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28 aprile 2021

ISDE, Greenpeace e ReCommon a ENPAM: non si investa più nei combustibili fossili

 Tratto da ISDE

Sabato  24 Aprile assemblea nazionale dell’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici( ENPAM): non si investa più nei combustibili fossili

Sabato 24 aprile era in programma l’Assemblea nazionale dell’Ente:  investab hanno chiesto una scelta lungimirante e in linea con gli accordi di Parigi

Sabato  24 aprile, si  e’ svolta l’assemblea nazionale di ENPAM, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri italiani.

L’Associazione Medici per l’Ambiente, Greenpeace e ReCommon hanno scritto una lettera al presidente Alberto Oliveti e al Direttore generale Domenico Pimpinella affinché riconsiderino” interamente la struttura del “Portafoglio Strategico Italia“ chiedendo a Eurizon (gruppo Intesa Sanpaolo), gestore finanziario di fiducia di ENPAM, una riallocazione che porti al disinvestimento dai combustibili fossili, nello specifico dalle società carbonifere (secondo la Global Coal Exit List) e dell’Oil&Gas, per l’intera catena del valore, e sostenga le eccellenze italiane nelle energie rinnovabili.

Dal 2017 ENPAM, infatti, ha attivato il “Portafoglio Strategico Italia” con l’intento di sostenere, giustamente, il sistema Italia. Tale portafoglio oggi, assegna almeno 521 milioni di euro (con l’intenzione di portarlo a 1 miliardo di euro) all’industria dell’Oil&Gas. I verbali delle assemblee degli azionisti e numerosi dossier redatti da importanti organizzazioni non governative, nonché attori finanziari di primo piano hanno dimostrato come i piani industriali, anche quelli più recenti del 2021 e finanziati anche da ENPAM, non siano coerenti e in linea con gli accordi di Parigi e come anzi contribuiscano a rallentare pericolosamente la transizione energetica. Nodo cruciale e critico di tali piani industriali sta nella scelta del metano come combustibile di transizione senza che nemmeno si definiscano i tempi di tale transizione. Bruciare ancora metano, così come produrre idrogeno da metano (idrogeno “blu”), continua a liberare CO2 nell’atmosfera.

“Gli accordi della COP21 di Parigi hanno sancito come il blocco del riscaldamento globale passi attraverso una transizione energetica che, come raccomandato dall’ IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Changes), contempli l’abbandono di tutte le fonti fossilidichiarano il Presidente di ISDE, Roberto Romizi, il Direttore generale di Greenpeace, Giuseppe Onufrio, e il Direttore dei programmi di ReCommon, Antonio Tricarico –  I medici nel mondo sono stati più volte chiamati a esercitare un ruolo di advocacy nei confronti dei responsabili e decisori. Già nel 2015 la British Medical Association invitava i medici e le istituzioni mediche a ritirare i loro soldi dalle società di combustibili fossili e a investire nelle energie rinnovabili facendo del cambiamento climatico e della salute una questione centrale nella sanità, nell’opinione pubblica e nella politica.In Europa si è assistito a importanti iniziative da parte dei medici tedeschi, per esempio, che hanno chiesto ed ottenuto nel 2018 che alcuni fondi pensione di medici disinvestissero da quegli asset facenti capo ad aziende del carbone, altri hanno divulgato le loro iniziative di advocacy su Lancet Planetary Health.”

 

Per leggere la lettera inviata, clicca QUA

27 aprile 2021

Isde : le proposte per il piano nazionale di Ripresa e Resilienza........

 Tratto da Isde

Le proposte per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza promosse da un gruppo di esperti in ambiente e salute presentate al Sottosegretario Bruno Tabacci


Cambiamenti climatici, pandemie e Recovery: occorre un diverso modello di sviluppo compatibile con la salute e l’ambiente. L’Italia abbia il coraggio di fare scelte lungimiranti e a favore delle nuove generazioni. 

Dopo aver inviato una lettera al Presidente del Consiglio Prof. Draghi e ai Ministri competenti, il gruppo di docenti, ricercatori, scienziati e operatori impegnati nell’area tematica ambiente e salute ha deciso di approfondire alcuni degli argomenti di principale interesse del Piano nazionale grazie al quale sarà possibile ricevere le risorse economiche europee del Recovery Plan.

Le proposte sono state illustrate al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Onorevole Bruno Tabacci, durante un incontro on line e inviate a tutti i Ministri competenti e alle Commissioni parlamentari.

La delegazione che ha incontrato Tabacci ha avanzato al rappresentante del Governo alcune proposte concrete in merito alle prossime scelte politiche riguardanti la transizione ecologica, la salute, la formazione, la mobilità e l’agricoltura sostenibile.

“Il rilancio e la riorganizzazione della medicina territoriale è una priorità assoluta – hanno dichiarato i promotori del documento- ce lo sta insegnando la pandemia: nelle Regioni dove è forte e organizzata la medicina del territorio, si è reagito meglio alle difficoltà generate dal Covid-19. Il principale obiettivo del Piano deve essere quello della tutela delle matrici ambientali di supporto alla vita e della biodiversità, a cui tutto il piano deve inevitabilmente adeguarsi. Occorre dare priorità a progetti che portino a una reale, concreta e immediata de-carbonizzazione (riduzione delle emissioni di gas climalteranti almeno del 7.5% l’anno a partire dal 2021) e contestuale riduzione dell’inquinamento atmosferico, attraverso il ricorso alle fonti rinnovabili di energia, in particolare eoliche e solari, senza facilitare passaggi intermedi verso il consumo di metano o di biomasse.

“Il Sottosegretario si è dimostrato interessato alle nostre proposte – concludono i promotori del documento- consapevole che il PNRR rappresenta un’occasione irripetibile per delineare il tipo di società che si vuole lasciare alle prossime generazioni e per fissare alcune fasi salienti di questo percorso di riconversione ecologica delle attività umane. Siamo certi che si farà portavoce in tutte le sedi istituzionali delle proposte su ambiente e salute”. 

Per approfondire il documento e le schede tematiche:

Abstract

Documento completo

Pfas: caso Miteni, rinviati a giudizio 15 manager.

 Tratto da greenreport

Pfas: caso Miteni, rinviati a giudizio 15 manager. I No Pfas: grande vittoria

La difesa delle falde e della salute dei cittadini è elemento imprescindibile per liberare l’Italia dai veleni

[27 Aprile 2021]

Confermando l’impianto accusatorio, all’ultima udienza preliminare del procedimento sull’inquinamento da Pfas alla Miteni di Trissino il Giudice per dell’udienza preliminare, Roberto Venditti, ha rinviato a giudizio tutti i 15 imputati, fra ex manager e dirigenti dell’ormai fallita azienda, che sono accusati di avvelenamento di acque, disastro innominato aggravato, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta. Il processo coinvolgerà anche la Mitsubishi e il fondo finanziario ICIG come  responsabili.

L’udienza era stata preceduta e accompagnata dalla “Staffetta delle acque infrante”, partita il 25 aprile da Cologna Veneta (VR), dallo stabilimento della Miteni e da Creazzo, e che, con varie tappe e dopo 35 Km, è arrivata al Tribunale di Vicenza nel primo pomeriggio. Le Mamme no Pfas ed  esponenti delle associazioni, dei gruppi e dei movimenti, tra cui anche Legambiente e Greenpeace, hanno dato vita a un lungo sit-in conclusosi solamente in serata. Ieri mattina si sono dati nuovamente appuntamento all’esterno del tribunale, dove hanno atteso la decisione del giudice.

Tutto il Movimento No Pfas unito ha lanciato un messaggio forte alla magistratura vicentina: «Le nostre gterre sono state sfregiate, i nostri corpi e quelli dei nostri figli sono stati violati dall’inquinamento da pfas prodotto da Miteni: vogliamo giustizia!!!». Una richiesta per ora accolta dalla magistratura e le Mamma no Pfas esultano: «Parte il maxi processo con prima udienza l’1 luglio 2021 alle ore 9:30. Ora il processo può iniziare e noi continueremo a sostenere la procura»

In una nota congiunta, il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, il presidente di Legambiente Veneto Luigi Lazzaro e Piergiorgio Boscagin presidente del circolo di Legambiente “Perla Blu” di Cologna Veneta, hanno commentato: «Esprimiamo la nostra soddisfazione per questa prima grande vittoria riguardante l’inizio del procedimento giudiziario sul caso PFAS, che darà il via a uno dei più grandi processi per reati ambientali del nostro Paese. Un caso di inquinamento delle acque che Legambiente ha denunciato pubblicamente sin dal 2014 e per il quale l’associazione non smetterà di chiedere il disinquinamento delle falde e l’applicazione del principio chi inquina paga, in base a quanto previsto dalla legge 68/2015 sugli ecoreati. La difesa delle falde e della salute dei cittadini è un elemento imprescindibile per liberare l’Italia dai veleni, obiettivo che non può non stare al centro del Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo sta presentando in Parlamento prima dell’invio a Bruxelles».

«Esprimiamo soddisfazione – aggiungono da GreenItalia – per il lavoro della magistratura sulle terribili vicende legate all’inquinamento delle falde acquifere con Pfas che ha coinvolto vaste aree del Veneto. Chi inquina deve pagare, solo così si potrà liberare l’Italia dai veleni».

24 aprile 2021

Viva la Terra!! L’unica casa che abbiamo ......

 Tratto da  Il Cambiamento 

Viva la Terra!! L’unica casa che abbiamo al momento

Viva la Terra!! L’unica casa che abbiamo al momento

Il 22 aprile si è celebrata la giornata della Terra, una data simbolica per ricordarci, ogni anno, che di pianeta abitabile ne abbiamo solo uno al momento, anche se stiamo facendo di tutto per distruggerlo.

Un recente articolo pubblicato su BioScience - Istituto Americano di Scienze Biologiche  ci illustra molto bene la situazione e ci ricorda che il cambiamento climatico in atto contribuisce ad aumentare la frequenza e i costi di molteplici disastri naturali. Inoltre, i dati a nostra disposizione mostrano un aumento di tali costi pari a oltre l’80% ogni dieci anni.  Qui si riporta una sintesi con i principali risultati dell’articolo pubblicato, che evidenzia la posizione di oltre 11.000 firmatari (scienziati) i quali in modo inequivocabile confermano che il nostro pianeta sta affrontando una vera e propria emergenza climatica.

Nel 1979, gli scienziati di 50 nazioni diverse si incontrarono a Ginevra alla prima Conferenza mondiale sul Clima e concordarono che era urgente agire. Stesso scenario al summit di Rio de Janeiro nel 1992, con il Protocollo di Kyoto nel 1997 e con l’Accordo di Parigi nel 2005. Oggi, dopo oltre 40 anni, siamo ancora a lottare per convincere chi governa della necessità di agire concretamente al più presto. Ma ovviamente le condizioni di vita sul pianeta sono cambiate, in peggio, e le azioni da intraprendere dovranno essere sempre più drastiche. I dati e le analisi dell’IPCC (il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) sono inequivocabili: è necessario agire presto e concretamente!

Sono diversi gli esperti che ammoniscono sul fatto che le discussioni sul cambiamento climatico fanno riferimento solo alla temperatura della superficie terrestre a livello globale, una misura inadeguata per comprendere appieno l’impatto delle attività umane e i reali pericoli di un pianeta che si surriscalda.

Una cosa sola è incontrovertibile: la crisi climatica è strettamente connessa ai consumi eccessivi del nostro stile di vita. I paesi industrializzati sono responsabili per le emissioni storiche di gas serra e generalmente registrano le emissioni pro-capite più alte. ....

Le emissioni dei tre principali gas serra (CO2, CH4 e N2O) continuano ad aumentare, così come la temperatura della superficie terrestre. A livello globale, i ghiacci si stanno rapidamente assottigliando, sia al Polo Nord che al Polo Sud, oltre che in Groenlandia. La temperatura e l’acidità degli oceani, il livello dei mari, le aree bruciate e i costi associati ai relativi danni sono tutti indicatori in crescita.

L’IPCC non perde occasione per ricordare che il cambiamento climatico minaccia fortemente la vita, in tutte le sue forme. Anzi, in alcuni casi siamo già fuori tempo massimo, il che rende ancora più pressante la necessità di intervenire. Nonostante 40 anni di negoziazioni sul clima, a parte alcune rare eccezioni, abbiamo continuato come se niente fosse: quel business as usual che in pratica significa continuare a fare tutto quello che ci piace senza preoccuparci delle conseguenze. E adesso abbiamo iniziato a pagarne il conto. La crisi climatica è arrivata e sta accelerando più velocemente di quanto la maggior parte degli scienziati aveva previsto. Inoltre, risulta essere più severa di quanto ci si aspettasse, minacciando gli ecosistemi naturali e il destino dell’umanità. Di fatto, si accelererà quel processo che sta portando molte aree del pianeta a diventare inabitabili.

Per mettere in sicurezza il nostro futuro dobbiamo cambiare lo stile di vita. La crescita dell’economia e della popolazione sono tra i principali responsabili dell’aumento delle emissioni di CO2 ed è necessaria una drastica trasformazione delle politiche economiche e demografiche.  Si suggeriscono sei passi da intraprendere, che i governi, le imprese come tutta l’umanità, possono mettere in atto per diminuire gli effetti peggiori del cambiamento climatico.

Energia

E’ necessario massimizzare l’efficienza energetica e sostituire le fonti fossili con quelle rinnovabili a basso contenuto di carbonio. Dobbiamo lasciare le fonti fossili là dove sono, sottoterra, e darci da fare per sostenere i sistemi naturali: basterebbe non interferire, la natura sa cosa deve fare. I paesi più ricchi devono sostenere quelli più poveri a percorrere la strada verso un mondo senza combustibili fossili. Punto cruciale è l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili ed un uso efficace di politiche che portino ad una sempre maggiore diminuzione del loro uso.

Inquinanti

La riduzione delle emissioni di alcuni inquinanti come la fuliggine (black carbon) e gli idroflorocarburi (HFCs), insieme al metano, risulta prioritaria. Agendo subito si può ridurre il trend del riscaldamento   di oltre il 50% nelle prossime decadi, salvando milioni di vite e aumentando la resa agricola .....

In definitiva, mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici comporterà grandi trasformazioni, alcune già in atto, altre che necessariamente il genere umano dovrà più volontariamente perseguire. Ma siamo certi che lo farà, l’alternativa è troppo pericolosa. Leggi tutto sull’ articolo integrale

23 aprile 2021

No all’inchiesta pubblica sulla centrale a turbogas di Tirreno Power, il sindaco Isetta: “Decisione politica”

Tratto da IVG

No all’inchiesta pubblica sulla centrale a turbogas di Tirreno Power, il sindaco Isetta: “Decisione politica”



Dopo la decisione del Ministero sulla richiesta avanzata dal comune di Quiliano, dal WWF Italia e da Uniti per la Salute

Vado L./Quiliano. E’ stata respinta la richiesta di un’inchiesta pubblica in merito al progetto di realizzazione di una nuova unità a ciclo combinato nella centrale termoelettrica a Vado Ligure proposta da Tirreno Power. La decisione arriva dal Ministero della Transizione Ecologica che si è pronunciato sulle istanze presentate dal comune di Quiliano, dal WWF Italia e da Uniti per la Salute.

Ecco le motivazioni:
“Le modalità di svolgimento della consultazione dei soggetti pubblici e privati interessati sono adeguate ed esaustive per il caso specifico. Si rileva peraltro che tali modalità ampiamente sperimentate e familiari per i soggetti a vario titolo interessati abbiano efficacemente sortito il loro scopo tanto che sono già pervenute osservazioni poste all’attenzione della Commissione Tecnica di verifica dell’impatto ambientale per le attività istruttorie di competenza nonché disponibili per eventuali controdeduzioni da parte del proponente. Quanto sopra anche alla luce del fatto anche i soggetti richiedenti l’inchiesta pubblica hanno già espresso le loro osservazioni”.

“La contingente situazione di emergenza sanitaria consentirebbe lo svolgimento dell’inchiesta pubblica unicamente in modalità telematica equiparandola di fatto alla consultazione già svolta con le modalità previste, che, ha efficacemente assolto l’esigenza consultiva per il progetto in esame”.

“In conclusione, nel richiamare altresì i principi cardine dell’azione amministrativa di efficacia ed economicità procedimentale, dopo attenta ponderazione e valutazione di tutti gli elementi, considerato che lo svolgimento di un’inchiesta pubblica, allo stato
degli atti, nulla può aggiungere a vantaggio del procedimento e della partecipazione della collettività si ritiene di non dare corso alla richiesta formulata” conclude la nota ministeriale.

Il documento del Ministero della Transizione Ecologica ha scatenato le prime reazioni: “Come sindaco del Comune di Quiliano prendo atto con rammarico della decisione assunta del Ministero della Transizione Ecologica che ha ritenuto di non dare corso alla richiesta di svolgimento di un’inchiesta pubblica ai sensi dell’art 24-bis del D.Lgs 152/2006, in riferimento al ‘progetto di realizzazione di una nuova unità a ciclo combinato nella Centrale Termoelettrica Vado Ligure'” dichiara con durezza il sindaco Nicola Isetta. “Mi hanno molto sorpreso le motivazioni indicate. La proposta non è stata respinta per motivazioni formali, ma evidentemente su discutibili ragioni di merito – prosegue -. L’inchiesta pubblica avrebbe consentito di chiarire, attraverso una lettura delle diverse espressioni, la sostanza reale dei contenuti della proposta progettuale. Avrebbe consentito, soprattutto, di farlo in modo partecipato”.

“Ricordo che tra le motivazioni portate vi erano questioni rilevanti come: le analisi fatte dall’ISPRA sul danno ambientale subìto dal territorio, conseguente all’attività della centrale a carbone, i potenziali impatti ambientali del progetto, in relazione al contesto dei contributi emissivi di tutte le realtà produttive, i limiti del Piano Energetico Ambientale Regionale PEAR 2014-2020, non allineato né agli obiettivi delineati dalla prima Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017) né al Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2021-2030 (PNIEC)” continua il sindaco.

“Infine ricordo che il nuovo progetto si inserisce in una situazione complessa, dove gli interessi in campo hanno tutti rilevanza costituzionale e sostanziale, potenzialmente in conflitto tra loro: da un lato la tutela della salute e dell’ambiente e dall’altro dell’economia e del lavoro. L’inchiesta pubblica, avrebbe consentito di chiarire e superare le contraddizioni e di compiere una valutazione complessiva degli impatti ambientali, dal momento che, sinora, i diversi procedimenti si sono svolti in maniera indipendente fra loro. Avrebbe permesso di affrontare in modo, veloce, dialettico e diverso la situazione, una scelta che ricade e interessa in modo prospettico, per decenni, il territorio coinvolto e la sua popolazione”.


“Il Comune di Quiliano continuerà a svolgere in modo serio, determinato e collaborativo il proprio ruolo, insieme ai soggetti istituzioni coinvolti” conclude il primo cittadino quilianese, con riferimento alla battaglia in atto sul progetto e sullo stretto controllo ambientale .




22 aprile 2021

Digitalizzare il Paese salvaguardando la salute dei cittadini

 Tratto da greenreport

5G, Legambiente scrive a Draghi: no all’innalzamento dei limiti di esposizione

Digitalizzare il Paese salvaguardando la salute dei cittadini

[21 Aprile 2021]

Insieme a scienziati e ad altre associazioni, enti, comitati cittadini, Legambiente si è appellata al presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e al presidente della Camera dei deputati Roberto Fico illustrando in una lettera le ragioni dei sui timori e sottolinea che «La proposta di valutazione di innalzamento dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici proposta per il PNRR va respinta per motivi scientifici ed etici: ne è convinta Legambiente, preoccupata per la tutela della salute e dell’ambiente correlati al rischio emergente dell’inquinamento elettromagnetico, anche in relazione alle nuove tecnologie come il 5G per la telefonia mobile e all’Internet Of Things (IOT)».

La questione è stata illustrata in una conferenza stampa che ha visto intervenire Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, Fiorella Belpoggi, Istituto Ramazzini, Fausto Bersani, Federconsumatori (Rn) e ISDE Italia, Pietro Comba, Collegium Ramazzini, Livio Giuliani, dirigente di ricerca ex ISPELS, coordinati dalla responsabile Energia di Legambiente Katiuscia Eroe.

Nella lettera, Ciafani, scrive: «Non si comprende il parere favorevole alla valutazione di innalzamento dei limiti di esposizione all’inquinamento elettromagnetico in Italia per il PNRR Implementare nuovi tipi di radiofrequenze, come alcune di quelle utilizzate con il 5G, con un contemporaneo innalzamento dei limiti di protezione, non è necessario tecnicamente e quanto meno inopportuno, considerando i pericoli emersi da studi sperimentali ed epidemiologici sulle frequenze già in uso. Qualora tale proposta venisse accolta nella normativa nazionale, non potremmo che ravvisarvi motivate criticità sul piano sanitario».

Il 24 marzo la IX Commissione Permanente della Camera dei deputati ha, infatti, espresso parere favorevole sulla proposta di adeguamento dei limiti di immissione elettromagnetica a quelli proposti a livello europeo di 61 Volt/metro, che assumono come effetti avversi solo gli effetti termici, cioè il riscaldamento dei tessuti.

In Italia il limite massimo di esposizione al campo elettrico a radiofrequenza (CEMRF) è di 20 Volt/metro (40 V/m per le onde centimetriche) per esposizioni brevi od occasionali, mentre è di 6 Volt/metro il tetto di radiofrequenza (valore di attenzione) per il campo elettrico generato dalle radiofrequenze/microonde per esposizioni all’interno di edifici adibiti a permanenza non inferiore a quattro ore giornaliere (DM 381/ 98 e del DPCM8/7/2003).

Ciafani evidenzia che «Asserire che i limiti italiani sono inferiori solo di tre volte a quelli europei, quando lo sono di 100 volte in termini di densità di potenza, è riduttivo e fuorviante rispetto alla reale entità del cambiamento. L’Italia ha una normativa molto avanzata sotto il punto di vista della tutela della salute: sono gli altri paesi europei che devono allinearsi al nostro e non viceversa».

Secondo gli ambientalisti, «Il limite proposto di 61 Volt/metro non tiene conto delle numerose evidenze scientifiche in laboratorio che hanno ormai dimostrato la presenza di effetti biologici non termici anche molto gravi, fino a forme tumorali, anche in presenza di livelli di esposizione inferiori. Inoltre, va sottolineato che i livelli di riferimento di cui all’allegato III della Raccomandazione del Consiglio 1999/519/CE di 61 Volt/metro per gli effetti termici risultano 100 volte superiori a quelli italiani quando confrontati con i nostri valori di attenzione».

Legambiente e tutti i firmatari ritengono fondamentale: mantenere per i campi elettrici generati dalle radiofrequenze/microonde all’interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, il valore di protezione di 6 Volt/metro; riportare la misurazione del campo elettrico o della densità di potenza dell’onda elettromagnetica per i controlli dei Comuni e delle ARPA a medie sui 6 minuti invece che nelle 24 ore, come prevedeva la norma tecnica CEI 211-7, modificata dal decreto legge del Governo Monti n. 179/2012; mantenere e favorire lo strumento del regolamento Comunale come forma di pianificazione territoriale e tutela sanitaria, in particolare per categorie particolarmente vulnerabili; finanziare ricerche indipendenti, epidemiologiche e sperimentali, sulle onde centimetriche del 5G a 26 GHz (non ancora studiate in maniera adeguata,) finalizzate ad approfondire i possibili impatti sulla salute.

21 aprile 2021

Il gas naturale di origine fossile non è ‘il combustibile di transizione’ ma un nemico del clima

 Tratto da Il Fatto Quotidiano. 

Il gas non è ‘il combustibile di transizione’ ma un nemico del clima


di Emanuele Bompan

Sempre più spesso si sente parlare di come il gas naturale di origine fossile sia “un combustibile di transizione”. Un mantra ripetuto soprattutto dai grandi colossi del mondo oil&gas ma ripreso spesso da tanti politici e media. Nel recente rapporto di ConfindustriaSistema gas naturale — transizione e competitività, realizzato con Nomisma Energia, si ribadisce ancora una volta come il gas naturale “sia la fonte che sta contribuendo di più in questi anni al contenimento della crescita delle emissioni di gas a effetto serra”. È necessario però fare chiarezza, ribadendo due aspetti cruciali, ossia che il gas è comunque un combustibile fossile, e la “transizione” deve durare 1-2 decenni, massimo 3, non deve durare un secolo.

“Da un punto di vista delle emissioni il passaggio dal carbone al gas riduce indubbiamente le emissioni quando si produce elettricità. Non è facile dire quanto vale questo vantaggio perché l’estrazione e la distribuzione del gas naturale comporta emissioni fuggitive di metano, un potente gas serra – spiega Stefano Caserini, membro del comitato scientifico di Italian Climate Network – In ogni caso anche bruciando gas si produce CO2, quindi può essere usato solo in una fase temporanea come riduzione del danno: l’uscita dal gas deve essere già oggi pianificata, con tempi certi e congruenti con gli impegni sul clima già assunti dal nostro Paese”

. Dunque dal punto di vista emissivo il gas è meglio del carbone, ma rimane un combustibile fossile con un importante ruolo climalterante. Se prendiamo gli obiettivi a medio termine dell’Unione Europea, (-55% nel 2030) e a lungo termine, la neutralità climatica al 2050, appare evidente come sia urgente lavorare fin da subito per una strategia di dismissione del gas, graduale e realizzata insieme al settore. Continuare a spingere per la crescita delle centrali a gas e dello sfruttamento di quest’ultimo ad uso industriale e domestico può essere controproducente....

Nuove centrali a gas?

Dunque, appare evidente che investire in nuovi impianti a gas costituisce una direzione opposta ed ostinata alla transizione ecologica e alla decarbonizzazione. Attualmente ci sono piani per la costruzione di nuove centrali a gas in Italia per una capacità complessiva di 14 gigawatt, che potrebbero mettere a rischio gli obiettivi climatici del paese e comportare perdite fino a 11 miliardi di euro in investimenti e perdere l’occasione di ridurre i consumi domestici di energia elettrica. Queste le cifre preoccupanti che fornisce Carbon Tracker Initiative, un think tank finanziario indipendente.

Secondo Catharina Hillenbrand Von Der Neyen, Responsabile Power & Utilities presso Carbon Tracker “l’Italia commetterebbe un errore sostituendo le centrali a carbone con quelle a gas. Le tecnologie a zero emissioni possono assicurare l’affidabilità della rete a un costo più basso. Inoltre insistere sul gas mette in dubbio la leadership dell’Italia nella lotta al cambiamento climatico mentre si prepara a co-ospitare il vertice sul clima COP26 che si terrà quest’anno”.

dati sono ribaditi anche da un altro documento, il report Foot Off the Gas sempre di Carbon Traker che prende in esame gli impegni climatici internazionali e la loro attuazione tramite le relative politiche. Esiste infatti una possibilità concreta di un aumento delle emissioni eccessivo rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione se il gas permanesse troppo a lungo nel mix energetico, invece che iniziare una transizione intelligente del settore. Dunque conclude il report “se il mondo vuole restare sotto la soglia di +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali deve eliminare il gas naturale contemporaneamente al carbone”.

Chi propone impianti a gas sostiene che servono per poter garantire stabilità ad una rete elettrica con grandi quote di energia rinnovabile, la cui produzione è fortemente variabile. “Gli impianti a gas necessari per la transizione devono essere valutati con attenzione, spiegando in modo rigoroso la loro necessità e la loro convenienza strategica rispetto ad alte alternative tecnologiche esistenti per gestire la variabilità della domanda di elettricità”, conclude Caserini.

Infine, è necessario tener conto che anche la finanza sta iniziando a spingere contro il gas. Difficilmente chi investirà in gas potrà avere in futuro buoni rating Esg. E se lo dice la borsa globale forse vale la pena di ascoltare.

19 aprile 2021

MARCO GRONDACCI : Centrale a gas a Spezia la Commissione VIA chiede integrazioni sulle alternative al gas....

 Tratto da Note di Grondacci 

Centrale a gas a Spezia la Commissione VIA chiede integrazioni sulle alternative al gas! 

Con atto 18 marzo 2021 (QUI) del Dirigente della Direzione Generale per la Crescita Sostenibile e la Qualità dello Sviluppo del Ministero della Transizione Ecologica sono stati richiesti ad Enel SpA chiarimenti, e integrazioni inerenti la documentazione presentata nell’ambito del procedimento di Valutazione di Impatto sul progetto di centrale a gas in sostituzione della attuale centrale a carbone spezzina.  

L’atto del Dirigente fa seguito alla nota del 10 Marzo 2021(QUI) della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS con la quale le suddette integrazioni e relativi chiarimenti sono state/i esplicitati.

A questa richiesta Enel dovrà rispondere entro 30 giorni dalla data del 18 marzo 2021 (quindi entro il 15 aprile ), qui c’è un primo elemento di confusione perché la norma sul punto parla di 20 giorni di tempo (comma 4 articolo 24 del DLgs 152/2006 - [NOTA 1]) mentre l’atto ministeriale ha dato 30 giorni.  Comunque Enel per legge, vedi il già citato comma 4 articolo 24,  può chiedere una sospensione di detto termine di 60 giorni. 

Ma quello che appare interessante non sono tanto questi aspetti formali pur rilevanti in un procedimento ma quello che concretamente la Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale VIA e VAS ha chiesto ad Enelsoprattutto sulla possibilità di valutare le alternative al progetto di centrale a gas presentato da Enel SpA.

LE ALTERNATIVE

Lo Studio di Impatto Ambientale di Enel sul progetto di centrale a gas si limita ad analizzare, peraltro genericamente:

1. l’alternativa zero cioè far restare la centrale a carbone attuale

2. l’alternativa tecnologica: dove non si mettono a confronto tecnologie di generazione elettrica alternative alle fonti fossili ma solo l’affermazione che per la stabilità del sistema elettrico è necessaria comunque una centrale a fonti fossili come appunto quella a gas. 


Possiamo quindi sostenere che il SIA non ricostruisce compiutamente prima di tutto il quadro normativo e delle politiche in atto in materia , questo incide sulle stesse alternative individuate in quanto non sono svolti due dei passaggi fondamentali nei procedimenti di VIA: 

1. definire le esigenze dello stato attuale, 

2. determinazione dei bisogni determinati dalle deficienze del sistema elettrico nazionale.  Infatti  lo stato attuale (normativo, delle politiche) non prevede una predeterminazione dei siti ne tantomeno di tecnologie se non attraverso un confronto tra tecnologie di produzione energetiche diverse e con Regioni e Comunità Locali come ho ampiamenti spiegato QUI.

Le richieste di integrazione della Commissione  VIA VASconfermano questa grave lacuna del SIA di Enel relativamente alle alternative da valutare rispetto al progetto di centrale a gas.

In particolare, relativamente alla analisi delle alternative, afferma al punto 1 la nota della Commissione VIA VAS:

si ritiene necessario vengano esaminate quelle alternative che prevedano una produzione anche parziale basata sulle fonti rinnovabili o una più contenuta taglia dell’impianto GT al fine di:

a) contenere le emissioni di ammoniaca in fase 2, inquinante che determina un incremento di particolato fine secondario che, seppur modesto, risulta incompatibile con le criticità ambientali dell’area di interesse e comunque non compensato dalla riduzione complessiva di PTS che incide principalmente sulla componente primaria; 

b) rendere la proposta più coerente con gli obiettivi di transizione energetica e con le più probabili richieste del mercato, considerata anche la produzione di energia della centrale negli ultimi anni; 

c) ridurre l’impatto assoluto su tutti i comparti ambientali in considerazione della reale attività del sito che, negli ultimi anni, risulta molto ridimensionata rispetto alla produzione autorizzata. Ciò renderebbe più realistico il confronto tra gli scenari proposti nel SIA che al momento si palesa teorico; 

d) ridimensionare l’incremento netto degli impatti che deriva dal confronto con lo scenario 2025 in cui le comunità territoriali si sono già proiettate in termini di benefici ambientali rivenienti dalla chiusura della centrale.” 

 

Particolarmente significative sono le prime due richieste (lettere a) e b) ) perché dimostrano due cose:

1. il progetto di centrale a gas resta un impianto pericoloso per la salute degli spezzini vista la particolarità situazione ambientale dell’area interessata 

2. la centrale a carbone non è più strategica per le esigenze del sistema elettrico nazionale come una volta quindi questo rende possibile ragionare su altre ipotesi di generazione elettrica non legate alle fonti fossili  anche in chiave post 2025 (vedi sopra la lettera d) quando si dovrà o si dovrebbe passare alla generazione elettrica solo da fonti rinnovabili. 

Infine altrettanto significativa è la richiesta al punto 2 della nota della Commissione VIA VAS  quella di mettere a confronto a seconda del combustibile utilizzato la evoluzione delle emissioni di CO2 fino al 2030. Questo, affermano le richieste della Commissione, andrà fatto per tutti gli scenari considerati quindi anche quelli che non prevedono la mega centrale a gas prevista dal progetto Enel, il tutto rapportato ai nuovi obiettivi della UE sulla transizione energetica a neutralità climatica.

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16 aprile 2021

Progetto di realizzazione di una nuova unità a ciclo combinato nella centrale termoelettrica di Vado Ligure - Documentazione

 Tratto da Minambiente 

Progetto di realizzazione di una nuova unità a ciclo combinato nella centrale termoelettrica di Vado Ligure .


Documentazione

(n.22) Documenti procedura di Valutazione Impatto Ambientale

Ecco il link per la lettura :Documentazione - Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali - VAS - VIA - AIA 

Ecco tutte le osservazioni pubblicate.
T


È stato sicuramente un grande impegno per tante Associazioni nazionali e locali ,per i Comitati, per gli Avvocati, i Tecnici , i Medici ed anche i liberi Cittadini  che hanno realmente a cuore la tutela della nostra salute, del nostro territorio e del nostro ambiente . GRAZIE A TUTTI

15 aprile 2021

Sei ragioni per cui vivere in un ambiente sano dovrebbe essere un diritto umano

 Tratto da unric.org

UNEP: Sei ragioni per cui vivere in un ambiente sano dovrebbe essere un diritto umano

Almeno 155 Stati nel mondo riconoscono ai loro cittadini il diritto di vivere in un ambiente sano, attraverso la legislazione nazionale o accordi internazionali, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nonostante queste protezioni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 23% di tutte le morti siano legate a “rischi ambientali” come l’inquinamento dell’aria, la contaminazione dell’acqua e l’esposizione ad agenti chimici.

Statistiche come questa sono il motivo per cui il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha recentemente approvato una risoluzione che riafferma l’obbligo per gli Stati membri di garantire i diritti umani, anche adottando azioni più forti per risolvere le sfide ambientali.

Qui di seguito troverete 6 motivi per cui è importante vivere in un ambiente sano:

1. La distruzione degli spazi selvaggi facilita l’emergere di malattie zoonotiche 

La distruzione degli ambienti naturali per creare spazio per case, fattorie e industrie ha messo gli esseri umani in crescente contatto con la fauna selvatica e ha creato opportunità per gli agenti patogeni di contaminare non più soltanto gli animali selvatici ma anche le persone. Si stima infatti che il 60% delle infezioni umane siano di origine animale e che ci siano molti altri virus pronti a fare il “salto di specie” dagli animali all’uomo.

2. L’inquinamento atmosferico riduce la qualità della salute e abbassa l’aspettativa di vita

In tutto il mondo, 9 persone su 10 respirano aria sporca, danneggiando la loro salute e accorciando la durata della loro vita. Ogni anno, circa 7 milioni di persone muoiono per malattie e infezioni legate all’inquinamento atmosferico, un valore cinque volte più alto del numero di persone che muoiono in incidenti stradali. 

L’esposizione agli agenti inquinanti può avere effetti anche sul cervello, causando ritardi nello sviluppo, problemi comportamentali e persino un QI più basso nei bambini. Nelle persone anziane, l’inquinamento dell’aria è associato all’insorgenza di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson.

3. La perdita di biodiversità compromette il valore nutrizionale del cibo

Solo negli ultimi 50 anni, le diete umane sono diventate più simili del 37%, con solo 12 colture e cinque specie animali che forniscono il 75% dell’apporto energetico mondiale. Oggi, gran parte della popolazione mondiale è colpita da malattie legate alla dieta, come malattie cardiache, diabete e cancro.

4. La perdita di biodiversità riduce anche la portata e l’efficacia delle medicine

Le stime suggeriscono che 15.000 specie di piante medicinali siano a rischio di estinzione e che la Terra perda almeno un potenziale farmaco importante ogni due anni.

5. L’inquinamento minaccia miliardi di persone in tutto il mondo

Molti problemi di salute derivano dall’inquinamento e dall’idea che i rifiuti possano essere gettati via ed eliminati, quando in realtà molti di essi rimangono negli ecosistemi, con pesanti conseguenze sia sull’ambiente che sulla salute dell’uomo. 

L’acqua contaminata da rifiuti, liquami non trattati, deflussi agricoli e scarichi industriali pongono circa 1,8 miliardi di persone a rischio di contrarre colera, dissenteria, tifo e poliomielite. Il metilmercurio – una sostanza che si trova nei prodotti di uso quotidiano che contaminano il pesce – può avere effetti tossici sul sistema nervoso, digestivo e immunitario quando viene consumato dagli esseri umani. Un corpo crescente di prove suggerisce che c’è motivo di preoccupazione per l’impatto delle microplastiche sulla vita marina e sulla rete alimentare. 

Inoltre, ogni anno, 25 milioni di persone soffrono di avvelenamento acuto da pesticidi: ad esempio, il glifosato – l’erbicida più usato al mondo – è associato al linfoma non-Hodgkin e ad altri tumori.

6. Il cambiamento climatico introduce ulteriori rischi per la salute e la sicurezza

L’ultimo decennio è stato il più caldo nella storia dell’uomo e stiamo già assistendo agli impatti del cambiamento climatico con incendi, inondazioni e uragani che diventano eventi regolari e minacciano vite, mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare. Il cambiamento climatico minaccia anche la sopravvivenza dei microbi, facilitando la diffusione dei virus e l’insorgenza di pandemie.