Tratto da Askanews
Inquinamento ambientale e salute, l’interazione è ormai globale
Roma, 30 ago. (askanews) – Negli ultimi decenni sono stati pubblicati numerosi studi che dimostrano la strettissima correlazione tra salute e ambiente ed e’ quindi di fondamentale importanza concepire l’ambiente come un fattore determinante per la salute di tutti.
L’inquinamento e’ ormai un fenomeno ubiquitario e capillare e l’esposizione ad agenti biologici (quali gli alimenti transgenici e i virus), fisici (come le radiazioni ionizzanti e non-ionizzanti), e chimici (metalli pesanti, pesticidi, diossina, ecc.) che persistono nell’ambiente, si bio-accumulano negli esseri umani e causano alterazioni dell’espressione genica, riguarda l’intera popolazione umana, le generazioni future e l’intera eco-biosfera.
L’OMS ha recentemente stimato che 1/4 delle malattie e delle morti dovrebbe essere oggi attribuito a fattori ambientali modificabili, e quindi prevenibili. Esiste la diffusa, ma vaga, consapevolezza che tra i determinanti di salute vi siano cause ambientali come l’accumulo di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua, nei suoli, nei cibi, cosi’ come c’e’ la consapevolezza di nuove insidie, come la diffusione invasiva e pervasiva dei campi elettromagnetici; ma non e’ sufficiente.
Le ricadute sulla salute sono sempre piu’ evidenti e sono testimoniate dalla transizione epidemiologica che fa registrare un aumento delle malattie cronico-degenerative e produce l’aumento dei costi biologici e sanitari, mettendo a rischio la sostenibilita’ del sistema sanitario stesso. In questo contesto i medici possono esercitare un ruolo attivo e centrale, poiche´ hanno le capacita’, il dovere e la responsabilita’ di agire nell’interesse pubblico, trasferendo sia alle comunita’ che alle istituzioni le informazioni sui rischi legati alle modificazioni ambientali e sui vantaggi che si avrebbero evitando tali rischi.
I medici devono affermare la tutela del diritto, individuale e collettivo, alla salute e ad un ambiente salubre, e in questo ambito i medici di ISDE, Associazione Medici per l’Ambiente, credono che, per la sopravvivenza di un sistema sanitario pubblico, sia necessario e indispensabile un continuo confronto tra scienza medica e societa’.
Se ne parla in “Inquinamento ambientale e salute”, volume edito da Aboca, approfondendo ogni aspetto di temi centrali nella società odierna. Askanews ha intervistato, proprio sul messaggio che questo lavoro offre alla riflessione comune, una delle curatrici, la pediatra Vitalia Murgia.
Il binomio salute ambiente interagisce in termini ormai globali: quale può essere la strategia vincente dal punto di vista politico in uno scenario che invece finora ha fatto ricadere in gran parte il peso di scelte consapevoli e di prevenzione sempre e solo sui cittadini?
UNITI PER LA SALUTE E' UNA ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO ODV APARTITICA, PERSEGUE FINI DI SOLIDARIETA' SOCIALE, CIVILE E CULTURALE: PROMUOVE E SOSTIENE INIZIATIVE,INTERVENTI, INFORMAZIONI FINALIZZATI AL MIGLIORAMENTO DI VITA E DI SALUTE DEI CITTADINI DEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI SAVONA. "UNITI PER LA SALUTE ODV" Via De Litta 3/1 VALLEGGIA (Savona) C.F:92084220091 Tel 3713993698
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31 agosto 2019
28 agosto 2019
Note Di Grondacci :La VIA sintesi tra valutazione tecniche e socio politiche compresa la partecipazione
Tratto da Note Di Grondacci
La VIA sintesi tra valutazione tecniche e socio politiche compresa la partecipazione
Seguendo varie vertenze ambientali in relazione a procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA ) mi è capito più volte di assistere a interpretazioni, sulla natura del procedimento di VIA in palese contrasto con la giurisprudenza nettamente prevalente in materia.
In particolare tali interpretazioni si sono verificate nel caso di richieste da parte di associazioni e comitati di cittadini di riavvio di procedimenti di VIA conclusi e che non avevano valutato completamente tutti gli impatti del progetto sottoposto a valutazione.
Da ultimo arriva la Regione Liguria: "Biodigestore a Saliceti sì o no? Faccio il politico. Non discuto di aree", così afferma su Gazzetta della Spezia di oggi l'Assessore Regionale all'Ambiente.
Qualcuno spieghi a questo signore che la VIA ma ancora di più la VAS si concludono con provvedimenti di natura mista (tecnico amministrativa) infatti sono approvati con provvedimento di giunta finale che tiene conto certamente del rapporto istruttorio dei tecnici ma contiene anche elementi di discrezionalità politico amministrativa.
Ah sia chiaro quello che sostengo sopra non lo dico io ma la giurisprudenza univoca in materia di natura del procedimento di VIA, come spiego in questo post...Continua a leggere...»
La VIA sintesi tra valutazione tecniche e socio politiche compresa la partecipazione
Seguendo varie vertenze ambientali in relazione a procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA ) mi è capito più volte di assistere a interpretazioni, sulla natura del procedimento di VIA in palese contrasto con la giurisprudenza nettamente prevalente in materia.
In particolare tali interpretazioni si sono verificate nel caso di richieste da parte di associazioni e comitati di cittadini di riavvio di procedimenti di VIA conclusi e che non avevano valutato completamente tutti gli impatti del progetto sottoposto a valutazione.
Da ultimo arriva la Regione Liguria: "Biodigestore a Saliceti sì o no? Faccio il politico. Non discuto di aree", così afferma su Gazzetta della Spezia di oggi l'Assessore Regionale all'Ambiente.
Qualcuno spieghi a questo signore che la VIA ma ancora di più la VAS si concludono con provvedimenti di natura mista (tecnico amministrativa) infatti sono approvati con provvedimento di giunta finale che tiene conto certamente del rapporto istruttorio dei tecnici ma contiene anche elementi di discrezionalità politico amministrativa.
Ah sia chiaro quello che sostengo sopra non lo dico io ma la giurisprudenza univoca in materia di natura del procedimento di VIA, come spiego in questo post...Continua a leggere...»
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27 agosto 2019
La Commissione europea ammonisce l’Italia su fogne e depuratori
Tratto da tech-media
La Commissione europea ammonisce l’Italia su fogne e depuratori
La Commissione europea, come parte della seconda fase della procedura di infrazione, ha inviato all’Italia le motivazioni su 237 centri urbani o parti di essi e che contano più di 2.000 abitanti. La procedura riguarda i sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico, che risultano non essere a norme. Tredici in totale le regioni coinvolte: Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana.
Questa seconda procedura è il passaggio definitivo prima che il deferimento raggiunga la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Un anno fa partì formalmente la procedura d’infrazione. Per quanto concerne le acque reflue, il nostro Paese ha in corso altre tre procedure, tra cui una è stata già sentenziata con la condanna per l’Italia al pagamento di una multa di 25 milioni di euro, a cui vanno aggiunti 30 milioni di euro per ogni semestre di ritardo della normalizzazione di più di settanta centri urbani sprovvisti di reti fognarie e sistemi di depurazione delle acque.
Le altre due procedure da parte della Commissione europea, aperte due giorni fa, riguardano la mancata notifica delle sanzioni adottate sul tutto il territorio nel caso di violazione delle norme UE su gas fluorurati a effetto serra e sui biocarburanti sostenibili.
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21 agosto 2019
LA SENTENZA Il Tar: «La lotta all’inquinamento è più forte del diritto alla scuola»
Tratto da Il Corriere di Torino
Il Tar: «La lotta all’inquinamento è più forte del diritto alla scuola»
Respinto il ricorso presentato da due residenti nella Città metropolitana: «La tutela dell’ambiente e della salute possono comprimere altre esigenze, anche il lavoro»
«La previsione di una possibile compressione dei diritti fondamentali, effettuata allo scopo di riportare le emissioni delle sostanze inquinanti entro i valori limite per le concentrazioni dell’aria, si rivela legittima».
A dirlo è la prima sezione penale del Tar del Piemonte, che ha respinto il ricorso presentato da due automobilisti residenti in un comune della Città metropolitana di Torino. I residenti contestavano le «limitazioni temporanee alla circolazione dei veicoli» decise dal sindaco, sostenendo che «sarebbero lesive del diritto di circolazione, del diritto al lavoro, del diritto allo studio, degli altri diritti della personalità e del diritto di proprietà». Sottolineando, inoltre, che ci sarebbe stato uno «sviamento di potere dal fine della tutela ambientale». «L’ordinanza sindacale — è la pronta replica dei giudici amministrativi — è stata adottata facendo uso dei poteri straordinari» attribuiti al primo cittadino «in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di degrado dell’ambiente». Pertanto, «una parziale e temporanea limitazione della libertà di circolazione deve ritenersi giustificata quando discende dall’esigenza di tutelare il valore dell’ambiente».
«I meno abbienti non sono discriminati»
L’ordinanza comunale impugnata è la numero 133 dell’11 ottobre 2018, con cui si è stabilito il «divieto di circolazione, dalle 8 alle 19, dei veicoli dotati di motore diesel Euro 1, 2, 3 e 4 per il periodo tra l’1 ottobre 2018 e il 31 marzo 2019». I due cittadini, proprietari di auto diesel Euro 3, lamentavano «la compressione, in maniera irragionevole e sproporzionata, della propria libertà di locomozione» e di quella «delle loro figlie minorenni», nonché «dello sviluppo dei loro diritti fondamentali». E ritenevano il provvedimento del sindaco «discriminatorio delle fasce meno abbienti della popolazione», in quanto adottato in assenza di una politica di «incentivi per la sostituzione delle automobili» non più in regola.
Se sulla presunta «compressione dei diritti fondamentali» il Tar risponde che «si rivela legittima» di fronte a un concreto «pericolo per la salute» e all’esigenza di «tutelare l’ambiente», per quanto riguarda la «discriminazione dei soggetti in base al censo» la replica è che «la restrizione temporanea non vieta in assoluto l’utilizzo dell’autovettura di proprietà», «non obbliga i proprietari alla rottamazione» e «non realizza un deprezzamento del valore dell’auto». Nel ricorso si lamentava anche il fatto che i Comuni avessero «adottato misure limitative dei diritti fondamentali in assenza di una fonte primaria», vale a dire nazionale. Ma per i giudici amministrativi non è così: «La fonte primaria che autorizza le Regioni e le Province autonome ad adottare un piano» antismog è costituita dall’accordo per «il miglioramento della qualità dell’aria del bacino padano», sottoscritto il 9 giugno 2017 da Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e dal ministro dell’Ambiente. E ai sindaci è concessa la possibilità di agire «in via di urgenza» ogni qualvolta l’Arpa segnali «una concentrazione del Pm10» pericolosa «per la salute».
«Incentivare il trasporto pubblico»
Infine, il Tar mette l’accento su un altro aspetto legato ai divieti: «L’articolato regime delle sanzioni — si legge — rivela che le limitazioni temporanee sono state adottate anche al fine di incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico e promuovere la cultura del trasporto sostenibile», come confermato dalle «deroghe al divieto di circolazione» per pullman, taxi, auto a noleggio e trasporto condiviso.
LA SENTENZA
Respinto il ricorso presentato da due residenti nella Città metropolitana: «La tutela dell’ambiente e della salute possono comprimere altre esigenze, anche il lavoro»
«La previsione di una possibile compressione dei diritti fondamentali, effettuata allo scopo di riportare le emissioni delle sostanze inquinanti entro i valori limite per le concentrazioni dell’aria, si rivela legittima».
A dirlo è la prima sezione penale del Tar del Piemonte, che ha respinto il ricorso presentato da due automobilisti residenti in un comune della Città metropolitana di Torino. I residenti contestavano le «limitazioni temporanee alla circolazione dei veicoli» decise dal sindaco, sostenendo che «sarebbero lesive del diritto di circolazione, del diritto al lavoro, del diritto allo studio, degli altri diritti della personalità e del diritto di proprietà». Sottolineando, inoltre, che ci sarebbe stato uno «sviamento di potere dal fine della tutela ambientale». «L’ordinanza sindacale — è la pronta replica dei giudici amministrativi — è stata adottata facendo uso dei poteri straordinari» attribuiti al primo cittadino «in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di degrado dell’ambiente». Pertanto, «una parziale e temporanea limitazione della libertà di circolazione deve ritenersi giustificata quando discende dall’esigenza di tutelare il valore dell’ambiente».
«I meno abbienti non sono discriminati»
L’ordinanza comunale impugnata è la numero 133 dell’11 ottobre 2018, con cui si è stabilito il «divieto di circolazione, dalle 8 alle 19, dei veicoli dotati di motore diesel Euro 1, 2, 3 e 4 per il periodo tra l’1 ottobre 2018 e il 31 marzo 2019». I due cittadini, proprietari di auto diesel Euro 3, lamentavano «la compressione, in maniera irragionevole e sproporzionata, della propria libertà di locomozione» e di quella «delle loro figlie minorenni», nonché «dello sviluppo dei loro diritti fondamentali». E ritenevano il provvedimento del sindaco «discriminatorio delle fasce meno abbienti della popolazione», in quanto adottato in assenza di una politica di «incentivi per la sostituzione delle automobili» non più in regola.
Se sulla presunta «compressione dei diritti fondamentali» il Tar risponde che «si rivela legittima» di fronte a un concreto «pericolo per la salute» e all’esigenza di «tutelare l’ambiente», per quanto riguarda la «discriminazione dei soggetti in base al censo» la replica è che «la restrizione temporanea non vieta in assoluto l’utilizzo dell’autovettura di proprietà», «non obbliga i proprietari alla rottamazione» e «non realizza un deprezzamento del valore dell’auto». Nel ricorso si lamentava anche il fatto che i Comuni avessero «adottato misure limitative dei diritti fondamentali in assenza di una fonte primaria», vale a dire nazionale. Ma per i giudici amministrativi non è così: «La fonte primaria che autorizza le Regioni e le Province autonome ad adottare un piano» antismog è costituita dall’accordo per «il miglioramento della qualità dell’aria del bacino padano», sottoscritto il 9 giugno 2017 da Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e dal ministro dell’Ambiente. E ai sindaci è concessa la possibilità di agire «in via di urgenza» ogni qualvolta l’Arpa segnali «una concentrazione del Pm10» pericolosa «per la salute».
«Incentivare il trasporto pubblico»
Infine, il Tar mette l’accento su un altro aspetto legato ai divieti: «L’articolato regime delle sanzioni — si legge — rivela che le limitazioni temporanee sono state adottate anche al fine di incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico e promuovere la cultura del trasporto sostenibile», come confermato dalle «deroghe al divieto di circolazione» per pullman, taxi, auto a noleggio e trasporto condiviso.
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18 agosto 2019
Inquinamento e asma i limiti vanno rispettati
Osservando le regole dell’Oms si potrebbe prevenire un terzo dei casi pediatrici di questa malattia
Un recentissimo studio pubblicato sull’European Respiratory Journal ha stimato, grazie a complessi modelli matematici e statistici, quanti casi di asma in età pediatrica si potrebbero evitare se i Paesi si attenessero alle indicazioni dell’Oms (più stringenti delle norme attualmente adottate dalla Unione Europea, ma anche queste ultime regolarmente disattese dall’Italia). La ricerca ha preso in considerazione oltre 63 milioni di ragazzi di meno di 14 anni che vivono in 18 dei principali Paesi europei, tra i quali il nostro. Rispettando i limiti soglia stabiliti dall’Oms si eviterebbero ogni anno oltre 66.000 nuovi casi di asma, dei quali più di 11.000 solo in Italia. Nel caso poi si riuscisse a fare di più e a scendere oltre queste soglie ma nel limite di quanto effettivamente realizzabile con politiche ambientali attente (e considerando anche una riduzione del black carbon attualmente non presente nelle normative europee e nelle indicazioni dell’Oms), i casi evitabili di asma aumenterebbero di circa 3 volte. È bene però sapere che non esistono valori di inquinamento che non siano causa di danni alla salute, per quanto bassi possano essere.
Ma perché l’inquinamento causa l’asma? I vari inquinanti agiscono in modi diversi: alcuni, come i particolati, si depositano nei polmoni e li danneggiano come una polvere sottile che copre come un velo una superficie, non permettendo così un perfetto scambio respiratorio, oppure irritano le cellule presenti sulle mucose dei bronchi (i tubicini che dalla trachea consentono all’aria di raggiungere i polmoni), favorendo l’insorgenza o aggravando i casi di asma bronchiale; altri ancora, come l’ozono e l’NO2, determinano una irritazione delle strutture bronchiali e polmonari che si traduce in asma ma anche in una maggiore suscettibilità per le infezioni respiratorie come le polmoniti. In molti casi un singolo composto può avere più azioni dannose e alcuni meccanismi sono ancora sconosciuti, come anche alcune interazioni fra i diversi agenti. Alcuni anni fa ricercatori inglesi hanno valutato in 60 soggetti asmatici gli effetti di una passeggiata di due ore in Oxford Street, trafficata strada del centro di Londra con circolazione limitata ai taxi e agli autobus diesel, e di due ore di camminata costeggiando Hyde Park. Camminare in mezzo ai diesel causava un transitorio calo di funzionalità respiratoria, una specie di piccolo attacco asmatico, cosa che non avveniva passeggiando nel parco. Nelle agende politiche si parla ancora molto poco di inquinamento e di salute, forse è il caso di ripensarci.
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Una coalizione di 29 stati e città statunitensi ha citato in giudizio l’amministrazione Trump per le nuove regole meno stringenti sulle emissioni di CO2
Tratto da ilpost
Una coalizione di 29 stati e città statunitensi ha citato in giudizio l’amministrazione Trump per le nuove regole meno stringenti sulle emissioni di CO2
Una coalizione di 29 stati e città statunitensi, per lo più a guida Democratica, ha citato in giudizio l’amministrazione Trump per bloccare le nuove regole meno stringenti sulle emissioni di CO2 da parte delle centrali a carbone. Secondo le accuse, l’Affordable clean energy emanato dell’Agenzia per la protezione ambientale (EPA) non proteggerebbe in modo adeguato i cittadini dall’inquinamento e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. La causa è guidata dalla procuratrice generale di New York Letitia James e, scrive il New York Times, potrebbe arrivare fino alla Corte Suprema.
Le nuove regole sulle emissioni stabilite dall’amministrazione Trump sono molto più permissive rispetto a quelle che erano state imposte dal Clean Power Plan (CPP) voluto nel 2015 da Barack Obama, che fissava limiti nazionali sull’inquinamento da biossido di carbonio delle centrali e imponeva agli stati di attuare dei piani per ridurre le emissioni entro il 2022. Ora è stato invece stabilito che i singoli stati potranno decidere da soli quali standard e quali limiti imporsi per le emissioni delle loro centrali. Durante la campagna elettorale Trump aveva insistito molto sulla volontà di cambiare le regole volute da Obama e di aiutare l’industria del carbone.
Una coalizione di 29 stati e città statunitensi ha citato in giudizio l’amministrazione Trump per le nuove regole meno stringenti sulle emissioni di CO2
Una coalizione di 29 stati e città statunitensi, per lo più a guida Democratica, ha citato in giudizio l’amministrazione Trump per bloccare le nuove regole meno stringenti sulle emissioni di CO2 da parte delle centrali a carbone. Secondo le accuse, l’Affordable clean energy emanato dell’Agenzia per la protezione ambientale (EPA) non proteggerebbe in modo adeguato i cittadini dall’inquinamento e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. La causa è guidata dalla procuratrice generale di New York Letitia James e, scrive il New York Times, potrebbe arrivare fino alla Corte Suprema.
Le nuove regole sulle emissioni stabilite dall’amministrazione Trump sono molto più permissive rispetto a quelle che erano state imposte dal Clean Power Plan (CPP) voluto nel 2015 da Barack Obama, che fissava limiti nazionali sull’inquinamento da biossido di carbonio delle centrali e imponeva agli stati di attuare dei piani per ridurre le emissioni entro il 2022. Ora è stato invece stabilito che i singoli stati potranno decidere da soli quali standard e quali limiti imporsi per le emissioni delle loro centrali. Durante la campagna elettorale Trump aveva insistito molto sulla volontà di cambiare le regole volute da Obama e di aiutare l’industria del carbone.
Patrizia Gentilini :Nadia Toffa, da medico dico che la morte dei giovani per cancro pone domande sull’inquinamento
Nadia Toffa, da medico dico che la morte dei giovani per cancro pone domande sull’inquinamento
di Patrizia Gentilini
La scomparsa a 40 anni di Nadia Toffa per cancro ha suscitato grande emozione per varie ragioni: la giovane età della conduttrice delle Iene, la forza ed il coraggio con cui ha affrontato una malattia, che – non dimentichiamo – ormai colpisce un uomo su due ed una donna su tre, ed il tragico destino che l’ha accomunata alle tante vittime dell’inquinamento ambientale oggetto delle sue inchieste di maggior successo: da Taranto alla Terra dei Fuochi, come ha ricordato don Maurizio Patricello, il prete che Nadia ha voluto alle sue esequie a Brescia, terra altrettanto martoriata, come quella da cui proviene don Maurizio.La morte di Nadia e quelle di tanti giovani e giovanissimi ci pongono scomode domande: perché ci si ammala di cancro e soprattutto perché sempre più giovani adulti, adolescenti e bambini contraggono tumori? Sono domande più che legittime, che a più riprese abbiamo posto e per le quali non ci stancheremo mai di cercare risposte, mettendo soprattutto in evidenza il ruolo dei fattori ambientali nell’origine di queste, come di molte altre patologie croniche invalidanti.
Dall’Oncologia “ufficiale” il ruolo causale dei fattori ambientali continua purtroppo ad essere – a nostro avviso – grandemente sottostimato. Sul Report “I Numeri del Cancro in Italia”, pubblicato annualmente da Aiom ed Airtum, continuiamo a trovare una tabella che, facendo riferimento a vecchi dati Usa, attribuisce alle cause ambientali solo il 2% dei tumori ed a fattori legati allo stile di vita individuale (tabagismo, dieta, inattività fisica, alcool) oltre il 65%.
Negli ultimi decenni si è rafforzata la tesi che il cancro origini fondamentalmente per errati stili di vita e per colpe dei “singoli”, non per cause ambientali: ammettere questo concetto metterebbe in discussione il nostro modo di vivere e… potrebbe forse disturbare il potere economico.
Vivere in un ambiente inquinato rappresenta un importante rischio per la salute, per molte gravi malattie e per il cancro. D’altra parte, come spiegare l’aumento di incidenza (numero di nuovi casi per anno) nei bambini che certo non fumano, non bevono, né hanno erronei stili di vita?
Nel periodo 2006-2013 i residenti (età 0-29 anni) in 28 Siti di Interesse Nazionale (SIN) – aree altamente inquinate fra cui Brescia e Taranto – si sono registrati – rispetto alle medie regionali – eccessi statisticamente significativi di diverse forme tumorali: leucemie mieloidi acute, linfomi Non Hodgkin, tumori del testicolo, tumori embrionali, germinali e sarcomi. Centinaia di bambini e di giovani si sono ammalati di cancro per il solo fatto di vivere in territori contaminati e troppo spesso, come Nadia, non ce l’hanno fatta.
Agenti tossici e pericolosi sono ormai stabilmente presenti nelle varie matrici ambientali: aria, acqua, suolo e all’interno dei nostri stessi corpi. Da una indagine di biomonitoraggio condotta su oltre 200 bambini delle scuole primarie di Forlì per la ricerca di metalli pesanti nelle unghie, il cadmio (metallo potenzialmente tossico e cancerogeno) è presente in oltre il 76% di essi, ma sono stati rinvenuti anche alluminio, antimonio, nichel, piombo, elementi estranei, nocivi e talora cancerogeni, che nessuno vorrebbe fossero presenti nel corpo dei propri figli. Le esposizioni tossiche ambientali non sono all’origine solo del cancro, ma minano le fasi più delicate della vita, a cominciare dalla salute riproduttiva e già nel 2015 la Federazione internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) individuava come assoluta priorità per ostetrici, ginecologi, ostetriche e gli altri professionisti della salute perinatale una adeguata conoscenza di questi problemi.
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16 agosto 2019
ISDE: il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità su cellulari e cancro è inadeguato. Firma l' Appello
Tratto da Isde
ISDE: il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità su cellulari e cancro è inadeguato.
Firma l' Appello di Isde
“L’Istituto Superiore di Sanità ha recentemente pubblicato un rapporto (http://old.iss.it/binary/publ/cont/19_11_web.pdf) nel quale si ritiene che “l’uso comune del cellulare non sia associato all’incremento del rischio di alcun tipo di tumore cerebrale” e che “nell’insieme gli studi sperimentali su animali non mostrano evidenza di effetti cancerogeni dell’esposizione a RF, né effetti di promozione della cancerogenesi dovuta ad altri agenti chimici o fisici”.
Con il documento “Esposizione a radiofrequenze e cancro: considerazioni sul rapporto ISTISAN 19/11” si spiegano le motivazioni per le quali ISDE ritiene che il rapporto dell’ISS sia inadeguato a garantire al meglio la salute pubblica.
Abbiamo attivato una petizione pubblica per chiedere il ritiro immediato del documento e una sua rielaborazione più ampia.
Per leggere l’appello al Ministero della Salute e per poterlo firmare, clicca qua: APPELLO
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SIMA:Autotrasporto costa in salute un miliardo l’anno
Tratto da Trasportoeuropa.it
Autotrasporto costa in salute un miliardo l’anno
Secondo una ricerca della Società Italiana di Medicina Ambientale, l'inquinamento causato dai veicoli industriali in Italia causa danni alla salute stimati da 800 a mille milioni di euro l'anno.
La Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) ha svolto una ricerca nell'ambito di una collaborazione con l'International Journal of Environmental Research and Public Health sull'entità dell'inquinamento atmosferico causato in Italia dai veicoli, leggeri e pesanti, che volgono il trasporto delle merci. Dallo studio emerge che i quattro milioni e seicentomila veicoli merci immatricolati in Italia nel 2016 avrebbero prodotto in quell'anno annualmente 190 tonnellate di particolato PM2.5 e 232 tonnellate di particolato PM10, pari al sette percento di tutto il particolato prodotto in Italia. Considerando che, sempre nel 2016, l'Agenzia Ambientale Europea ha stimato che in Italia questi inquinanti hanno causato la perdita di 865 mila anni di vita, la Sima ha stimato che i veicoli industriali causano una perdita annuale compresa tra 8.500 ai 12 mila anni di vita, con una ricaduta economica tra 860 e 1000 milioni di euro.
"Qualunque soluzione in grado di abbattere anche di qualche fattore percentuale il trasporto merci su gomma potrebbe generare una diminuzione consistente della mortalità evitabile dovuta a inquinamento atmosferico, con relativo abbattimento dei costi", spiega Alessandro Miani, presidente di Sima. "Applicando le funzioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, già con un decremento di PM 2.5 di dieci microgrammi al metro cubo (media annuale) ci si aspetterebbe una diminuzione della mortalità generale del 7%, del 26% quella per eventi coronarici, del 10% per malattie cardiovascolari e respiratorie e del 9% per tumori polmonari.
Senza contare peraltro che l'inquinamento atmosferico non provoca solo effetti diretti sulla salute ma anche pericoli indiretti, legati ai cambiamenti climatici indotti dalle emissioni di gas serra".
Salute e ambiente: inquinamento e cancro, una nesso da non sottovalutare
Tratto da la voce di New York
Salute e ambiente: inquinamento e cancro, una nesso da non sottovalutare
In tutto il mondo, il numero di nuovi casi di tumore è in continuo aumento. Nel 2019 a 18 milioni di persone verrà diagnosticato il cancro e 9 milioni moriranno
di Antonio Giordano
Salute e ambiente: inquinamento e cancro, una nesso da non sottovalutare
In tutto il mondo, il numero di nuovi casi di tumore è in continuo aumento. Nel 2019 a 18 milioni di persone verrà diagnosticato il cancro e 9 milioni moriranno
di Antonio Giordano
La relazione tra smog e cancro è stata ampiamente dibattuta. Rispetto allo stile di vita e alle cattive abitudini di ognuno di noi, lo smog ricopre un ruolo marginale nel contribuire allo sviluppo delle malattie, perché spesso se ne sottovaluta il potenziale, l’impatto sulla salute ed il benessere fisico. Ad esempio, l’inquinamento potrebbe spiegare l’aumento del numero dei casi di tumore al polmone in persone non fumatrici
È ormai noto che l’insorgenza del cancro ha un carattere multifattoriale, ovvero da imputare a fattori intrinseci e fattori estrinseci che, in maniera simultanea, concorrono ad aumentare il rischio di sviluppare tale patologia. Tra i fattori estrinseci, che esulano dalla componente genetica, vi è l’inquinamento ambientale, inteso come inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo.
In tutto il mondo, il numero di nuovi casi di tumore è in continuo aumento, in confronto ad altre malattie, come quelle associate alle infezioni virali. Si calcola che nel 2019 a 18 milioni di persone verrà diagnosticato il cancro e 9 milioni moriranno a causa di esso. Il nostro organismo è continuamente costretto a reagire all’ambiente e alle minacce che da esso provengono per mantenere un equilibrio e preservare le proprie funzioni vitali. Sostanze cancerogene, come metalli pesanti, nichel e arsenico sono presenti in beni di largo consumo, tra cui cosmetici, indumenti, gas di scarico e, purtroppo, anche negli alimenti.
Nel corso degli anni sono stati effettuati test tossicologici per valutare il potenziale cancerogeno di diverse sostanze, ma quelle testate sono ancora troppo poche rispetto a quante ne vengono quotidianamente utilizzate. Inoltre, l’esposizione a tali sostanze non avviene singolarmente, ma spesso in modo simultaneo, e questo rappresenta un ulteriore limite nelle analisi tossicologiche. Considerata la difficoltà nell’evitare il contatto con tali sostanze a causa della loro estrema diffusione e presenza in ogni contesto della nostra vita, diventa necessario intervenire sui quei comportamenti che dipendono direttamente da ognuno di noi, con particolare attenzione allo screening preventivo. Attualmente, molte risorse economiche vengono destinate proprio alla prevenzione.....
È ormai noto che l’insorgenza del cancro ha un carattere multifattoriale, ovvero da imputare a fattori intrinseci e fattori estrinseci che, in maniera simultanea, concorrono ad aumentare il rischio di sviluppare tale patologia. Tra i fattori estrinseci, che esulano dalla componente genetica, vi è l’inquinamento ambientale, inteso come inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo.
In tutto il mondo, il numero di nuovi casi di tumore è in continuo aumento, in confronto ad altre malattie, come quelle associate alle infezioni virali. Si calcola che nel 2019 a 18 milioni di persone verrà diagnosticato il cancro e 9 milioni moriranno a causa di esso. Il nostro organismo è continuamente costretto a reagire all’ambiente e alle minacce che da esso provengono per mantenere un equilibrio e preservare le proprie funzioni vitali. Sostanze cancerogene, come metalli pesanti, nichel e arsenico sono presenti in beni di largo consumo, tra cui cosmetici, indumenti, gas di scarico e, purtroppo, anche negli alimenti.
Nel corso degli anni sono stati effettuati test tossicologici per valutare il potenziale cancerogeno di diverse sostanze, ma quelle testate sono ancora troppo poche rispetto a quante ne vengono quotidianamente utilizzate. Inoltre, l’esposizione a tali sostanze non avviene singolarmente, ma spesso in modo simultaneo, e questo rappresenta un ulteriore limite nelle analisi tossicologiche. Considerata la difficoltà nell’evitare il contatto con tali sostanze a causa della loro estrema diffusione e presenza in ogni contesto della nostra vita, diventa necessario intervenire sui quei comportamenti che dipendono direttamente da ognuno di noi, con particolare attenzione allo screening preventivo. Attualmente, molte risorse economiche vengono destinate proprio alla prevenzione.....
12 agosto 2019
Crisi climatica e disastri ambientali: e' partita la causa "Giudizio universale"
Tratto da Il Cambiamento
Crisi climatica e disastri ambientali: parte la causa "Giudizio universale"
Scioglimento dei ghiacciai, siccità, desertificazione, eventi climatici estremi, estinzione di interi ecosistemi sono solo alcuni dei fenomeni che già oggi si verificano su tutta la Terra.
Crisi climatica e disastri ambientali: parte la causa "Giudizio universale"
Scioglimento dei ghiacciai, siccità, desertificazione, eventi climatici estremi, estinzione di interi ecosistemi sono solo alcuni dei fenomeni che già oggi si verificano su tutta la Terra.
E ora un raggruppamento di cittadini, associazione e professionisti ha deciso di fare causa allo Stato italiano.
«Gli scienziati ne sono certi: se continuiamo così, entro la
fine del secolo le temperature aumenteranno di oltre 4°C.
Abbiamo appena undici anni per bloccare tutte le politiche
che generano emissioni e modificano il clima.Giunti a quel
punto, sarà troppo tardi.
Nessuno dei leader mondiali ha colto il messaggio e l’urgenza
Nessuno dei leader mondiali ha colto il messaggio e l’urgenza
del pericolo,nemmeno a casa nostra!»: queste le parole
chiare e dirette del raggruppamento di movimenti, associazioni
, cittadini e professionisti cheha dato vita alla causa che è
stata chiamata "Giudizio universale".
«In moltissimi paesi, movimenti e cittadini stanno citando in
«In moltissimi paesi, movimenti e cittadini stanno citando in
giudizio Stato,istituzioni e imprese per costringerli ad attuare
politiche realmente efficaci - spiegano i promotori -
Abbiamo deciso di fare causa anche in Italia. Chiederemo allo
Stato Italiano di attuare misure più stringenti per rispondere
ai cambiamenti climatici e invertire il processo: se non ci
pensiamo noi, nessuno lo farà al posto nostro».
Le concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno raggiunto
Le concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno raggiunto
nuovi record nel 2017, con la CO2 a 405.5 ppm (+146%
rispetto ai livelli preindustriali).
Rispetto al 1990, la capacità dei gas serra di alterare il
Rispetto al 1990, la capacità dei gas serra di alterare il
bilancio energetico terrestre (forzante radiativo) è aumentata
del 41% [WMO Greenhouse Gas Bulletin – No. 14].
«La causa sono le attività umane, e in primo luogo l’utilizzo
«La causa sono le attività umane, e in primo luogo l’utilizzo
di combustibili fossili - spiegano i promotori della maxi-causa -
Nel 2010, il 35% delle emissioni globali provenivano dal
settore dell’approvvigionamento energetico, il 24% dal settore
dell’agricoltura,silvicoltura e altri usi della terra,il 21%
dall’industria, il 14% dai trasporti e il 6.4% dagli edifici
[IPCC Fifth Assessment Report].
Il 71% di tutte le emissioni industriali dal 1970 a oggi sono
Il 71% di tutte le emissioni industriali dal 1970 a oggi sono
state causate da appena 100 industrie produttrici di
combustibili fossili [CDP Carbon Majors Report 2017].
Le emissioni globali inoltre non mostrano nessun segno di
voler diminuire: sono anzi ancora aumentate nel 2017
[UNEP Emissions Gap Report 2018].
Al contrario, per restare entro la soglia dei 2°C di
[UNEP Emissions Gap Report 2018].
Al contrario, per restare entro la soglia dei 2°C di
riscaldamento globale,entro il 2030 dovremmo tagliare le
emissioni del 25% rispetto al 2010 e raggiungere lo zero netto nel 2070, mentre per restare entro 1.5°C nel 2030 le emissioni
dovrebbero essere del 45% più basse rispetto al 2010 ed
essere pari a zero già nel 2050. Se continuiamo su questa
strada, già nel 2030 potremmo raggiungere un riscaldamento
globale di +1.5°C, e a fine secolo potremmo arrivare a oltre
4°C in più [IPCC Special Report: Global Warming of 1.5°C]».
«L’Italia è parte del cosiddetto gruppo dei Paesi sviluppati,
«L’Italia è parte del cosiddetto gruppo dei Paesi sviluppati,
quelli che storicamente sono i maggiori responsabili delle
emissioni di gas serra a livello globale - prosegue il
raggruppamento - Rispetto al 1990,al 2017 le nostre emissioni
si sono ridotte di appena il 17.4% [ISPRA], mentre
già nel 2007 l’IPCC chiedeva che i Paesi sviluppati
già nel 2007 l’IPCC chiedeva che i Paesi sviluppati
riducessero le emissioni del 25-40% entro il 2020
[IPCC Fourth Assessment Report]. Inoltre, parte di questa
riduzione è dovuta sia alla crisi economica del 2008 e al
conseguente calo della produzione, sia alla delocalizzazione
di alcuni settori produttivi all’estero [ISPRA], e non a politiche
climatiche efficaci».
«I nostri target di riduzione per il futuro sono del tutto
«I nostri target di riduzione per il futuro sono del tutto
insufficienti rispetto a quanto la scienza ci chiede per sperare
di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia degli
1.5°C: anche la proposta di Piano Nazionale Energia e Clima
presentata a fine 2018 è stata giudicata troppo poco
ambiziosa [European Climate Foundation]».
A livello globale, un riscaldamento di anche solo di 1.5°C delle
A livello globale, un riscaldamento di anche solo di 1.5°C delle
temperature significa interi ecosistemi distrutti ed estinzione
di massa delle specie animali e vegetali, un aumento del
100% del rischio di inondazioni, 350 milioni di persone esposte
a rischio idrico e siccità, 46 milioni colpite dall’innalzamento
del livello dei mari, il 9% della popolazione mondiale esposta
a ondate di calore.
Tutto questo porterà al collasso dei sistemi di produzione del
Tutto questo porterà al collasso dei sistemi di produzione del
cibo, metterà sotto alto stress le società attuali incrementando
i conflitti e le migrazioni di massa di intere popolazioni.
E per l’Italia? La geografia e la topografia del nostro territorio,
E per l’Italia? La geografia e la topografia del nostro territorio,
che costituiscono l’unicità del nostro Paese, ne determinano
anche l’estrema fragilità di fronte ai cambiamenti climatici.
L’area mediterranea è infatti particolarmente a rischio: si
riscalda una volta e mezzo più velocemente del resto del
mondo, e con un riscaldamento di 2°C globale vedrebbe la
propria disponibilità di acqua, già scarsa, ridursi di ben il 17%.
Anche la zona alpina è un hotspot dei cambiamenti climatici:
lo scioglimento dei ghiacci perenni porterebbe alla perdita di fondamentali riserve d’acqua che alimentano le comunità che
vivono alle pendici delle montagne, l’equilibrio degli
ecosistemi verrebbe fortemente compromesso e
aumenterebbe il rischio idrogeologico.
Di fatto, le temperature medie italiane sono già circa un grado
Di fatto, le temperature medie italiane sono già circa un grado
e mezzo più alte rispetto al periodo preindustriale, con tutte le conseguenze in termini di disponibilità d’acqua, siccità,
ondate di calore, ma anche fenomeni estremi come piogge,
grandinate e nevicate forti e improvvise, inondazioni, trombe
d’aria.
L’innalzamento del livello dei mari globale inoltre porterà alla
L’innalzamento del livello dei mari globale inoltre porterà alla
scomparsa di molte aree, soprattutto costiere: esempi
emblematici sono Venezia, la città sull’ acqua, gran parte
della Pianura Padana, la Liguria e tutte le regioni che si
affacciano sul mare.«Sono stati individuati numerosi limiti
dell’Accordo di Parigi - aggiungono i promotori della causa -
dell’Accordo di Parigi - aggiungono i promotori della causa -
ma il più grande è che, seppure tutti i contributi nazionale degli Stati venissero pedissequamente implementati, porterebbero nel
2100 a un innalzamento della temperatura globale di oltre 3°C,mancando quindi del tutto l’obiettivo.
Per mantenersi entro la soglia di +2°C, gli sforzi attualmente
Per mantenersi entro la soglia di +2°C, gli sforzi attualmente
previsti dai Paesi per il 2030 andrebbero triplicati, e
quintuplicati se si vuole perseguire l’obiettivo di 1.5°C
[UNEP Emissions Gap Report 2018]».
I promotori della causa chiedono:
-che lo Stato italiano riconosca la gravità della situazione in
cui si trova l’Italia e agisca di conseguenza.
-che siano riconosciute le violazioni dei diritti umani causate
dagli impatti dei cambiamenti climatici.
-che vengano adottati target di riduzione delle emissioni
-che vengano adottati target di riduzione delle emissioni
in linea con quanto ci chiede la scienza per mantenere il
riscaldamento globale entro la soglia prudenziale di +1.5°C
rispetto al periodo preindustriale.
Greenpeace: Ma che caldo fa?
Tratto da Greenpeace
Ma che caldo fa?
di Felice Moramarco
Non chiamatelo maltempo!
Avete presente quei rituali servizi giornalistici che ciclicamente
ogni estate, da chissà quanti anni ormai, ci forniscono suggerimenti su come affrontare il grande caldo stagionale? Raccomandazioni di buon senso, come bere molta acqua,
mantenersi leggeri a tavola, non uscire durante le ore più calde,
mantenere gli ambienti di casa e lavorativi sempre freschi.
Consigli certamente utili, che però probabilmente non tengono
conto dell’emergenza climatica in corso, che renderà più frequenti
e intensi fenomeni come le ondate di calore.
Oltre i 32°
In Italia, dagli anni Ottanta ad oggi, si sono moltiplicate le
giornate in cui nelle nostre città si sono registrate temperature
superiori ai 32°C, come riporta un’elaborazione realizzata dalla
Infodata de Il Sole 24 Ore su un’analisi a livello mondiale
condotta per il The New York Times dal Climate Impact Lab.
A Milano, ad esempio, nel 1988 sono state rilevate 8 giornate
con temperature al di sopra dei 32°, mentre oggi se ne registrano
quasi 3 volte tante, ovvero 22. Nella città più calda d’Italia,
ovvero Caserta, “trent’anni fa si superavano i 32 gradi 44 giorni
l’anno, oggi 68 e fra 50 anni 86”. Uno scenario realizzato
basandosi sulle riduzioni di gas serra previste dagli Accordi
di Parigi, e dunque piuttosto ottimistico dato che al momento
questi obiettivi sono ben lontani dall’essere raggiunti.
Più energia
Per contrastare il grande caldo si userà sempre più energia.
Come si legge in uno studiopubblicato su Nature Communications
da ricercatori dell’International Institute for Applied Systems
Analysis (Austria), Università Ca ‘ Foscari Venezia e CMCC
(Italia) e Boston University (USA), “i cambiamenti climatici
porteranno la domanda globale di energia nel 2050 ad un
aumento compreso tra l’11% e il 27% se il riscaldamento sarà
modesto, e tra il 25% e il 58% se il riscaldamento sarà elevato”.
Il maggiore incremento di richiesta di energia sarà dovuto alla
domanda di elettricità per raffreddare gli ambienti nell’industria
e nel settore dei servizi. È opportuno ricordare che oggi gran
parte dell’energia proviene da combustibili fossili (gas, petrolio
e carbone), la causa principale delle emissioni di gas serra.
In pratica, per difenderci dal caldo rischiamo di alimentare
i cambiamenti climatici, a meno di non usare energia rinnovabile.
La buona notizia è che si può fare.
Apartheid climatico
L’emergenza climatica colpisce tutti, ma ha impatti più pesanti
sui più deboli. Come spiega Bas van Ruijven, ricercatore
dell’International Institute for Applied Systems Analysis,
“più basso sarà il reddito pro capite, maggiore sarà la quota
di questo reddito che le famiglie dovranno dedicare per adattarsi
agli aumenti della domanda di energia. […]
I più poveri dovranno quindi confrontarsi non solo con sfide
pecuniarie, ma anche con il maggiore rischio di malattie e di
mortalità legate al calore, in particolare nelle aree con forniture
di elettricità inaffidabili o dove mancano del tutto le connessioni
alla rete“.
Dichiarazioni in linea con quanto affermato recentemente
da Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà.
Per le Nazioni Unite, l’emergenza climatica rischia di generare
un “apartheid climatico”, con le fasce di popolazioni più ricche
che avranno più mezzi a disposizione per affrontare le
conseguenze del clima che cambia, e le popolazioni meno
abbienti colpite dalla “potenziale penuria di cibo e dai conflitti
che potrebbero accompagnare questo cambiamento”.
Un mondo 100% rinnovabile
I consigli di buon senso su come superare il gran caldo nel breve
termine sono sempre ben accetti. Ma se vogliamo porre un
argine all’emergenza climatica in corso, e alle sue drammatiche
conseguenze ambientali e sociali, abbiamo bisogno di
abbandonare subito i combustibili fossili e accelerare la
transizione per produrre, su tutto il Pianeta, energia 100 per
cento rinnovabile. Anche per non commettere il paradossale
errore di alimentare ulteriormente il riscaldamento globale,
nel solo tentativo di sopportare ondate di
calore sempre più estreme.
Ma che caldo fa?
di Felice Moramarco
Non chiamatelo maltempo!
Avete presente quei rituali servizi giornalistici che ciclicamente
ogni estate, da chissà quanti anni ormai, ci forniscono suggerimenti su come affrontare il grande caldo stagionale? Raccomandazioni di buon senso, come bere molta acqua,
mantenersi leggeri a tavola, non uscire durante le ore più calde,
mantenere gli ambienti di casa e lavorativi sempre freschi.
Consigli certamente utili, che però probabilmente non tengono
conto dell’emergenza climatica in corso, che renderà più frequenti
e intensi fenomeni come le ondate di calore.
Oltre i 32°
In Italia, dagli anni Ottanta ad oggi, si sono moltiplicate le
giornate in cui nelle nostre città si sono registrate temperature
superiori ai 32°C, come riporta un’elaborazione realizzata dalla
Infodata de Il Sole 24 Ore su un’analisi a livello mondiale
condotta per il The New York Times dal Climate Impact Lab.
A Milano, ad esempio, nel 1988 sono state rilevate 8 giornate
con temperature al di sopra dei 32°, mentre oggi se ne registrano
quasi 3 volte tante, ovvero 22. Nella città più calda d’Italia,
ovvero Caserta, “trent’anni fa si superavano i 32 gradi 44 giorni
l’anno, oggi 68 e fra 50 anni 86”. Uno scenario realizzato
basandosi sulle riduzioni di gas serra previste dagli Accordi
di Parigi, e dunque piuttosto ottimistico dato che al momento
questi obiettivi sono ben lontani dall’essere raggiunti.
Più energia
Per contrastare il grande caldo si userà sempre più energia.
Come si legge in uno studiopubblicato su Nature Communications
da ricercatori dell’International Institute for Applied Systems
Analysis (Austria), Università Ca ‘ Foscari Venezia e CMCC
(Italia) e Boston University (USA), “i cambiamenti climatici
porteranno la domanda globale di energia nel 2050 ad un
aumento compreso tra l’11% e il 27% se il riscaldamento sarà
modesto, e tra il 25% e il 58% se il riscaldamento sarà elevato”.
Il maggiore incremento di richiesta di energia sarà dovuto alla
domanda di elettricità per raffreddare gli ambienti nell’industria
e nel settore dei servizi. È opportuno ricordare che oggi gran
parte dell’energia proviene da combustibili fossili (gas, petrolio
e carbone), la causa principale delle emissioni di gas serra.
In pratica, per difenderci dal caldo rischiamo di alimentare
i cambiamenti climatici, a meno di non usare energia rinnovabile.
La buona notizia è che si può fare.
Apartheid climatico
L’emergenza climatica colpisce tutti, ma ha impatti più pesanti
sui più deboli. Come spiega Bas van Ruijven, ricercatore
dell’International Institute for Applied Systems Analysis,
“più basso sarà il reddito pro capite, maggiore sarà la quota
di questo reddito che le famiglie dovranno dedicare per adattarsi
agli aumenti della domanda di energia. […]
I più poveri dovranno quindi confrontarsi non solo con sfide
pecuniarie, ma anche con il maggiore rischio di malattie e di
mortalità legate al calore, in particolare nelle aree con forniture
di elettricità inaffidabili o dove mancano del tutto le connessioni
alla rete“.
Dichiarazioni in linea con quanto affermato recentemente
da Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà.
Per le Nazioni Unite, l’emergenza climatica rischia di generare
un “apartheid climatico”, con le fasce di popolazioni più ricche
che avranno più mezzi a disposizione per affrontare le
conseguenze del clima che cambia, e le popolazioni meno
abbienti colpite dalla “potenziale penuria di cibo e dai conflitti
che potrebbero accompagnare questo cambiamento”.
Un mondo 100% rinnovabile
I consigli di buon senso su come superare il gran caldo nel breve
termine sono sempre ben accetti. Ma se vogliamo porre un
argine all’emergenza climatica in corso, e alle sue drammatiche
conseguenze ambientali e sociali, abbiamo bisogno di
abbandonare subito i combustibili fossili e accelerare la
transizione per produrre, su tutto il Pianeta, energia 100 per
cento rinnovabile. Anche per non commettere il paradossale
errore di alimentare ulteriormente il riscaldamento globale,
nel solo tentativo di sopportare ondate di
calore sempre più estreme.
Pubblicato da
"Uniti Per La Salute " Associazione ONLUS- piazza della Chiesa 6, 17047 Valleggia
alle
13:05:00
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caldo,
Greenpeace
10 agosto 2019
Il 33% dei nuovi casi di asma infantile in Europa causato da inquinamento atmosferico
Tratto da notizie scientifiche
33% dei nuovi casi di asma infantile in Europa causato da inquinamento atmosferico
Un’altra ricerca, stavolta condotta da un istituto spagnolo, conferma che tra i fattori principali dell’asma per i bambini c’è l’inquinamento atmosferico.
Secondo il nuovo studio, pubblicato sull’European Respiratory Journal e condotto dall’Istituto per la Salute Globale di Barcellona (ISGlobal), il 33% dei nuovi casi annuali (oltre 190.000 casi) di asma infantile potrebbe essere evitato se i paesi europei “fossero in grado di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico ai livelli più bassi registrati in letteratura”.
Ciò significa che l’inquinamento atmosferico è sostanzialmente alla base di un terzo dei casi di asma dei bambini.
Sempre secondo lo studio, fino all’11% dei nuovi casi (oltre 66.000 casi) di asma infantile potrebbe essere inoltre evitato ogni anno se i paesi europei “rispettassero le linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria del PM 2.5”.
Quest’ultima è una classificazione che indica quel particolato sottile, sostanzialmente le polveri, i cui grani sono fini a tal punto (almeno 2,5 µm, ossia un quarto di 100º di millimetro) da essere in grado di penetrare nei polmoni umani.
Sempre secondo lo studio, fino all’11% dei nuovi casi (oltre 66.000 casi) di asma infantile potrebbe essere inoltre evitato ogni anno se i paesi europei “rispettassero le linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria del PM 2.5”.
Quest’ultima è una classificazione che indica quel particolato sottile, sostanzialmente le polveri, i cui grani sono fini a tal punto (almeno 2,5 µm, ossia un quarto di 100º di millimetro) da essere in grado di penetrare nei polmoni umani.
I ricercatori hanno analizzato i dati provenienti da 18 paesi europei mentre i dati relativi all’esposizione agli inquinanti atmosferici sono stati ottenuti attraverso un modello statistico basato su misurazioni multiple eseguite in Europa.
08 agosto 2019
Giovanni Ghirga :La valutazione parziale del danno causato dall’incenerimento dei rifiuti
Tratto da Centumcelle
La valutazione parziale del danno causato dall’incenerimento dei rifiuti
CIVITAVECCHIA – Dal Dottor Giovanni Ghirga, riceviamo e pubblichiamo:
“Innanzi tutto, si parla di valutazione parziale perché per danni di particolare importanza quali quelli genetici, epigenetici e neuro comportamentali, una causa-effetto è molto difficile da determinare sia per il numero estremamente elevato di agenti chimici che ne potrebbero essere responsabili che per la loro possibile interferenza anche a dosi minime nel provocare una patologia.
Rabl, Spadaro e Zougnaib, ricercatori della famosa Ecole des Mines di Parigi, hanno pubblicato sulla nota rivista internazionale, Waste Management & Research un articolo dal titolo “Impatti sull’ambiente e costi dello smaltimento dei rifiuti solidi: un paragone tra l’incenerimento dei rifiuti ed il loro smaltimento in discarica”. Questo lavoro è diventato il punto di partenza per gli studi costi/benefici del trattamento dei rifiuti tramite inceneritori e discariche (doi.org/10.1177/0734242X07080755).
Lo studio, effettuato da autori di particolare rilievo ed esperienza internazionale, ha cercato di determinare i costi per la società, in termini economici, per tonnellata di rifiuti smaltiti attraverso le due metodologie prese in esame.
Gli autori per la loro valutazione del danno hanno utilizzato tutta l’esperienza racchiusa nei risultati del progetto ExterneE della Commissione Europea. Negli ultimi 25 anni c’è stato un notevole progresso nell’analisi dei costi per i danni ambientali ed alla salute provocati dalle emissioni di inquinanti. Il progetto della Commissione Europea ExterneE (European Research Network) ha coinvolto 50 centri di ricerca in oltre 20 paesi e, attraverso studi di particolare rilievo scientifico quali lo “European Environment and Health Strategy”, lo “Environmental Technologies Action Plan” ed il “Clean Air for Europe” (CAFÉ) programme, ha prodotto una metodologia che è diventata il metodo di riferimento per la valutazione del danno da inquinamento.
Nello studio in esame gli autori francesi hanno rilevato che, se si escludono le spese per la produzione di gas serra quali la CO2, la CH4 e gli N2O, oltre il 95 % dei costi esterni è causato da danni alla salute, in particolare dalla mortalità. La morbilità, soprattutto la bronchite cronica, l’asma bronchiale, i giorni di lavoro persi, i ricoveri ospedalieri ecc., rappresentano circa un terzo dei costi del danno da polveri PM10, NOx ed SO2.
Secondo i risultati della ricerca, LA COMBUSTIONE DI UNA TONNELLATA DI RIFIUTI, IN TERMINI DI DANNI ALLA SALUTE ED ALL’AMBIENTE, POTREBBE ARRIVARE A COSTARE CIRCA 21.2 EURO.
Questi costi per ogni tonnellata di rifiuti bruciati, possono scendere paradossalmente fino a 4.5 euro se compensati con il recupero di energia, calore e materiali. Tuttavia, il caro prezzo per la mortalità e la morbilità rimane invariato.
Oltre ai gravi danni dell’effetto serra, l’aumento della CO2, causando l’incremento sia della temperatura che del vapore acqueo, fa salire i livelli dell’ozono terrestre. Quest’ultimo compromette la funzionalità polmonare, irrita le vie respiratorie e sembra essere la chiave dell’aumento delle morti per cause cardiovascolari durante le ondate di calore (Occup Environ Med 2007).
Ad ogni aumento di un grado Celsius di temperatura corrispondono circa 1000 decessi per inquinamento e 20 – 30 nuovi casi di cancro. Il 40 % di queste morti è causata dall’ozono, mentre il resto è probabilmente causato dalle polveri sottili che aumenterebbero in seguito alla capacità della CO2 di aumentarne la stabilità, l’umidità ed i feedback biogenici (Geophysical Research Letters, 2008).
Sempre secondo lo studio di Rabl, L’INCENERIMENTO ANNUO DI 400.000 TONNELLATE DI RIFIUTI POTREBBE, DI CONSEGUENZA, COMPORTARE UNA SPESA PER DANNI ALLA SALUTE ED ALL’AMBIENTE DI CIRCA OLTRE 8.000.000 DI EURO. DOPO 20 ANNI DI ATTIVITÀ, I COSTI POTREBBERO ESSERE PARI A 160.000.000 DI EURO.
L0 SMALTIMENTO DI UNA TONNELLATA DI RIFIUTI IN DISCARICA, IN TERMINI DI DANNI ALLA SALUTE ED ALL’AMBIENTE, ARRIVA INVECE A COSTARE 12.8 EURO.
Inoltre, inquinanti emessi dalla combustione dei rifiuti, quali metilmercurio, arsenico e piombo, anche in quantità ritenute non tossiche, sono responsabili di danni al sistema nervoso in via di sviluppo che si esprimono in patologie conclamate e sintomi sempre più diffusi quali il ritardo del linguaggio la riduzione del quoziente intellettivo, disturbi dell’attenzione, fini turbe della coordinazione motoria e modifiche del comportamento (aggressività) che hanno spinto alcuni ricercatori della Harvard School of Public Health a lanciare l’allarme circa una “Pandemia Silenziosa” che sta lentamente minando la salute e il futuro dei nostri figli. E’ quasi superfluo sottolineare che a fronte di simili rischi, concernenti le generazioni future, qualsiasi valutazione di tipo energetico o economico DEVE passare in secondo piano (Lancet, Granjeau) (Sci Tot Environment, Ghirga).
Adesso che, anche se in modo parziale, si può scientificamente valutare anche il danno causato dalla combustione dei rifiuti, a fronte di valide alternative che non provocano impatti sanitari ma che, anzi, possono creare numerosi, nuovi posti di lavoro, la popolazione deve iniziare ad intraprendere percorsi legali che abbiano come scopo anche la richiesta di risarcimento del danno”.
Dr. Giovanni Ghirga – Pediatra, Membro del Comitato degli Esperti di ISDE Italia
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