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30 novembre 2016

Greenpeace: «Il pacchetto energia della Commissione europea potrebbe far fallire il passaggio alle rinnovabili per salvare il carbone»

Tratto da greenreport

Greenpeace: «Il pacchetto energia Ue potrebbe far fallire il passaggio alle rinnovabili per salvare il carbone»


Così è improbabile mantenere l'aumento di temperatura entro 1.5°C
A Greenpeace il pacchetto energia pubblicato oggi dalla Commissione europea non piace per nulla perché «minaccia di far fallire gli sforzi per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili, prolungando invece la nostra dipendenza dal carbone.
Tara Connolly, consulente politica di Greenpeace Ue sottolinea che «Per raggiungere gli obiettivi siglati a Parigi, l’Ue deve accelerare la crescita delle rinnovabili e permettere a tutti i cittadini di giocare un ruolo importante per un futuro pulito e rinnovabile. Ma questo pacchetto di misure non fa altro che tirare il freno. Distribuisce soldi alle centrali a carbone e dà alle compagnie energetiche più potere di controllo sul sistema energetico, limitando il ruolo dei consumatori come produttori di energia rinnovabile».
Secondo l’associazione ambientalista, «Le misure proposte dalla Commissione includono sussidi conosciuti come capacity payments, di cui beneficeranno carbone, gas e nucleare, con il pretesto di tenere le centrali pronte per essere accese. Al 2020 circa il 95 per cento delle centrali a carbone avrebbe i requisiti per ricevere questo sussidio, secondo la proposta della Commissione, che include un tetto massimo per la CO2 solo per le centrali a carbone di nuova costruzione».
Greenpeace evidenzia che «La Commissione ha anche proposto di far decadere una norma esistente che prevede che venga immessa in rete l’energia da fonti rinnovabili prima di quella da inquinanti centrali a carbone o nucleari. Questo porterà ad ancora più casi in cui gli impianti di rinnovabili verranno spenti, in particolare quando ci sarà eccesso di offerta, perché è più semplice ed economico spegnere l’energia del sole e del vento piuttosto che le centrali a carbone o nucleari, che sono estremamente poco flessibili. Queste misure avranno l’effetto di bloccare gli investimenti nel settore delle rinnovabili».
Nel pacchetto ci sarebbe anche qualcosa di positivo: «La proposta della Commissione promuove, allo stesso tempo, il ruolo dei cittadini e delle cooperative per produrre, consumare, accumulare e vendere la propria energia rinnovabile», ma greenpeace fa notare che «Propone anche di limitare la grandezza delle cooperative mettendo ai progetti una soglia massima di 18 megawatts all’anno di media».
La conclusione non è certo ottimistica: «Il pacchetto completo delle misure proposte dalla Commissione dovrebbe avere lo scopo di aiutare l’Ue a raggiungere i propri obiettivi al 2030 in termini di riduzione delle emissioni e incremento dell’efficienza energetica e della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili. Tuttavia, è davvero improbabile che questi provvedimenti mettano l’Ue in condizione di fornire il proprio contributo all’obiettivo di mantenere l’aumento di temperatura entro 1.5°C, come concordato lo scorso anno a Parigi».


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VITTORIA! LA CENTRALE A CARBONE DI SALINE JONICHE NON SI FARÀ

Tratto da greenme

VITTORIA! LA CENTRALE A CARBONE DI SALINE JONICHE NON SI FARÀ.


La centrale a carbone di Saline Joniche non s'ha da fare, né oggi, né mai. La SEI, il consorzio che voleva costruire una centrale a carbone a Saline Joniche, sui ruderi di un vecchio impianto chimico, ha ufficialmente rinunciato al suo scellerato e obsoleto progetto.
"Tramonta così, dopo 9 anni, l'ultima minaccia di nuovo carbone in Italia. E' una vittoria dei comitati locali, che in questi anni non si sono mai arresi; degli attivisti svizzeri, capaci di vincere un referendum per impedire a Repower, capofila del progetto, di portare il carbone sulla costa dei Gelsomini; e delle associazioni ambientaliste, che con più mezzi - e anche nei tribunali - hanno sfidato la SEI", commenta Greenpeace, a due mesi dalla azione delle sue squadre di climber, che a Ottobre avevano scalato la ciminiera dell’impianto per tracciare la scritta “STOP CARBONE”, lunga circa 70 metri, leggibile fino a due chilometri di distanza. 
E' durata 9 lunghi anni la lotta e la resistenza contro questo progetto pericoloso e, soprattutto, figlio di una ormai superata politica energetica fossile. In Europa il Belgio, le tre Repubbliche Baltiche e altri Paesi ancora hanno già chiuso tutte le centrali a carbone; il Portogallo lo farà entro il 2020; Regno Unito, Finlandia e Austria entro il 2025; i Paesi Bassi entro il 2030.
"Greenpeace chiede al governo, che ha già dichiarato più volte di voler abbandonare il carbone, di indicare una data precisa: oggi contribuisce per una quota modesta della produzione elettrica nazionale e potrà essere facilmente rimpiazzato, nei prossimi anni, dalle energie rinnovabili, il cui costo è in costante discesa e le cui tecnologie sono mature e affidabili", aggiunge l'associazione ambientalista.

La centrale a carbone di Saline Ioniche


Il progetto di una centrale a carbone a Saline Joniche risale al 2008, quando la S.E.I. S.p.A. - un consorzio che aveva come azionista principale l’elvetica Repower – chiese l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di una centrale termoelettrica di 1320 megawatt, convertendo gli spazi e le strutture in rovina dell’ex Liquichimica. Da allora i comitati e le associazioni locali, nonché Greenpeace, Legambiente e WWF, hanno condotto una battaglia legale, che ha avuto il suo culmine con una sentenza del Consiglio di Stato: ribaltando un pronunciamento del TAR del Lazio – si dava il via libera alla realizzazione della centrale, previa un'intesa forte tra lo Stato e la regione Calabria. Nel frattempo Repower è stata costretta da un referendum tenutosi nel Cantone dei Grigioni – con cui i cittadini hanno decretato che le società a partecipazione cantonale non possono investire nella costruzione di centrali a carbone – ad abbandonare il progetto. La S.E.I. risultava in liquidazione, ma il procedimento per l'autorizzazione era fino a oggi ancora pendente e si temeva che il progetto con le autorizzazioni potesse essere ceduto a un’altra società.

Per fortuna non è andata così. La centrale a carbone di Saline Ioniche non vedrà mai la luce.
carbone saline
"Hanno vinto i calabresi onesti. Ha vinto Davide contro Golia. Ha perso la "politica". ....... NO al CALBONE a Saline e ovunque. Grazie a tutti NOI", esultano i comitati locali.

29 novembre 2016

Clima,un cittadino nativo delle Ande trascina in tribunale RWE

lucianoTratto da La  Repubblica 

http://gualerzi.blogautore.repubblica.it/2016/11/25/clima-contadino-delle-ande-trascina-in-tribunale

Davide contro Golia. Fin troppo facile per la stampa tedesca raccontare così l'impresa compiuta da Saul Luciano Lliuya, un contadino peruviano capace di portare alla sbarra il colosso energetico della Rwe. Ieri si è aperto infatti davanti al tribunale di Essen il processo scaturito dalla denuncia di Lliuya nei confronti della multinazionale tedesca.

Lliuya è nativo di un piccolo centro delle Ande, Huaraz, adagiato in una vallata sovrastata da un grande ghiacciaio che il riscaldamento globale sta facendo sciogliere rapidamente, andando a riempire un laghetto, anch'esso a monte del villaggio. In base ai rilievi compiuti dai ricercatori dell'Università di Austin, in Texas, il volume in 40 anni è aumentato di 30 volte e la capacità del bacino di trattenere l'acqua è in via di esaurimento.

Senza interventi è inevitabile quindi che il lago finisca per tracimare, spazzando via Huaraz con tutti i suoi abitanti.  La causa intentata da Lliuya, con l'assistenza legale delle associazioni ambientali tedesche, punta ad ottenere da parte di Rwe un finanziamento di 17mila euro quale contriibuto alla realizzazione di un sistema di pompaggio in grado di tenere sotto controllo il livello del bacino idrico.

huaraz1Perché una denuncia proprio contro Rwe? "Perché l'azienda - spiega l'avvocato di parte civile Roda Verheyen - produce con le sue centrali lo 0,4% di tutte le emissioni di CO2 del Pianeta responsabili del riscaldamento globale ed è il più grande consumatore di lignite d'Europa", il tipo di carbone la cui combustione produce la percentuale massima di gas serra.

Ieri davanti alla corte di Essen, dove la Rwe ha la sua sede legale, si è svolta la prima udienza. Per il momento non ci sono previsioni sui possibili tempi necessari per arrivare a sentenza. Già il fatto che i giudici non abbiano giudicato immediatamente infondata la richiesta di Saul Luciano Lliuya appare però un successo che potrebbe portare ad un fiorire di iniziative simili contro i grandi produttori di CO2 su scala mondiale.

28 novembre 2016

L' inquinamento dell’aria va affrontato in modo strutturale

Inquinamento dell’aria: va affrontata in modo strutturale

467mila morti premature in Europa dovute all’inquinamento dell’aria: un dato terrificante diffuso dall’Agenzia Ambientale Europea che rilancia l’allarme sullo stato di salute delle persone che abitano le aree urbane. Ma combattere l’inquinamento dell’aria deve essere fatto in modo strutturale e la politica, finalmente e abbandonando scelte facili e populiste, deve assumersi questo compito come priorità nazionale e territoriale. Il problema dell’inquinamento dell’aria è infatti stato trascurato negli ultimi anni, correndo ai ripari con soluzioni estemporanee quando i limiti venivano superati ma senza applicarsi con assoluta dedizione a trovare soluzioni definitive e strutturali. 
Per il WWF, alla luce dei tremendi dati diffusi, è assolutamente necessario agire subito sulle cause e rivedere in senso restrittivo e preventivo i limiti di emissione a livello europeo e nazionale, nonché attuare politiche severe e di sistema a tutti i livelli. Cosa fondamentale è decidere di tutelare e di incrementare la ricchezza della natura nelle aree urbane, vere e proprie green infrastructures capaci di intercettare il particolato, di mitigare l’inquinamento e di proteggere le comunità dagli effetti del cambiamento climatico. Le città devono essere sempre più naturalizzate e devono essere sempre meno preda di strutture energivore e inquinanti. L’aspetto più sorprendente è il fatto che l’Italia si attesti su livelli di inquinamento alto, quasi sempre tra i Paesi peggiori insieme ai paesi dell’Europa orientale; addirittura, nel nostro Paese le morti premature attribuite al PM2,5 sono 66.630, la cifra più elevata in termini assoluti. 
“L’85% della popolazione urbana è esposta a livelli di particolato fine (PM 2,5) giudicati dannosi, possibile causa o aggravanti di malattie cardiovascolari, asma e cancro ai polmoni; tra gli altri inquinanti, diossido di azoto, benzopirene, biossido di zolfo, monossido di carbonio, metalli tossici e benzene. Gran parte della popolazione europea è esposta ai rischi, e altrettanto lo sono gli ecosistemi: l’impatto dell’inquinamento dell’aria influenza direttamente la vegetazione, nonché la qualità delle acque e del suolo, nonché dei servizi ecosistemici che sostengono e che sono fondamentali per il nostro benessere e la nostra salute. Occorre quindi affrontare con decisione le cause: traffico, centrali termoelettriche (in primis quelle a carbone), agricoltura, riscaldamento domestico, inceneritori”.

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Il Ministero chiede a E.On i danni per i veleni che scorrevano sotto la centrale di Fiume Santo,

Tratto da La nuova Sardegna

Il Ministero chiede i danni per i veleni

Presidenza del Consiglio e dicastero dell’Ambiente hanno presentato istanza di costituzione di parte civile contro i manager

SASSARI. La presidenza del Consiglio dei Ministri e il ministero dell’Ambiente chiedono i danni a E.On per i “veleni” che scorrevano sotto la centrale di Fiume Santo, inquinando per anni terra e mare. La richiesta è stata formalizzata ieri mattina dall’avvocato Francesco Caput che - per conto dell’Avvocatura dello Stato - ha presentato un’istanza di costituzione di parte civile davanti al giudice delle udienze preliminari del tribunale di Sassari Rita Serra.

La stessa istanza è stata presentata dal comune di Porto Torres, dal Wwf -Italia e dal comitato “Tuteliamo il Golfo dell’Asinara, rappresentati dagli avvocati...Continua qui

26 novembre 2016

Canada, in 15 anni" Via il carbone, Sì alle energie rinnovabili". Si comincia dagli edifici pubblici

Tratto da la voce .it
Canada, in 15 anni solo energie rinnovabili. Si comincia dagli edifici pubblici
Entro il 2025 tutti gli edifici del governo canadese saranno alimentati con energia pulita e nel 2030 sarà definitivo l'abbandono del carbone come fonte di alimentazione delle centrali
Via il carbone, sì alle energie rinnovabili: punta a questo obiettivo il Canada, che entro il 2025 si è impegnato a utilizzare, per tutti gli edifici governativi federali e gli edifici militari, solo energia prodotta da fonti rinnovabili. Un primo passo concreto che punta alla totale eliminazione del carbone come fonte di alimentazione delle centrali entro il 2030, coprendo il 90% del fabbisogno energetico solo con rinnovabili e riducendo del 40 per cento le emissioni di gas serra del paese. L’annuncio è stato dato dalla ministra canadese dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico Catherine McKenna.
Per tenere fede agli impegni il governo federale canadese ha pianificato la ristrutturazione degli edifici pubblici: l’investimento è di 2,1 miliardi di dollari. Inoltre il piano prevede anche la riduzione delle emissioni per quanto riguarda i veicoli sempre del governo: gli attuali saranno sostituiti con veicoli elettrici e ibridi e ci saranno stazioni di ricarica elettrica nelle vicinanze degli edifici governativi. Focus anche sul telelavoro per ridurre gli spostamenti dei dipendenti e inquinare meno.
Una strategia che non solo porterà a un abbassamento delle emissioni, ma che favorirà le aziende green canadesi e creerà posti di lavoro.

25 novembre 2016

Manovra, «spariti» i 50 milioni di euro per curare i bambini dell’Ilva

Manovra, «spariti» 50 milioni di euro per curare i bambini dell’Ilva

I fondi avrebbero dovuto finanziare strutture sanitarie per aiutare i piccoli pazienti colpiti dall’inquinamento provocato dall’acciaieria di Taranto. Secondo i dati un minore su quattro, a ridosso dello stabilimento, ha problemi respiratori

Spariti dalla manovra i fondi per curare i bambini dell’Ilva. Erano solo 50 milioni i soldi promessi dal governo per finanziare medici, infermieri, analisi cliniche e attrezzature sanitarie a Taranto destinate ad affrontare l’emergenza dovuta alle emissioni venefiche dell’acciaieria più grande d’Europa alimentata a carbone. Dagli ultimi dati epidemiologici la mortalità è in aumento. E un bambino su quattro dei quartieri Tamburi e Paolo VI, a ridosso dello stabilimento, viene ricoverati per patologie respiratorie. C’era la promessa del governo. Ma, improvvisamente, alle 4 del mattino di giovedì l’emendamento è’ scomparso. Furioso il presidente della commissione bilancio Francesco Boccia: «Senza alcuna spiegazione, per quella spesa che avevamo concordato di mettere tra le priorità non c’era più il via libera di Palazzo Chigi. Ne chiederò conto è non farò sconti a nessuno».
Le promesse e il giallo della norma sparita
Aveva suscitato entusiasmo il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, annunciando a Bari il 12 novembre, l’intenzione del governo di «aiutare Taranto» per concedere la deroga al blocco delle assunzioni e della spesa sanitaria. L’accordo con il governo era stato sancito dal presidente della commissione bilancio, Francesco Boccia, con il viceministro del l’economia Morandi e il sottosegretario Beretta. «Eravamo d’accordo che tra le spese più importanti, oltre al centro meteo di Bologna o alla coppa del mondo di sci, ci fosse questa. L’impegno era stato sbandierato, soprattutto dal sottosegretario Claudio De Vincenti, e poi dal ministro Lorenzin. Non c’è’ tarantino che non lo sapesse», tuona il pugliese Boccia. E racconta lo sconcerto del momento in cui ha scoperto che quell’emendamento non c’era più. Immediata la richiesta di chiarimenti alla task force del Mef, nella stanza accanto. «Avevo preparato io stesso l’emendamento. Non mi è stato detto perché non era stato inserito. L’unica risposta che ho avuto è che non era stato autorizzato da Palazzo Chigi». E, alludendo alla posizione critica del governatore della Puglia, Michele Emiliano, nei confronti della battaglia referendaria di Matteo Renzi, conclude: «Temo che qualcuno abbia confuso le vicende politiche con gli interessi di una comunità. Non si fa».
Il Pd in rivolta in Puglia
«È sconcertante la bocciatura dell’emendamento per affrontare le criticità dell’apparato sanitario di Taranto», dice Marco Lacarra, segretario regionale del Pd pugliese, ricordando che «si erano espressi a favore le comunità locali, consiglio regionale nella sua interezza, tutti i parlamentari della Puglia, il sottosegretario Vito De Filippo e soprattutto il ministro Lorenzin». Appena diffusa la notizia del no’ a quei fondi, necessari per evitare le penose trasferte sanitarie dei malati, il segretario del pd di Taranto, Costanzo Carrieri, ha dichiarato: «Sospendo le iniziative a sostegno del «Sì» al referendum. Riflettano hanno ancora tempo per cambiare idea nel passaggio al Senato».
L’iniziativa per l’Ilva pulita
Contro «l’inquinamento di Stato dell’Ilva» si è sempre battuto il governatore Michele Emiliano. Oggi a Roma alla Camera di Commercio ha convocato i massimi esperti internazionali di decarbonizzazione in un workshop per definire una road map per convertire lo stabilimento da carbone a gas, abbattendo così i principali fattori inquinanti. Un progetto presentato la settimana scorsa a Marrakech, nel corso della conferenza sul clima Cop21, che ha suscitato interesse e apprezzamento.

“SALUTE PUBBLICA” - Centrale a carbone di Cerano: chi decide se il rischio sanitario è accettabile?

 Centrale a carbone di Cerano: chi decide se il rischio sanitario è accettabile?

Martedì 22 novembre, in Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali del Senato sono stati auditi tre ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) sulla centrale a carbone Enel di Cerano.

La dott.ssa Mangia, ricercatrice dell’Istituto di scienza dell’atmosfera e il clima (ISAC) del CNR di Lecce, ha focalizzato l’intervento sulla ricerca condotta sulla centrale a carbone di Cerano (http://www.mdpi.com/1660-4601/12/7/7667/pdf). Ricerca che ha affrontato il problema del particolato secondario derivante dalle emissioni di gas precursori emessi dalla centrale termoelettrica. Lo studio ha evidenziato che l’area investita dal particolato secondario è molto più vasta di quella interessata dal primario, e che di conseguenza la popolazione esposta è molto più numerosa.
Attraverso un approccio di valutazione d’impatto sanitario, lo studio ha stimato che se si considera solo l’esposizione al particolato primario, sono 4 i decessi attribuibili alla centrale, ovvero i decessi che si stima si sarebbero potuti evitare annualmente se non vi fosse stata esposizione. Se la stima tiene conto anche del particolato secondario, allora il numero dei decessi attribuibili aumenta con una variabilità tra 7 e 44, a seconda dei diversi scenari che si possono assumere.
In conclusione, Mangia ha sottolineato la necessità che in presenza di grandi emissioni di gas che portano alla formazione di  particolato secondario, come è il caso delle centrali a carbone, il particolato secondario entri  nelle valutazioni di impatto ambientale e sanitario e che nel caso della centrale di Brindisi, ignorarne il ruolo conduce ad una sottostima notevole dell’impatto sanitario”.
A seguire è intervenuto il dott. Marco Cervino dell’ISAC di Bologna. Cervino ha evidenziato che i decessi all’anno attribuibili al particolato secondario sono solo una parte degli impatti stimabili, in quanto una valutazione di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) dovrebbe essere allargata a danni sanitari diversi dal decesso e a tutte le altre emissioni dell’impianto. Ha inoltre specificato che “nello studio i decessi annualmente attribuibili alla centrale si riferiscono a tutte le cause di decesso, non solo tumori”.
Ha sottolineato le differenze fra i metodi e i risultati dello studio e quelli del Risk Assessment (RA) compreso nella Valutazione di Danno Sanitario presentata da ARPA ed ARES Puglia e dall’ASL di Brindisi: quest’ultimo, non comprendendo il particolato secondario, non effettua la stima del danno attribuibile a questo inquinante. “La VIIAS segue un metodo e utilizza dati diversamente da quanto fa un RA, e conseguentemente ottiene risultati diversi. Gli effetti sanitari avversi ricavabili col metodo VIIAS, come i decessi attribuibili, possono essere (e in questo caso, sono) aggiuntivi a quelli determinati dal RA.” Lo studio potrebbe fornire un modo per valutare l’impatto sanitario (almeno per i decessi attribuibili) del particolato secondario. Questa indicazione dovrebbe essere colta dalle autorità competenti, per esempio quelle impegnate nella procedura di rinnovo della AIA.
A questo ultimo proposito Cervino ha rilevato che nelle procedure autorizzative delle nuove centrali termoelettriche di grandi dimensioni, anche alimentate a gas naturale, l’impatto ambientale del particolato secondario è stato preso in considerazione negli ultimi anni, avendo come esito limitazioni all’esercizio o diniego di autorizzazione all’esercizio delle centrali.
L’intervento del dott. Emilio Gianicolo, ricercatore dell’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Lecce, ha avuto come filo conduttore l’accettabilità dei rischi sanitari e i soggetti che devono essere titolati a definirla. Ha specificato che nello studio CNR i ricercatori non hanno assunto a-priori alcuna soglia di accettabilità e ciò per due motivi tra loro interconnessi.
L’individuazione di una tale soglia, non può essere delegata a tecnici, a cui riconoscendo uno statuto morale superiore, si concede il privilegio di discernere, per una data comunità esposta, tra un rischio accettabile ed uno inaccettabile. Ma che “questa soglia debba essere il frutto di un percorso consapevole della comunità medesima con la necessità che la popolazione esposta comprenda il livello di rischio. La comunicazione” ha aggiunto è, nel percorso di consapevolezza, un elemento imprescindibile. È di tutta evidenza che il comunicare una misura assoluta di rischio, come lo è il numero dei decessi attribuibili ad una fonte di inquinamento, renda la comunicazione scientifica più facilmente fruibile della comunicazione di una potenza 10-x”.
Il ricercatore ha completato l’intervento commentando come i limiti di legge attualmente in vigore “non sono in grado di salvaguardare adeguatamente la salute pubblica. Detti limiti sono, infatti, il frutto di compromessi tra esigenze di salute ed esigenze economiche, politiche e tecnologiche. Ha inoltre richiamato la necessità di attuare il principio di precauzione ossia chein caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di prevenzione. Infine, per quanto concerne la prevenzione e, dunque, la salvaguardia della salute pubblicaun’indicazione operativa deve presupporre come ipotesi di partenza che nessun decesso, attribuibile alle emissioni di una centrale a carbone, possa essere accettabile. Da qui si devono derivare i necessari interventi da compiere sugli impianti, poiché solo interventi efficaci e mirati sull’impiantistica e sulla bonifica ambientale possono eliminare ogni nocività e rischio per le persone.
Il video degli interventi è disponibile al seguente indirizzo http://webtv.senato.it/4621?video_evento=3142.
ASSOCIAZIONE “SALUTE PUBBLICA” – BRINDISI

23 novembre 2016

Sussidi alle fossili: ecco quanto paghiamo l’energia inquinante.L’Italia è tra i paesi del G7 quello con i maggiori sussidi alle fossili in rapporto al PIL.

Tratto da  Rinnovabili.it

Sussidi alle fossili: ecco quanto paghiamo l’energia inquinante

  • L’Italia è tra i paesi del G7 quello con i maggiori sussidi alle fossili in rapporto al PIL. Un bottino che tra aiuti diretti e indiretti, tocca quota 14,8 miliardi di euro l’anno
Sussidi alle fossili: ecco quanto paghiamo l'energia inquinante

(Rinnovabili.it) – Mentre l’Unione Europea si prepara fare lo sgambetto alle rinnovabili comunitarie (vedi le indiscrezioni sul Pacchetto Invernale), c’è chi in Italia ha messo sul piatto della bilancia la bolletta della controparte, ossia quanto il conto che a livello nazionale paghiamo per le fonti fossili. Parliamo di Legambiente che, in occasione della Cop22 di Marrakech, ha presentato il suo ultimo dossier Stop sussidi alle fonti fossili.

L’associazione ambientalista ha tracciato, in collaborazione con InfluenceMap, un quadro mondiale dei sostegni economici destinati all’energia inquinante, rivelando quanto il Belpaese sia affezionato ai combustibili tradizionali.
Gli aiuti a carbone, petrolio e gas sono uno degli elementi più dolenti delle politiche energetiche internazionali: alimentano la causa principale del cambiamenti climatico e frenano la decarbonizzazione, ma non incontrano nessun reale ostacolo sulla loro strada. I vari vertici mondiali dal G7 al G20, passando per le Conferenza delle Parti dell’Unfccc, non sono mai riusciti fin’ora a scrivere la parola fine sui sussidi alle fossili.

Sussidi alle fossili: ecco quanto paghiamo l'energia inquinante

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 la cifra per l’energia fossile è arrivata a 5.300 miliardi di dollari (10 milioni di dollari al minuto). Quasi quanto il 7% del PIL mondiale e più della spesa sanitaria totale di tutti i governi del mondo.
Ma il vero problema è che si tratta di una cifra in crescita, soprattutto in Europa. Nel Vecchio Continente la maggior sostenitrice delle fonti fossili è la Germania con 55,6 miliardi di dollari, seguita da Regno Unito con 41,2 miliardi, Francia (30,1 miliardi), Spagna (24,1 miliardi), Repubblica Ceca (17,5 miliardi) e Italia (13,2 miliardi).
Nonostante ciò l’Italia ha un altro primato: è tra i paesi del G7 quello con i maggiori sussidi alle  fossili in rapporto al PIL. Siamo allo 0,63% a fronte di una media europea dello 0,17% e molto oltre lo 0,20% degli Stati Uniti.

“Il nostro Paese – dice il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini – continua a comportarsi come se il problema dei sussidi alle fonti fossili semplicemente non esistesse, quando tutte le istituzioni internazionali hanno messo in evidenza come siano una barriera per lo sviluppo di un economia decarbonizzata. Anche la legge di Stabilità 2017 ignora l’argomento e prevede ancora sussidi diretti e indiretti alle fossili”.

L’associazione ha individuato in Italia 14,8 miliardi di euro l’anno di sussidi diretti o indiretti alle fonti tradizionali, al consumo o alla produzione, da esoneri dall’accisa a sconti e finanziamenti per opere, distribuiti tra autotrasportatori, centrali per fonti fossili e imprese energivore e aziende petrolifere. E si tratta di un computo parziale.

Oggi le energie pulite sono competitive da un punto di vista dei costi e cancellando questi sussidi potrebbero crescere anche senza incentivi. Né si comprende perché il nostro Paese debba continuare a dare miliardi di euro all’autotrasporto, come ai grandi consumatori, senza alcun vincolo di investimento in riduzione dei consumi di combustibili fossili”.

Rapporto Ue dell'Agenzia europea per l’ambiente. : “467mila morti l’anno in Europa per smog e inquinamento”

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Sono i dati di "Qualità dell’aria in Europa 2016", studio pubblicato dall'Agenzia europea per l’ambiente. "Ma quella nel Vecchio continente sta migliorando". Il Parlamento europeo in seduta plenaria ha votato per "imporre limiti più bassi ai principali inquinanti per abbassarne entro il 2030 la quantità nell'atmosfera sotto i livelli del 2005"
Risultati immagini per morti per inquinamento

In Europa 467mila morti l’anno per smog e inquinamento”. E’ quanto afferma il rapporto “Qualità dell’aria in Europa 2016″, pubblicato stamattina dall’Agenzia europea per l’ambiente(Eea). Nonostante la qualità dell’aria nel Vecchio continente stia migliorando, “l’inquinamento atmosferico resta il principale fattore ambientale di rischio per la salute delle persone”, abbassa la qualità della vita. Proprio su questi temi, oggi il Parlamento europeo in seduta plenaria ha votato per imporre limiti più bassi ai principali inquinanti per abbassarne entro il 2030 la quantità nell’atmosfera sotto i livelli del 2005″.  Le particelle incriminate vanno dal biossido di zolfo, causa delle piogge acide, al particolato che può causare malattie respiratorie e cardiovascolari
Lo studio presenta una panoramica aggiornata e un’analisi per il periodo 2000-2014 sulla base di dati provenienti da stazioni di monitoraggio dell’aria ufficiali, tra cui più di 400 città in tutta Europa. Tra gli altri risultati, risulta che nel 2014 circa l’85% della popolazione urbana nell’Unione europea sono stati esposti a particolato fine (PM2.5) a livelli ritenuti dannosi per la salute dallaOrganizzazione Mondiale della Sanità. “La riduzione delle emissioni ha portato a miglioramenti della qualità dell’aria in Europa, ma non abbastanza per evitare danni inaccettabili per la salute umana e l’ambiente”, ha detto Hans Bruyninckx, a capo dell’Agenzia europea per l’ambiente con sede a Copenhagen. Sono necessari – ha aggiunto – maggiori sforzi da parte delle autorità pubbliche e delle imprese, così come dei cittadini e ricercatori.
Il report definisce l’inquinamento da particolato come una miscela di minuscole particelle e goccioline liquide composte da diversi elementi tra cui acidi, metalli, particelle di suolo o polvere. Fonte principale è la combustione di carbone e biomassa da parte di industrie, centrali elettriche e famiglie. Altre fonti di inquinamento sono i trasporti, l’agricoltura e l’incenerimento dei rifiuti.
“E’ chiaro che i governi locali e regionali svolgono un ruolo centrale nella ricerca di soluzioni” al problema, ha commentato il commissario europeo all’ambiente Karmenu Vella, auspicando per oggi un voto positivo del Parlamento europeo sui Nuovi tetti alle emissioni inquinanti (Nec). Il commissario ha accennato alla necessità di “aiutare i diversi livelli di governo a lavorare meglio insieme” alludendo al fatto che a volte le istituzioni locali hanno strategie più ambiziose dei governi in tema di riduzione delle emissioni.

22 novembre 2016

Sottratta alle autonomie locali la possibilità di decidere sugli impianti inquinanti in caso di vittoria del Sì al referendum costituzionale

Tratto da Informazione indipendente

Discariche e inceneritori in ogni città basta un


Sottratta alle autonomie locali la possibilità di decidere sugli impianti inquinanti in caso di vittoria del Sì al referendum costituzionale. L’avvocato Roberto Lamma ci spiega come i cittadini sarebbero succubi delle decisioni romane e come le autonomie locali non avrebbero più discrezionalità per difendere i cittadini, Dove fare un inceneritore o un discarica sarebbe deciso dal governo centrale senza più interlocutori.

Intervista all'avvocato Roberto Lamma.
Di Daniele Ceccarini e Paola Settimini

21 novembre 2016

Gli effetti del cambiamento climatico:Le Isole Marshall stanno per scomparire Paola Kim Simonelli

Le Isole Marshall stanno per scomparire

Paola Kim Simonelli
20/11/2016
La minaccia più grande con cui queste isole devono confrontarsi é l'aumento della temperatura globale. Periodiche inondazioni stanno costringendo gli abitanti degli atolli a lasciare la propria casa e trasferirsi negli Stati uniti; la paura costante é la minaccia dell'estinzione di questi paradisi oceanici.
Il video del quotidiano on line britannico The Guardian, ci mostra la preoccupazione degli abitanti delle Isole Marshall.

"Vivere nel mio Paese sta diventando sempre più difficile, rischiamo di venire sommersi dalle acque"; cosi' Alson Kelen, il presidente del Consiglio Ong delle Isole Marshall, aveva espresso la sua preoccupazione alla COP21, lo scorso dicembre a Parigi. Gli effetti del cambiamento climatico che sta interessando l'intero globo, stanno gradualmente facendo scomparire le Isole Marshall, che vedono i loro raccolti distrutti dalle inondazioni causando la mancanza di alimenti.
Le Isole Marshall comprendono 29 atolli che giacciono ad una media di 2 metri sopra il livello del mare;cambiamenti climatici che stanno comportando lo scioglimento dei ghiacciai e, di conseguenza, l'innalzamento degli oceani, sono la minaccia più grande. Già nel 2014, oltre 1000 persone sono state evacuate dalla capitale della più grande isola (Majuro), per i danni causati dall'alta marea. Oggi un terzo della popolazione complessiva vive negli Stati Uniti per il problema delle inondazioni, e il tasso di disoccupazione é elevato.
"L'allarme deve rientrare entro e non oltre i prossimi dodici mesi", fa sapere il Governo. Alcuni per non lasciare subito la proprio casa, costruiscono muri provvisori per temporeggiare, ma tutti sanno che é solo questione di tempo; l'alta marea constringerà anche i più ostinati abitanti a lasciare le isole. Oggi una comunita di Marshallesi é presente nel comune di Springdale, in Arkansas; qui cercano di mantenere le loro tradizioni nonostante la loro vera casa sia lontana e in pericolo, sperando sempre di potervi un giorno fare ritorno

20 novembre 2016

"Bimbi versus Obama" contro fonti fossili, primo ok a causa :"stiamo domandando giustizia per la nostra generazione e per tutte quelle future".

Tratto da Ansa

"Bimbi versus Obama" contro fonti fossili, primo ok a causa

 © ANSA

Giudice riconosce diritto minori di Ong a ricorrere

Un gruppo di bambini e ragazzi di una Ong ambientalista Usa si è visto riconoscere da una Corte federale il diritto a fare causa al Governo di Washington per violazione dei diritti costituzionali alla vita e alla libertà, a causa dell'utilizzo delle fonti di energia fossili.

La causa è stata presentata nel settembre 2015 da 21 bambini e ragazzi dai 9 ai 20 anni, appartenenti all'Ong Our Children's Trust. I destinatari del ricorso sono il presidente Obama, l'industria energetica e varie agenzie federali. I giovanissimi ricorrenti contestano al governo e alle società energetiche di continuare a puntare sulle fonti fossili come carbone, petrolio e gas, che inquinano e generano gas serra, mettendo a rischio la vita e la salute dei cittadini e delle generazioni future.

Gli avvocati di questi si sono opposti per varie ragioni: alcuni negando che minori avessero diritto di fare causa allo Stato, altri sostenendo che il riscaldamento globale non è provocato dall'uomo.

Il giudice della Corte federale dell'Oregon, Ann Aiken, ha invece riconosciuto ai giovani ambientalisti il diritto di fare causa al Governo: "L'azione è di un genere differente rispetto al tipico caso ambientalista - ha scritto nella sua sentenza -. Essa sostiene che le azioni o non azioni dei convenuti, che violino o no qualsiasi specifico dovere di legge, abbiano così profondamente danneggiato il nostro pianeta da minacciare i diritti costituzionali fondamentali dei ricorrenti alla vita e alla libertà. Le Corti federali troppo spesso sono state caute ed eccessivamente deferenti nel campo delle norme ambientali, e il mondo ha sofferto per questo".

Il leader del gruppo di giovanissimi ricorrenti è un nativo americano, Xiuhtezcatl Martinez, che ha soli 16 anni è già direttore dell'ong ambientalista Earth Guardians, nonché cantante rap. "La mia generazione sta riscrivendo la storia - ha detto dopo la sentenza -. Noi stiamo facendo quello che così tanta gente ci aveva detto che non era in grado di fare: ritenere i nostri leader responsabili per le loro azioni disastrose e pericolose. Io e gli altri ricorrenti stiamo domandando giustizia per la nostra generazione e per tutte quelle future".

PROCESSI DI COMBUSTIONE E SALUTE UMANA CONVEGNO A PISTOIA sabato 3 dicembre

 CONVEGNO veramente importante eD interessante 

PROCESSI DI COMBUSTIONE E SALUTE UMANA  CONVEGNO A PISTOIA 

 SABATO 3 DICEMBRE 2016

Convegno nazionale dedicato a Lorenzo Tomatis
Convegno promosso da ODM – PT e  ISDE 
con patrocinio FnomCeo

18 novembre 2016

Greenreport :Il carbone fa diventare più poveri e provoca i cambiamenti climatici

Tratto da Greenreport

Il carbone fa diventare più poveri e provoca i cambiamenti climatici

L'industria del carbone dà lavoro a 7 milioni di persone nel mondo, le rinnovabili già a 9,4
[18 novembre 2016]
carbone-lacrima
Le centrali elettriche a carbone provocano più  danni che benefici ai poveri, anche senza prendere in considerazione  gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. E’ quanto emerge dal rapporto “Beyond Coal: Scaling up clean energy to fight poverty” presentato da the Overseas Development Institute (Odi), Cafod,  Christian Aid ad alter 9 organizzazioni alla 22esima conferenza delle parti dell’Unfccc che si conclude oggi a Marrakesh.
Eppure, fa notare il rapporto, nonostante gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi, il mondo potrebbe oltrepassare la soglia dei 2° C di riscaldamento se verranno costruite solo un terzo delle centrali a carbone previste. E se il mondo non ce la farà a centrare questo obiettivo, «I risultati sarebbero  disastroso per la lotta globale contro la povertà».
L’odi  evidenzia che «Attualmente  l’industria del carbone sostiene che sviluppare l’utilizzazione del carbone è fondamentale per la lotta contro la povertà estrema e per migliorare l’accesso all’energia per miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo. In realtà, è vero il contrario. L’impegno globale per sradicare la povertà estrema e la povertà energetica entro il 2030 non richiede una tale espansione ed è incompatibile con la stabilizzazione del clima della Terra. L’evidenza è chiara: una soluzione duratura per la povertà richiede che le economie più ricche del mondo rinunciano al carbone e non dobbiamo e possiamo porre fine alla povertà estrema, senza l’espansione precipitosa di nuova energia a carbone o a svilupparla».
Uno degli autori del rapporto, Ilmi Granoff, ha detto all’IPS che «il carbone consolida la povertà, contrariamente a quanto sostenuto dall’industria  del carbone che il combustibile fossile contribuisce alla crescita economica».
Granoff,  un ricercatore del Doi, riconosce che «La chiusura delle centrali a carbone ha causato difficoltà economiche localizzate», ma sottolinea che «La nostra ricerca ha scoperto che l’energia rinnovabile globale dà più intensità di posti di lavoro per unità. Le stime della  World Coal Association indicano che l’industria del carbone dà lavoro a 7 milioni di persone nel mondo, meno dei 9,4 milioni di persone già impiegate nella filiera delle energie rinnovabili. E’ importante riconoscere che c’è un impatto sul lavoro con la phase down del  carbone a livello mondiale, perché ci sono più luoghi specifici in cui le persone si affidano all’industria del carbone e di quelli necessari per avere una giusta transizione. Ma in termini di prospettive di futuro occupazionale, il settore delle energie rinnovabili a livello globale offre migliori opportunità: più posti di lavoro e posti di lavoro di migliore qualità».
Per il rapporto anche gli argomenti che il carbone può aiutare le persone più povere del mondo ad accedere all’energia, non hanno senso: l’energia rinnovabile può già soddisfare «le esigenze specifiche della lotta contro la povertà estrema e la povertà energetica – spiega ancora Granoff – Il carbone rafforza la povertà causando problemi di salute di asma ad attacchi di cuore. E’ stato stimato che una singola centrale da un gigawatt in Indonesia causi  26.000 morti premature nel corso della vita dell’impianto».
Granoff anche sottolineato l’importanza di riconoscere «l’impatto negativo a lungo termine che il carbone avrà – in particolare sulle persone più povere e i Paesi poveri – contribuendo al cambiamento climatico».
E gli impatti del cambiamento climatico sui Paesi in via di sviluppo e le persone più povere del mondo, sono stati al centro delle discussioni alla Cop22 Unfccc di Marrakech. I Paesi in via di sviluppo sostengono che i Paesi più ricchi hanno la responsabilità di limitare gli impatti del cambiamento climatico sui Paesi più poveri, che sono e saranno ancor di più sproporzionatamente colpiti da condizioni meteorologiche sempre più imprevedibili e gravi, pur avendo contribuito molto meno alle emissioni globali di C2.
«Questo è un motivo importante per cui i Paesi ricchi dovrebbero chiudere le centrali elettriche a carbone», ribadisce Granoff.
Ma se la graduale eliminazione del carbone è una tendenza generale in molti dei Paesi più ricchi, il carbone continua ad essere molto utilizzato in Paesi come l’Australia e gli Stati Uniti, dove il presidente eletto Donald Trump ha promesso in campagna elettorale che riaprirà le n miniere di carbone e avvierà politiche pro-centrali a carbone, sostenendo che “l’agenda ambientale radicale” del presidente Barack Obama sta eliminando posti di lavoro e danneggiando l’economia.
Mentre Trump si mette l’elmetto da minatore, molte delle centrali a carbone previste sono in Asia, in particolare nella Cina e nell’India affamate di energia e avvelenate dallo smog e flagellate dai cambiamenti climatici. Per questo i due giganti asiatici stanno rivedendo la loro dipendenza dal carbone come fonte di energia.
Granoff conclude: «La Cina è molto preoccupata sia dagli impatti del carbone, sia dal cambiamento climatico e dall’inquinamento atmosferico. Il governo cinese sta rivedendo la costruzione di alcune nuove centrali a carbone».