conclusione cui è arrivato uno studio di Climate Analytics, un istituto no profit che si occupa di politiche sul cambiamento climatico, fondato a Berlino del 2009 per occuparsi di quello che viene definito il più grande dei problemi di questi anni: il peso dell'attività umana sulle condizioni del clima con tutto quello che ne deriva.

Per mantenere l'aumento delle temperature "ben al di sotto dei 2 gradi centigradi" e ancor di più sotto 1,5 gradi. l'Europa dovrà essere in grado di chiudere tutte le sue 300 e più centrali a carbone entro il 2030. Di più: almeno un quarto dovranno già andare in pensione entro il 2020, mentre un ulteriore 47% dovrà farlo entro il 2025.

La Germania e la Polonia hanno la maggior parte del lavoro da fare: insieme sono responsabili del 51% della capacità installata del 54% delle emissioni da carbone. Tra i grandi utilizzatori del carbone, insieme a Regno Unito, Repubblica Ceca e Spagna, c'è anche l'Italia, con il 5,7% della capacità installata e il 5,1% delle emissioni complessive.

Invece, se gli impianti esistenti dovessero rimanere in attività fino alla fine del loro ciclo di vita l'Europa sforebbe il livello massimo di emissioni per rimanere all'interno degli accordi di Parigi di circa l'85 per cento. "Il modo più economico per l'Ue di fare i tagli delle emissioni necessari per tener fede all'accordo di Parigi è quello di eliminare gradualmente il carbone dal settore elettrico, sostituendolo con fonti rinnovabili e misure di efficienza energetica", ha detto Paola Yanguas Parra, autrice del rapporto.....

Nei giorni scorsi una critica severa nei confronti delle politiche di Bruxelles sul carbone è arrivato anche da Greenpeace: la strategia energetica dell'Ue "non è in linea con gli impegni sul clima sottoscritti a dicembre 2015, durante la Cop21 di Parigi" e che l'Italia abbia "raggiunto in anticipo i propri obiettivi al 2020 sul tema delle rinnovabili, è vero solo su carta". A dirlo è il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia, Luca Iacoboni. "Per mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi, così come concordato a Parigi - ha spiegato ancora - l'Unione europea deve accelerare la transizione verso un futuro 100% rinnovabile e cancellare tutti i sussidi 
pubblici alle fonti fossili. 
Più di ogni altra cosa, l'Ue deve assicurare a tutti i suoi cittadini la possibilità di autoprodurre con fonti rinnovabili almeno parte dell'energia consumata, contribuendo così al necessario incremento dell'uso di fonti pulite".

22 febbraio 2017

Alessandro Marescotti Non solo Ilva, viaggio fra gli ecologisti eretici nell’Italia inquinata.

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Non solo Ilva, viaggio fra gli ecologisti eretici nell’Italia inquinata. Segnalate le vostre storie

Non solo Ilva, viaggio fra gli ecologisti eretici nell’Italia inquinata. Segnalate le vostre storie
Nel corso della mia attività con PeaceLink ho avuto modo di scoprire l’attività di molti attivisti ambientali e vorrei sfruttare questo spazio per parlare di alcune esperienze degne di essere raccontate. In Italia c’è una varietà di esperienze non ancora conosciute come invece meriterebbero. Esperienze che non rientrano sotto l’ombrello delle classiche associazioni ambientaliste. Sono esperienze eretiche e scomode, che coltivano strade originali e che soprattutto nascono dal basso. Mi sono preparato un primo elenco.
Chiunque voglia segnalare qualcosa di nuovo, può usare lo spazio dei commenti in questo blog per condividere e far sapere cosa bolle in pentola nella propria regione, nella propria città, sul proprio territorio.
Acciaierie
Trieste – Una delle prime cose che mi ha colpito occupandomi di Ilva è che ci sono tante situazioni simili e che sono sorti gruppi preparati che studiano i processi siderurgici inquinanti acquisendo competenze e andando in profondità. Uno per tutti è l’associazione NoSmog di Trieste, attiva nel quartiere di Servola dove fuma e produce la Ferriera. Gli abitanti di Servola “sono in uno stato di pre-malattia chiaramente causato da contaminazione ambientale”, ha osservato il prof. di Biochimica all’Università di Trieste Ranieri Urbani.
Cremona – Non meno preoccupante è la situazione di Cremona, dove la diossina è stata trovata nelle uova. Ma chi ha puntato il dito contro l’acciaieria di Arvedi ha ricevuto il severo rimprovero del direttore dell’Arpa di Cremona, Paolo Beati, il quale ha dichiarato: “Devo anche dire che mi infastidisce il fatto che escano sui giornali notizie allarmistiche infondate. Fare del terrorismo mediatico, specialmente in un momento come questo, di forte crisi, è un grave errore”. E ha aggiunto: “Stiamo parlando di una delle più grandi aziende del territorio, bisogna essere cauti… L’Arpa ha un rapporto di stima reciproca con l’azienda”. Parlare di inquinamento a Cremona non è facile. Beatrice Ruscio ha incontrato i cittadini per discutere dello stretto rapporto fra industrie, politica e inquinamento. In città, però, il mal di pancia verso l’acciaieria è forte anche se, per ora, il percorso di presa di coscienza avviato è ancora tutto in salita.
Piombino  – Anche qui parlare di acciaio e inquinamento è difficile. Mettere in discussione l’altoforno è stato sempre un’eresia e persino Legambiente ha partecipato alla mobilitazione per tenerlo in funzione. Ora l’altoforno è spento. Recentemente c’è stata una manifestazione per farlo ripartire: “Qui torneremo a produrre acciaio e non ci fermeremo finché tutti non saranno tornati al lavoro. La nostra gente lotterà fino alla fine”, ha dichiarato il sindaco Pd Massimo Giuliani. “Ci fermeremo solo quando l’acciaieria ripartirà“, ha gridato dal palco Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom. Eppure il profilo di mortalità osservato nella popolazione residente maschile di Piombino mostra un eccesso per le malattie dell’apparato respiratorio, digerente e genitourinario, si legge nello studio Sentieri.
Centrali a carbone
Liguria – Ho avuto il piacere di conoscere il gruppo di Uniti per la Salute di Savona. Nel marzo 2014 la Procura della Repubblica ha decretato il sequestro della centrale Tirreno Power di Vado Ligure nell’ambito di un’inchiesta per inquinamento che ha avuto come cardine un’impressionante perizia epidemiologica, molto simile a quella di Taranto per l’ampiezza dei danni da inquinamento emersi. Ben 400 vittime. “Senza la centrale di Vado tanti decessi non ci sarebbero stati”, dichiarò nel febbraio del 2014 il procuratore capo di Savona, Francantonio Granero.
Basilicata – Un campo molto interessante e difficile è quello dei conflitti ambientali in Basilicata dove sono nate esperienze innovative per contestare i danni prodotti dalle estrazioni di petrolioCova Contro è un’associazione molto attiva e concreta che ha fatto cose innovative promuovendo analisi di laboratorio, controlli sul campo e battendo il difficile percorso della “citizen science”. In questo contesto è nato l’esperimento di controllo ambientale dal basso di AnalizeBasilicata. La difficile lotta che si sta svolgendo lì in Basilicata ha al centro una questione semplice, vitale, ma spinosissima: l’accesso alle informazioni sugli alimenti per verificarne la contaminazione da inquinamento ambientale........
 Con il vostro aiuto potremo anche inserire nuove informazioni georeferenziate per l’atlante dei conflitti ambientaliAbbiamo appena cominciato un viaggio eretico nell’Italia inquinata, quella che viene relegata nella cronaca locale, quella declassata in serie B perché la salute non conquista la prima pagina e – chissà perché – non diventa notizia nazionale.
Cercherò di mettere la lente di ingrandimento sulla vostra storia.
Risultati immagini per lente di ingrandimento sulle ciminiere

21 febbraio 2017

I cambiamenti climatici, moltiplicatori di rischio, causeranno sempre più conflitti nei prossimi anni

  • Tratto da Rinnovabili.it

  • I cambiamenti climatici causeranno sempre più conflitti nei prossimi anni

  • Alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, politici e diplomatici di tutto il mondo lanciano l’allarme: il climate change è legato allo scoppio di conflitti armati e alla lotta per le risorse
I cambiamenti climatici causeranno sempre più conflitti nei prossimi anni

(Rinnovabili.it) – «I cambiamenti climatici sono un moltiplicatore di rischio che portano a subbugli sociali e verosimilmente anche a conflitti armati». Lo ha affermato Patricia Espinosa, segretaria della Convenzione quadro sul climate change delle Nazioni Unite (UNFCCC), durante la Conferenza internazionale sulla sicurezza che si è svolta nei giorni scorsi a Monaco.

Un meeting dove il riscaldamento globale e i suoi effetti hanno avuto un posto di rilievo, e non soltanto nei panel dedicati. D’altronde il legame tra cambiamenti climatici e i conflitti è un tema discusso già da tempo, e gli enormi flussi migratori che stanno caratterizzando questo inizio secolo hanno ormai reso la figura del migrante climatico una realtà conclamata.
Tempeste, siccità, inondazioni e ondate di calore estremo o freddo polare possono distruggere le ricchezze di intere aree geografiche, azzerando i raccolti, e costringendo le persone a sconfinare, aggravando antiche rivalità e scatenando una lotta per le risorse. Gli esperti concordano che questi fattori aggraveranno la situazione con la crescita delle emissioni,.....

I cambiamenti climatici causeranno sempre più conflitti nei prossimi anni

Il neo eletto segretario dell’Onu, Antonio Guterres, ha approfittato del palcoscenico di Monaco per ricordare che i cambiamenti climatici, insieme al terrorismo e alle epidemie, costituiscono una tendenza globale che bisogna affrontare. E ha aggiunto che lo strumento è già disponibile: l’Accordo di Parigi dà «un’opportunità unica per agire su questa minaccia».
Un punto di vista che richiama quello espresso al Forum Economico Mondiale di Davos non più tardi di un mese fa. Solo una guerra nucleare – sosteneva il Global Risk Report pubblicato durante il vertice – deve preoccupare l’economia mondiale più dei cambiamenti climatici e dei disastri ambientali. E tra le minacce globali più insidioseben quattro su cinque sono legate in modo diretto al clima.

La relazione tra clima e guerra torna anche negli interventi di politici di spicco. Una recente ricerca pubblicata su PNAS sosteneva che dagli anni ’80 a oggi, nei paesi con diverse minoranze etniche, il 23% dei conflitti armati è scoppiato in concomitanza con disastri ambientali. Su questa stessa linea sembra anche l’intervento di Angela Merkel: «Nuovi conflitti sono sorti a causa di guerre civili, della crescita della popolazione, dei cambiamenti climatici. E c’è una crescente interrelazione tra questi fattori».
Alcune aree finora risparmiate dai conflitti rischiano di scatenarne nel prossimo futuro. È il caso dell’Artico, ha ricordato il presidente finlandese Sauli Niinistö. Il Polo Nord presenta altissime temperature e una situazione catastrofica riguardo l’estensione dei ghiacci. Una combinazione di fattori che rischia di scatenare una corsa alle grandi risorse energetiche e minerarie, prima celate sotto la calotta.