Tratto da Recommon
Perché la lotta di Vado Ligure ci riguarda tutti
Ci stiamo legando mani e piedi al gas per decenni senza che ci sia un bisogno reale per il Paese. Sono sempre di più le voci fuori dal coro che, dati alla mano, dimostrano come in Italia la realizzazione delle infrastrutture per il gas vada soprattutto a vantaggio dei grandi player del settore, con Snam in primissima fila.
Recentemente l’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa, in un incontro dal titolo “La strategia Energetica Italiana: i casi di Vado e Piombino”, ha sottolineato come il nostro Paese abbia passato la fase più dura dell’emergenza energetica e adesso potrebbe arrivare con i nuovi progetti a gestire circa 140 miliardi di metri cubi di gas. Il tutto a fronte però di un consumo annuo che si aggira fra i 68 e i 70 miliardi di metri cubi, di fatto solo la metà. Un dato che deve far riflettere. D’altronde anche una recente analisi del think tank ECCO evidenzia che la domanda di gas italiano, ma anche europeo, sia destinata a ridursi nel medio e lungo termine.
Noi di ReCommon abbiamo allegato il rapporto di ECCO alle nostre osservazioni formali sullo spostamento del rigassificatore da Piombino a Vado che si vorrebbe realizzare nel 2026. Nel nostro documento, inoltre, ribadiamo un interrogativo nodale: dov’è finita la strategia di uscita dalle fossili dell’Italia?.
C’è un ulteriore punto, intrinsecamente collegato con quello appena citato, su cui siamo profondamente critici: l’abuso del concetto di “emergenza”. L’italianissimo continuo ricorso proprio a provvedimenti emergenziali ha sostenuto decisioni di investimento di risorse pubbliche in grandi infrastrutture energetiche che comportano un impatto non di breve, ma di fin troppo lungo termine. Il caso del rigassificatore di Piombino, occorre ribadirlo, è quanto mai esemplificativo. La nave Golar Tundra doveva essere utilizzata per un periodo di 3 anni, proprio per fare fronte nel breve termine all’esigenza di aumentare le importazioni di gas da fonti diverse dalla Russia. La richiesta da parte di Snam di un permesso di funzionamento per ulteriori 22 anni, con spostamento all’area di mare compresa tra Vado Ligure e Savona (a una distanza estremamente ridotta dai centri abitati, pari a 4 chilometri nel caso di Vado Ligure e 2,9 chilometri nel caso di Savona) non può rispondere a una logica emergenziale. Al contrario si tratta di un investimento di lungo termine, che porta Snam e il governo italiano a incentivare l’utilizzo di gas fossile fino al 2048, solo due anni prima della scadenza limite del 2050 in cui l’Italia dovrà raggiungere l’obiettivo del “Net Zero Emissions”. Come già accennato, per buona pace della strategia per l’uscita dalle fossili.
Eppure gli eventi climatici estremi sono diventati la regola e non serve di certo a migliorare la situazione investire nel gas. Fonte fossile che inoltre presenta una variabilità folle dei prezzi, che lo renderanno presto inaccessibile. Lo dice lo stesso amministratore delegato di Snam Stefano Venier in una recente intervista: “La contrazione della domanda, la crescita marginale dell’offerta e la rimozione degli ostacoli infrastrutturali hanno contribuito a creare un fragile equilibrio instabile nel mercato del gas”. Perché insistere con questi progetti costosi e impattanti ma di breve termine, quando si potrebbe pianificare subito una giusta transizione fuori dalle fossili? Quello che vediamo è la mancanza di coraggio della politica nell’opporsi all’agenda di un colosso della distribuzione come Snam che ha evidenti interessi nell’import-export di gas. I cittadini del golfo di Savona e quelli di Piombino non stanno solo portando avanti delle lotte relative al loro territorio, ma stanno difendendo il “cortile” di tutti e il nostro diritto di guardare a un futuro senza combustibili fossili.