Ilva, i pm: «Ecco le prove»
Spiega un magistrato del pool che «c’è un equivoco di fondo, e cioè che il diritto al lavoro sia uguale al diritto alla vita. Sbagliato.
Tutti i diritti sono moderatamente comprimibili tranne quello, sostiene la Costituzione.
Altrimenti si arriverebbe a una contrattazione folle:
mille posti di lavoro, due morti all’anno. Diecimila posti, venti
morti. Inaccettabile».
Non tutti la pensano così.
L’Ilva ha sempre
negato il problema.
Venerdì il riesame non riguarderà solo il sequestro
degli stabilimenti tarantini, ma un modello industriale e sociale
consolidato: potrebbe davvero succedere di tutto.
Taranto - C’è una nuvola rossa che si staglia contro la luna:
«Ferro!». C’è una nuvola nera che si adagia sul mare: «Carbone!».
E via
così, 400 sfiati abusivi documentati dalle telecamere e dalla voce
entusiasta del perito, «sono immagini ad altissima risoluzione». Il
perito è un carabiniere, nucleo operativo ecologico, capacità
investigativa e strumentazioni sofisticatissime. Per quaranta giorni e quaranta notti ha registrato le malefatte dell’Ilva,
comprese le «emissioni fuggitive»: quelle che non vengono convogliate
nelle ciminiere né risultano diffuse nei parchi minerali, per
manifestarsi invece dove non devono. «O l’impianto era rotto, oppure lo
hanno fatto apposta».
Stavolta Riva è davvero nei guai.
Lo inchiodano fotografie, dati, protocolli non rispettati, evidenti
tentativi di corruzione. In un filmato si vede un perito del tribunale
incontrare un dirigente Ilva, di notte, dietro un distributore di
benzina a ottanta chilometri dalla città. Un pm del pool ecologico:
«Ha preso e messo in tasca una busta bianca. Certo, magari era
un’indagine epidemiologica interna. E quel dirigente, la mattina, aveva
ritirato diecimila euro dalle casse aziendali per fare beneficenza».
Venerdì si riunisce il Tribunale del riesame,
e potrà revocare il sequestro solo se l’azienda dimostrerà di aver già
avviato la messa in sicurezza degli impianti. Difficile: l’ordinanza
ricorda ben quattro protocolli di intesa sottoscritti dall’Ilva, tra il
2004 e il 2006, e regolarmente disattesi.
«Basta leggere l’ultimo
- scrive il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco - per
rendersi conto della colossale presa in giro». Come potrà, il Riesame,
accordare fiducia a un imprenditore che si comporta da anni «come se il problema delle 680 tonnellate di polveri provenienti dai parchi non esistesse,
e così quello del benzo(a)pirene ed Ipa proveniente dalle cokerie, e
della diossina proveniente dall’agglomerato con l’avvelenamento e
l’abbattimento di oltre 2.170 animali...?». Un elenco impietoso, che
per la magistratura «dimostra la volontà di continuare pervicacemente in
un’attività criminale e pericolosa per la salute delle persone», e che
in questi giorni registra pure la distruzione coatta di venti tonnellate
di mitili: diossina, tanto per cambiare.
Difficile concedere una prova d’appello a Riva,
come hanno invocato il sindaco Stefàno, il governatore Vendola, i
sindacati, i partiti, persino il ministero dell’Ambiente che «dovrebbe
essere parte lesa», sono rimasti sbalorditi in Procura, «e costituirsi
parte civile, al processo, per chiedere i danni».
Corrado Clini ha
invece convenuto che certe prescrizioni sono «ridondanti rispetto
all’obiettivo del risanamento», altre «non fattibili»: e insomma c’è uno
schieramento trasversale, che va da Taranto a Roma a Genova (se
si bloccano gli altiforni saltano anche i posti di lavoro del ciclo a
freddo) che sta facendo pressioni enormi sulla magistratura.
Giovedì, alla vigilia della sentenza, gli operai sfileranno in città con
le mogli e i figli per mano, pagati come se fossero rimasti in
fabbrica. Due giorni fa il sindaco ha concordato, il particolare è
incredibile, l’occupazione del consiglio comunale da parte dei
dimostranti. Anzi, l’ha suggerita lui. Un’insurrezione comprensibile, considerando che sono in ballo almeno 15 mila posti di lavoro diretti e lo stesso ruolo dell’Italia tra i paesi produttori di acciaio.
«Tuttavia - si ragiona in Procura - l’idea che ci possa essere una trattativa con la magistratura è assolutamente sbagliata.
Le nostre controparti non sono i politici, sono gli imputati:
e qui nessuno sembra prendere in considerazione che Riva e l’Ilva
subiranno comunque un processo, al di là del sequestro, e che nulla
potrà più essere come prima».
I reati contestati vanno dal disastro ambientale alla violazione di mezzo codice penale:
avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni
pubblici, violazione delle norme sulla sicurezza, inquinamento di aria e
acqua… Se non c’è l’omicidio colposo «è solo perché mancano i nomi e i
cognomi da mettere in relazione accertata con la causa di morte».
I
pm del pool ecologico di Taranto sanno bene che ora comincia la partita
politica:
«Ma ci auguriamo che gli operai non vadano sul serio a
manifestare davanti al Tribunale del riesame, sarebbe uno smacco per
l’intera collettività». Figurarsi. Lo stesso governo nazionale, se non si spinge a suggerire il dissequestro tout court, «si augura» che ciò avvenga, e non spende una parola sul disastro ambientale e sanitario.
Spiega un magistrato del pool che «c’è un equivoco di fondo, e cioè che il diritto al lavoro sia uguale al diritto alla vita. Sbagliato. Tutti i diritti sono moderatamente comprimibili tranne quello, sostiene la Costituzione.
Altrimenti si arriverebbe a una contrattazione folle:
mille posti di lavoro, due morti all’anno. Diecimila posti, venti
morti. Inaccettabile». Non tutti la pensano così.
L’Ilva ha sempre
negato il problema.
Venerdì il riesame non riguarderà solo il sequestro
degli stabilimenti tarantini, ma un modello industriale e sociale
consolidato: potrebbe davvero succedere di tutto.
La
dottoressa Barbara Amurri lavora all'ospedale Moscati di Taranto e
racconta perché lavorare in questa città è la sua missione: "Qui muoiono
come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una
‘sistemazione’ all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. É la
dannazione di questa terra: il non pensare al futuro"
Comunicato stampa
La malapolitica a Taranto non ha protetto il suo territorio e la salute della collettività
In
questo momento deve prevalere il senso di responsabilità per dare un
futuro a tutti i lavoratori e per costruire assieme un'alternativa di
sviluppo ecosostenibile