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31 agosto 2020

Coronavirus: dagli spermatozoi è possibile individuare chi è più a rischio.

 Tratto da bimbisaniebelli

Coronavirus: dagli spermatozoi è possibile individuare chi è più a rischio

Potrebbe esserci un collegamento tra qualità degli spermatozoi, inquinamento e rischio di contrarre il Covid-19. Lo spiega un nuovo studio italiano
Coronavirus: dagli spermatozoi è possibile individuare chi è più a rischio

Il liquido seminale potrebbe permettere di prevedere il rischio di un uomo di ammalarsi a causa del coronavirus. Il legame tra la malattia e gli spermatozoi è stato evidenziato da uno studio italiano cui hanno lavorato ricercatori appartenenti a diverse istituzioni pubbliche (Asl Salerno, Università di Brescia, Varese, Napoli, centro HERA di Catania e ISPRA del Ministero dell’Ambiente).

Il collegamento tra Covid e inquinamento ambientale

Il team dei ricercatori ha esaminato il collegamento tra spermatozoi, coronavirus e inquinamento, concentrandosi in particolare sulla sovrapposizione sorprendente fra aree a maggiore tasso di mortalità al mondo per Covid-19, livelli di inquinamento atmosferico e declino della qualità del seme negli ultimi decenni. Secondo l’ipotesi dei ricercatori, la maggior vulnerabilità di una popolazione al coronavirus potrebbe essere valutata attraverso la qualità del seme maschile, rappresentante dello stato di salute() anche in relazione alle condizioni ambientali di un determinato territorio

Effetto amplificato dalla pessima qualità dell’aria

Il lavoro evidenza come la distribuzione dei contagi e soprattutto l’indice di mortalità, partendo da Wuhan in Cina, Corea del Sud, Iran, Nord Italia, ossia da tutti i centri dove è iniziata la diffusione e dove ha colpito con maggiore durezza, abbiano come dato comune la pessima qualità dell’aria. Quindi, temperatura, umidità, densità abitativa associati a fattori inquinanti rappresenterebbero elementi trainanti per la diffusione e l’impatto del coronavirus. In particolare gli inquinanti atmosferici sono in grado di esercitare attraverso stress ossidativo, infiammazione sistemica, squilibrio immunitario e coagulativo, un danno alle difese dell’organismo, favorendo l’impatto del Covid-19

Sentinelle della salute ambientale

Gli spermatozoi sono cellule particolarmente sensibili agli stress ambientali; le cellule spermatiche, per l’alta sensibilità proprio agli effetti pro-ossidanti degli inquinanti atmosferici, rappresentano quindi delle vere e proprie sentinelle della salute ambientale. Questo è più evidente nelle aree dove maggiore è la pressione ambientale e dove più alta è l’incidenza di infertilità e malattie cronico-degenerative. La valutazione della qualità seminale potrebbe quindi essere importante per la rilevazione precoce del rischio e indicatore ambientale e di salute generale oltre che per intervenire prontamente in aree con criticità ambientali al fine di ridurre i tassi di inquinamento.

27 agosto 2020

I l problema del Covid ci ha fatto dimenticare” l'importante guerra" contro il riscaldamento globale.

Tratto da Legambiente Forli’ Cesena 

 Il problema del Covid ci ha fatto dimenticare l'importante  "guerra" che l'uomo ha necessità di vincere ad ogni costo. Quella contro il riscaldamento globale. 

30 Giugno registrati 34 gradi nel limite settentrionale della Siberia, ben oltre il circolo polare artico, zona con una media climatica stagionale corretta di +4C°.  

Ripetiamolo lentamente + Trentaquattro gradi, roba da Sicilia d'agosto a due passi dal polo Nord. 

Ci si dovrebbe aprire i telegiornali per un mese.


26 agosto 2020

I bambini cresciuti in aree verdi hanno un quoziente intellettivo maggiore

Tratto da la nuova ecologia

I bambini cresciuti in aree verdi hanno un quoziente intellettivo maggiore: lo studio

Un incremento del 3% di verde urbano aumenta il QI di 2,6 punti. Più intelligenza, capacità mnemoniche e attenzione. A discapito dell’aggressività / 

Ormai è certo: crescere in un ambiente più verde aumenta l’intelligenza dei bambini. Lo dimostra uno studio effettuato in Belgio e pubblicato su Plos Medicine, in cui sono stati analizzati oltre 600 bambini di età compresa tra i 10 e i 15 anni. Un incremento del 3% di aree verdi nel quartiere di residenza ha aumentato il loro quoziente intellettivo mediamente di 2,6 punti. L’effetto è stato osservato sia nelle aree più ricche che in quelle più povere.

In letteratura scientifica, erano già presenti prove significative che gli spazi verdi migliorano vari aspetti dello sviluppo cognitivo dei bambini, ma questa è la prima ricerca che esamina direttamente il QI, coinvolgendo le capacità mnemoniche e l’attenzione. La causa è ancora incerta, ma la ragione può essere legata ai minori livelli di stress, alla maggiore quantità di gioco e contatto sociale o all’ambiente più tranquillo generalmente offerto dalle zone verdi.

Lo studio ha utilizzato immagini satellitari per misurare il livello di vegetazione nei quartieri, compresi parchi, giardini e alberi sulla strada. Nelle aree con bassi livelli di vegetazione, il 4% dei bambini ha avuto come risultato ai test un punteggio di QI inferiore a 80, a confronto di un punteggio medio di 105. Nelle aree con più vegetazione, invece, nessun bambino ha ottenuto un punteggio inferiore a 80.

Anche le difficoltà comportamentali, come la scarsa attenzione e l’aggressività, sono state misurate nei bambini utilizzando una scala di valutazione standard. In questo caso, un aumento del 3% di verde urbano ha portato a una riduzione di due punti dei problemi comportamentali.

I ricercatori hanno anche tenuto conto della ricchezza e dei livelli di istruzione delle famiglie, escludendo l’idea che quelle più ricche avessero un maggiore accesso agli spazi verdi. È inoltre noto che livelli più elevati di inquinamento dell’aria compromettono l’intelligenza e lo sviluppo cognitivo, ma anche questo fattore è stato escluso come spiegazione per il cambio di QI.

Gli esperti, psicologi ambientali e scienziati, hanno suggerito in definitiva che gli alti punteggi di QI erano favoriti dai livelli di rumore più bassi riscontrati nelle aree più verdi, dal minore stress e dalle maggiori opportunità di svolgere attività fisiche e sociali all’aperto. Questo studio potrebbe allontanare la tradizionale visione dell’intelligenza come caratteristica innata, facendoci avvicinare all’idea che può essere influenzata anche dall’ambiente in cui cresciamo.


Capacità ridotta di respirazione nei bambini per l'inquinamento atmosferico

Tratto da notizie scientifiche.it 

Capacità ridotta di respirazione nei bambini collegata a inquinamento atmosferico

Un livello di respirazione ridotto può essere collegato all’esposizione a lungo termine all’inquinamento dell’aria secondo un nuovo studio presentato al congresso della European Respiratory Society.
Si tratta di una nuova ricerca che sottolinea ancora una volta, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto l’inquinamento atmosferico possa rappresentare un problema grave per la salute, in particolare per quella dei bambini.
In particolare secondo Qi Zhao dell’IUF di Dusseldorf, stanno aumentando sempre di più le prove secondo le quali l’esposizione all’inquinamento atmosferico rappresenti una minaccia seria per la salute respiratoria in particolare dei bambini.Gli organi respiratori di questi ultimi, infatti, sono più vulnerabili in quanto i loro corpi sono ancora in fase di crescita. Il ricercatore, con i suoi colleghi, ha analizzato 915 bambini che vivono in due regioni della Germania. Ai bambini sono state fatte varie analisi nel corso del tempo fino a quando avevano 15 anni. Analizzando anche i dati relativi a quanta aria riuscivano a respirare al massimo tramite il loro respiro più profondo (capacità vitale forzata) e quanta aria riuscivano ad espirare in un secondo (volume espiratorio forzato), i ricercatori hanno scoperto un gruppo collocamento tra il livello di inquinamento atmosferico a cui venivano esposti i soggetti durante la loro crescita e le funzioni polmonari. L’impatto era ancora maggiore per quei bambini che soffrivano di asma.

Inoltre i risultati suggerivano anche un altro aspetto: i bambini allattati al seno sembravano avere danni minori dall’esposizione prolungata l’inquinamento atmosferico.

I nostri risultati suggeriscono che i bambini che crescono respirando aria inquinata, anche a livelli inferiori alle normative UE, hanno una respirazione più scarsa man mano che crescono in bambini e adulti. Questo è preoccupante perché ricerche precedenti suggeriscono che i danni ai polmoni nel primo anno di vita possono influire sulla salute respiratoria per tutta la vita”, spiega Zhao.
Secondo un’altra ricerca, anch’essa presentata allo stesso congresso, quelle persone, anche adulte, esposte all’inquinamento dell’aria, anche a livelli non alti, per periodi misurabili in decenni hanno probabilità maggiori di contrarre l’asma.
Il risultato di questo secondo studio, secondo Shuo Liu dell’Università di Copenhagen, l’autore, “suggerisce che non esiste una soglia sicura per l’inquinamento atmosferico”.

24 agosto 2020

GREENREPORT: Clima | Economia ecologica | Inquinamenti | Rifiuti e bonifiche Abbattere l’inquinamento atmosferico fa bene anche all’economia, non “solo” alla salute

Tratto  da Greenreport

Abbattere l’inquinamento atmosferico fa bene anche all’economia, non “solo” alla salute

Covid-19 e ambiente, Cnr: “Impatti economici negativi, ma anche positivi se gestiti” 


Abbattere l’inquinamento porta un significativo beneficio economico. È un dato – l’ultimo in ordine di tempo e in larga parte una conferma – che porta con sé l’emergenza Covid-19, emerso da uno articolo di approfondimento firmato da Francesca Gorini (Unità di Epidemiologia ambientale e registri di patologia, IFC CNR, Pisa) e Fabrizio Bianchi (Istituto Fisiologia Clinica Cnr – Pisa).

I due ricercatori osservano che “nell’ambito della crisi economica causata del Covid-19 non andrebbero trascurati gli impatti economici dell’inquinamento atmosferico. Infatti, sulla base di dati europei da misure satellitari dell’inquinamento e statistiche dell’attività economica regionale nell’Unione Europea nel periodo 2000-2015, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd) ha stimato che l’aumento di 1 μg/m3 della concentrazione di Pm2,5 provoca una riduzione dello 0,8% del Pil reale nello stesso anno”. E quindi “Il 95% dell’impatto è dovuto a riduzioni della produzione per lavoratore, causato da un maggiore assenteismo sul lavoro o da una riduzione della produttività del lavoro. I risultati pertanto suggeriscono che le politiche pubbliche per ridurre l’inquinamento atmosferico possono contribuire positivamente alla crescita economica”.

Se, infatti, tutti i “benefici” portati dal lockdown sono effimeri, come ad esempio la previsione degli esperti che le emissioni periodiche di gas serra potrebbero scendere a livelli mai registrati dalla Seconda Guerra Mondiale (Global Carbon Project, 2020).- non saranno tale se avremmo imparato la lezione.

Per questo è fondamentale – ricordano i due ricercatori del Cnr – una “presa di consapevolezza e di iniziativa sui rischi globali e sulle loro conseguenze che ri/ponga al centro il problema dei cambiamenti climatici. In questo contesto si inserisce ad esempio la recente campagna lanciata da Legambiente “La carovana dei ghiacciai” che stimola a “mettere in campo misure e politiche ambiziose sul clima per arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040, anziché al 2050 in linea con l’Accordo di Parigi, tema sul quale, purtroppo, non c’è ancora traccia nella discussione politica attuale del nostro Paese”. Il tema del clima è da tempo al centro della riflessione e dell’azione anche di Greenpeace, di Friday For Future e di molte altre associazioni e comitati impegnati a vari livelli. Sui grandi temi ambientali, si assiste dunque ad un progressivo consolidamento del legame tra scienza e cittadini più che tra scienza e stessi governi che la finanziano, per motivi comprensibili come quelli economici ma non per questo giustificabili”.

C’è poi un altro dato di grande interesse: l’aumento di acquisti online per la consegna a domicilio – come spiegano i ricercatori del Cnr – ha generato un ampio incremento dei rifiuti organici e inorganici, ed al contempo è stato registrato anche un aumento dei rifiuti sanitari. Basti pensare – proseguono – che gli ospedali di Wuhan hanno prodotto una media di 240 tonnellate di rifiuti sanitari al giorno durante l’epidemia, rispetto alla loro media precedente inferiore alle 50 tonnellate. In altri paesi come gli Stati Uniti, c’è stato un largo aumento di rifiuti derivati da dispositivi di protezione individuale come maschere e guanti (Calma, 2020) mentre sono stati interrotti i programmi di riciclo dei rifiuti in alcune città americane, per la preoccupazione sul rischio di diffusione del Covid-19 nei centri di riciclaggio.

In Italia, aggiungiamo noi, le cose non sono andate meglio: solo di guanti e mascherine secondo l’Ispradall’inizio dell’emergenza fino alla fine dell’anno ne useremo fino a 450mila tonnellate. In Europa complessivamente la raccolta differenziata dei rifiuti è stata limitata e sempre l’Italia ha vietato ai residenti colpiti dall’infezione di smistare i propri rifiuti. Nello stesso periodo l’industria ha colto l’opportunità di abrogare i divieti di buste di plastica usa e getta, per quanto la plastica monouso possa ancora ospitare virus e batteri (Bir, 2020).

Quindi, se tra gli effetti indiretti che il nuovo coronavirus ha prodotto sull’ambiente, vi sono principalmente la riduzione dell’inquinamento atmosferico e acustico, – aggiungono Groini e Bianchi – vi sono altresì effetti negativi correlati all’aumento dei rifiuti domestici e sanitari (Zambrano-Monserrate et al, 2020). I rifiuti sanitari come maschere, guanti, farmaci usati o scaduti e possono essere facilmente mescolati con i rifiuti domestici mentre, al contrario, dovrebbero essere trattati come rifiuti pericolosi e smaltiti separatamente oltre a dover essere raccolti da operatori municipali specializzati o operatori di gestione dei rifiuti (UN Environment Programme, 2020). Lo stesso programma ambientale delle Nazioni Unite ha esortato i governi a trattare la gestione dei rifiuti come servizio pubblico urgente ed essenziale per ridurre al minimo le possibili conseguenze sanitarie e ambientali (ACRplus, 2020).

Ed ecco la conclusione: “Il Covid-19 produrrà effetti indiretti sia positivi che negativi sull’ambiente, con portata differenziata per tempo e modalità di accumulazione e stabilità, che rendono complessa la valutazione, perché impatti minori sul breve periodo potrebbero essere più seri a lungo termine e viceversa. Restano comunque gli imperativi di sanità pubblica ormai consolidati sulla base delle prove scientifiche: diminuire l’esposizione attuale delle popolazioni per proteggere la salute oggi e domani, anche da esacerbazione delle conseguenze di pandemie, come quella che stiamo vivendo, pur essendo consapevoli che tali riduzioni potrebbero non essere sufficienti ad incidere significativamente sui cambiamenti climatici in atto, ma sono comunque irrinunciabili. Per contro, la crisi pandemica causerà altri impatti sull’ambiente che possono durare più a lungo e si presentano di difficile risoluzione se non opportunamente gestiti da subito e affrontati in modo programmatico dai governi”.

21 agosto 2020

Gruppo d’ Intervento Giuridico:5G, l’Unione europea “dimentica il principio di precauzione”

Tratto da Il Cambiamento

Gruppo d'Intervento Giuridico: «5G, l’Unione europea “dimentica” il principio di precauzione»

La onlus Gruppo d'Intervento Giuridico interviene sulle normative che si stanno adottando in materia di tecnologia 5G a livello europeo e italiano e denuncia: «L’Unione europea “dimentica” il principio di precauzione.

Gruppo d'Intervento Giuridico: «5G, l’Unione europea “dimentica” il principio di precauzione»

La onlus Gruppo d'Intervento Giuridico interviene sulle normative che si stanno adottando in materia di tecnologia 5Ga livello europeo e italiano e denuncia: «L’Unione europea “dimentica” il principio di precauzione».

«Il riconoscimento del principio di precauzione in materia ambientale è una delle più rilevanti conquiste nel campo del diritto ambientale per migliorare la qualità della vita e del territorio, nonché della conservazione degli ambienti e delle risorse naturali - spiega Stefano Deliperi a nome della onlus - L’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) afferma che la politica dell'Unione in materia ambientale … è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga"».

«Per gli Stati membri “le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione” - prosegue Deliperi - Gli Stati membri, fra cui l’Italia, hanno, quindi, la facoltà di adottare misure cautelari per la salvaguardia di ambiente e salute. In Italia il principio di precauzione è analogamente codificato dall’articolo 3 ter del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. (Codice dell’ambiente). E’ il caso, senza dubbio, della tecnologia 5G, complesso di sistemi di telefonìa mobile e cellulare di avanzata efficienza e velocità, con applicazioni potenzialmente estesissime».

Ma quali sono gli effetti su ambiente e salute?

«Da un lato, rispetto alle tecnologie precedenti, la rete 5G si caratterizza per la gestione a fasci di onde EM molto più direzionali e dedicate al singolo utilizzatore - scrive Deliperi per il GII -  A causa dei fasci rapidamente variabili, l'esposizione media a segnali 5G appare molto più bassa rispetto a quella che si avrebbe per analoghi segnali di tipo 4G, ma si verificano valori di picco più elevati in brevi periodi temporali (inferiori a 6 minuti) "direzionati" sugli utenti del servizio, come indicato dall’A.R.P.A. Piemonte (La tecnologia 5 G, 4 giugno 2020). Sia l’Istituto Superiore di Sanità (Rapporto ISTISAN 19/11, 2019) che il Comitato scientifico della Commissione Europea su salute, ambiente e rischi emergenti (Rapporto Statement on emerging health and environmental issues, 2018) ritengono che siano necessari approfondimenti per “la mancanza di chiare evidenze utili allo sviluppo di linee guida per l'esposizione ai campi elettromagnetici 5G che lascia aperta la possibilità di effetti biologici indesiderati”. Si chiede, quindi, l’applicazione del sacrosanto principio di precauzione».

«Invece, la Commissione europea si è disinvoltamente dimenticata (per non dire altro) del principio di precauzione - prosegue Deliperi - in applicazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, il Regolamento di esecuzione (UE) 2020/1070 della Commissione del 20 luglio 2020 consente ai gestori delle reti con tecnologia 5G l’attivazione di “punti di accesso senza fili di portata limitata” senza alcuna autorizzazione preventiva, ma solo con un obbligo di successiva comunicazione. La politica europea concernente l’applicazione della tecnologia 5G (Comunicazione della Commissione al parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Dispiegamento del 5G sicuro - Attuazione del pacchetto di strumenti dell'UE, 29 gennaio 2020) rappresenta un chiaro esempio di aggiramento del principio di precauzione in materia ambientale. Prima si inizia ad attuare, poi si vedranno gli effetti su ambiente e salute pubblica».

E l’Italia?

«La delibera AGCOM n. 231/18/CONS dell'8 maggio 2018 indica i 120 Comuni italiani di media/piccola grandezza interessati dalla sperimentazione della tecnologia 5 G, a cui si aggiungono 5 città (Milano, Bari, Prato, L’Aquila, Matera) in base a un bando nazionale e Torino, che fin dal 2016 aveva stipulato uno specifico accordo con una società di gestione telefonica - prosegue la onlus - Il decreto-legge “Semplificazioni”, del 16 luglio 2020 n. 76, “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, prevede (art. 38) che i Comuni "non potranno introdurre limitazioni alla localizzazione sul proprio territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualunque tipologia e non potranno fissare limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici diversi rispetto a quelli stabiliti dallo Stato". Stop, quindi, alle ordinanze comunali contro la sperimentazione della tecnologia 5G, giunte a circa 500».

«Però il Governo Conte non ha minimamente pensato a introdurre quelle necessarie cautele previste dalla stessa normativa comunitaria e nazionale per dar corpo al principio di precauzione in assenza di una qualche certezza (o almeno elevata probabilità) di assenza di effetti negativi per la salute pubblica. Nulla - si legge ancora nella nota della onlus - E, così, in maniera strisciante la tecnologia 5G inizia ad avere esecuzione nelle nostre città. A Carrara, per esempio, nonostante le ripetute assicurazioni dei mesi scorsi. Insomma, la situazione ambientale e sanitaria potrebbe anche divenire preoccupante, ma non diventerebbe mai seria».

20 agosto 2020

ISDE: MANIFESTAZIONE NAZIONALE #STOP5G Sabato 12 settembre 2020

Manifestazione nazionale #stop 5g

Settembre 12 @ 15:00 - 19:00

Dettagli 

Data: 
Settembre 12 
Ora: 
15:00 - 19:00
Categoria Evento:
Tag Evento:

Luogo 

Piazza del Popolo 
Roma, Italia

Ansa:con smog e polveri sottili bambini a rischio asma.

Tratto da Ansa 

Con smog e polveri sottili bambini a rischio asma.

Più di frequente in chi vive in aree molto inquinate


(ANSA) - ROMA, 20 AGO - Inquinamento e polveri sottili possono favorire l'insorgenza di asma e dispnea (un problema respiratorio temporaneo o cronico) nei bambini. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista British Medical Journal e condotto da Torben Sigsgaard, dell'Università di Aarhus in Danimarca.
    Gli esperti hanno osservato per molti anni un campione di oltre 3 milioni di bambini nati tra 1997 e 2014 e registrato tutte le diagnosi di asma e dispnea persistente eseguite dalle età di 1 anno fino a 15 anni.
    Nel corso del periodo di osservazione sono stati segnalati in tutto 122.842 bambini con asma o dispnea. Gli esperti hanno analizzato i livelli di inquinamento nelle rispettive zone di residenza. Inoltre hanno tenuto conto di tutti i fattori di rischio noti per asma e dispnea (ad esempio il fumo di sigaretta da parte della mamma in gravidanza, un basso livello di istruzione dei genitori e presenza di asma in famiglia).
    Ebbene, è emerso che pur considerando tutti i fattori di rischio noti, asma e dispnea vengono diagnosticati più di frequente tra i bambini che vivono in aree molto inquinate, specie per presenza di polveri sottili (il particolato fine di diametro di 2,5 nanometri o inferiori). Secondo gli esperti questo studio indica che se si adottassero politiche di riduzione degli inquinanti ambientali, si riuscirebbe a ridurre la frequenza di nuovi casi di asma in età pediatrica. (ANSA).

18 agosto 2020

Sentenza del Consiglio di Stato : la variante generale può bloccare l’autorizzazione ad un impianto di rifiuti

 Tratto da Note di Marco Grondacci

Consiglio di Stato : la variante generale può bloccare l’autorizzazione ad un impianto di rifiuti

Il Consiglio di Stato,  sentenza n° 4991 pubblicata oggi 10 agosto 2020  QUI, ha confermato un precedente indirizzo  (QUI)  sul potere di pianificazione comunale prevalente a determinate condizioni di adeguata motivazione sulle autorizzazioni agli impianti di gestione rifiuti comprese le modifiche agli impianti esistenti.
In particolare la nuova sentenza riconosce il diritto del Comune di opporsi, in conferenza dei servizi, alla autorizzazioneall’aumento delle quantità e qualità dei rifiuti trattati in un impianto esistente in quanto con variante generale al piano urbanistico comunale aveva variato la destinazione urbanistica della zona interessante a residenziale. 
Vediamo le specifiche motivazioni della sentenza

Nel caso qui esaminato la Provincia aveva autorizzato la modifica dell’impianto esistente con provvedimento avente per oggetto approvazione progetto ed autorizzazione alla realizzazione di un impianto per il recupero di rifiuti non pericolosi” e con effetto di variante urbanistica automatica

Intanto una prima affermazione significativa della sentenza del Consiglio di Stato è che la modifica della quantità dei rifiuti trattati non consiste in “un mero ‘aggiornamento’ dell’autorizzazione pregressa, quanto piuttosto di un suo effettivo adeguamento rispetto alle esigenze aziendali

Il Comune in Conferenza dei Servizi ha espresso il proprio dissenso al rilascio dell’autorizzazione in variante, perché ciò avrebbe contrastato con la propria precedente determinazione pianificatoria e programmatoria sull’utilizzo di quella specifica area, dove si era:  “preso atto dell’attività di gestione rifiuti ivi esistente e della necessità di provvedere al suo trasferimento, con il cambio di destinazione urbanistica della zona in agricolo residenziale e mediante l’individuazione di un lotto libero ad uso residenziale coincidente con il sedime dell’opificio”.

Il Consiglio di Stato pur ricordando che il comma 6 articolo 208 del DLgs 152/2006 afferma che l’approvazione del progetto: “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”, ha altresì rilevato che il comma 3 del medesimo articolo precisa invece che: "la decisione della conferenza dei servizi è assunta a maggioranza e le relative determinazioni devono fornire una adeguata motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza".Continua qui

17 agosto 2020

Clima, perché bisogna spegnere le centrali a fonti fossili con 10-30 anni di anticipo

Tratto da: Redazione QualEnergia.it

Clima, perché bisogna spegnere le centrali a fonti fossili con 10-30 anni di anticipo

Bisognerà più che dimezzare la vita utile delle centrali termoelettriche se si vogliono centrare i target di riduzione delle emissioni. Lo spiega un recente studio.

Le centrali a carbone e a gas dovrebbero chiudere da 10 a 30 anni prima della scadenza rispetto alla loro abituale vita utile di 35 o 40 anni, in modo da poter raggiungere gli obiettivi climatici.

Lo ha indicato uno studio pubblicato sul Journal de l’Environnement (link in basso) che afferma come tutti gli scenari climatici convergano sulla stessa conclusione: per rimanere sotto l’obiettivo di un aumento di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o anche a +1,5 °C, le emissioni di gas serra nel mondo dovranno diminuire rapidamente, per raggiungere la neutralità del carbonio entro la metà del secolo.

Se sulla carta le cose potrebbero sembrare semplici, la realtà è molto diversa. Le centrali elettriche a carbone e a gas, infatti, hanno una durata media di vitarispettivamente di 39 e 36 anni.

Ciò significa che, a meno che non ci si basi sempre più su delle loro ipotetiche emissioni negative, grazie a soluzioni come il sequestro del carbonio, che però al momento non garantiscono le indispensabili economie di scala, sarà necessario dismettere in anticipo molte centrali a energie fossili.

Il surplus di emissioni che si verificherebbe se le centrali termoelettriche non venissero chiuse anticipatamente sarebbe particolarmente pronunciato in Cina, dove si trova la metà delle centrali a carbone esistenti al mondo, la maggior parte delle quali ha meno di 15 anni di vita.

Se le centrali termoelettriche negli Stati Uniti dovessero rimanere attive per tutta la loro normale attesa di vita, il loro surplus di emissioni sarebbe inferiore del 26% rispetto a quello della Cina, mentre in Europa occidentale sarebbe inferiore dell’87%, data la minore presenza di centrali termoelettriche e la loro età più avanzata.

Secondo i ricercatori, gli studi sul riscaldamento globale fanno fatica a tenere conto dell’inerzia del settore energetico, che finisce per “blindare” le emissioni a livelli elevati.

Riorientare migliaia di miliardi di dollari di capitale privato dopo che le centrali elettriche hanno raggiunto solo un quarto della loro attesa di vita porrà enormi sfide politiche ed economiche“, hanno avvertito i ricercatori.

  • Lo studio “Early retirement of power plants in climate mitigation scenarios Le centrali a carbone e a gas dovrebbero chiudere da 10 a 30 anni prima della scadenza rispetto alla loro abituale vita utile di 35 o 40 anni, in modo da poter raggiungere gli obiettivi climatici.

    Lo ha indicato uno studio pubblicato sul Journal de l’Environnement (link in basso) che afferma come tutti gli scenari climatici convergano sulla stessa conclusione: per rimanere sotto l’obiettivo di un aumento di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o anche a +1,5 °C, le emissioni di gas serra nel mondo dovranno diminuire rapidamente, per raggiungere la neutralità del carbonio entro la metà del secolo.

    Se sulla carta le cose potrebbero sembrare semplici, la realtà è molto diversa. Le centrali elettriche a carbone e a gas, infatti, hanno una durata media di vitarispettivamente di 39 e 36 anni.

    Ciò significa che, a meno che non ci si basi sempre più su delle loro ipotetiche emissioni negative, grazie a soluzioni come il sequestro del carbonio, che però al momento non garantiscono le indispensabili economie di scala, sarà necessario dismettere in anticipo molte centrali a energie fossili.

    Il surplus di emissioni che si verificherebbe se le centrali termoelettriche non venissero chiuse anticipatamente sarebbe particolarmente pronunciato in Cina, dove si trova la metà delle centrali a carbone esistenti al mondo, la maggior parte delle quali ha meno di 15 anni di vita.

    Se le centrali termoelettriche negli Stati Uniti dovessero rimanere attive per tutta la loro normale attesa di vita, il loro surplus di emissioni sarebbe inferiore del 26% rispetto a quello della Cina, mentre in Europa occidentale sarebbe inferiore dell’87%, data la minore presenza di centrali termoelettriche e la loro età più avanzata.

    Secondo i ricercatori, gli studi sul riscaldamento globale fanno fatica a tenere conto dell’inerzia del settore energetico, che finisce per “blindare” le emissioni a livelli elevati.

    Riorientare migliaia di miliardi di dollari di capitale privato dopo che le centrali elettriche hanno raggiunto solo un quarto della loro attesa di vita porrà enormi sfide politiche ed economiche“, hanno avvertito i ricercatori.

14 agosto 2020

Ambiente e salute : buone pratiche per la salute e l’ ambiente di Ernesto Burgio

Tratto da ISDE Italia 

La monografia “AMBIENTE E SALUTE. Inquinamento, interferenze sul genoma umano e rischi per la salute”, a cura di Ernesto Burgio, pubblicata dall’Ordine dei Medici di Arezzo, tratta una tematica rivoluzionaria in ambito biomedico che si ispira ad un’idea originaria di Lorenzo Tomatis e che ISDE Italia ha fatto propria.

Per visionarla clicca qui.

 

07 agosto 2020

DECRETO SEMPLIFICAZIONI : COSI’ SONO DEVASTAZIONI

Tratto da Peacelink  

Decreto Semplificazioni, così sono Devastazioni

Dossier di 160 associazioni (tra cui PeaceLink) e comitati nazionali e locali da tutta Italia "È attacco a partecipazione dei cittadini, V.I.A., clima e bonifiche da Taranto a Gela, da Mantova a Bussi, da Brindisi a Venezia e decine di altri siti"
28 luglio 2020

Appello ai parlamentari, ecco 34 proposte emendative per migliorare concretamente le procedure e renderle efficaci ed efficienti per tutelare la salute dei cittadini e l'ambiente.

Qui il dossier completo:

QUI LE PROPOSTE EMENDATIVE

Bussi, la vera giustizia è la bonifica

"Il DL Semplificazioni contiene norme che ritardano o addirittura annullano le bonifiche dei siti inquinati, dimezzano i tempi già oggi molto risicati per la partecipazione dei cittadini nelle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale, favoriscono le opere "fossili" in piena emergenza climatica, moltiplicano le poltrone con l'istituzione di una seconda commissione VIA nazionale": 160 associazioni e comitati di livello nazionale, interregionale e locale da 18 regioni hanno inviato a tutti i parlamentari un corposo dossier dal titolo "Decreto Semplificazioni, così sono devastazioni" con l'analisi "comma per comma" e 34 proposte di emendamento del Decreto Legge "Semplificazioni" varato alcuni giorni fa dal Governo e ora approdato in Senato per l'avvio dell'iter di conversione in legge.

Clima

Sotto il paradossale ma accattivante titolo "Semplificazioni in materia di green economy" il Dl Semplificazioni introduce norme che favoriscono le opere "fossili" come i nuovi gasdotti. Ad esempio gli articoli che fanno venire meno i diritti, costituzionalmente protetti, degli usi civici. Si semplificano anche i rifacimenti; essendo la vita tecnica media di un gasdotto di 50 anni, vuol dire ipotecare il futuro visto che nel 2070 evidentemente dovremo usare ancora le fossili alla faccia dei cambiamenti climatici. 

Valutazioni Ambientali

Invece di scommettere sulla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, si tagliano pesantemente i termini per poter presentare osservazioni ai progetti sottoposti a Valutazione di Impatto Ambientale per il loro potenziale impatto sulla salute e sull'ambiente di intere comunità. Prima del decreto se un'azienda avesse voluto realizzare una raffineria o un pozzo di petrolio i cittadini avrebbero avuto 60 giorni di tempo per accorgersi dell'esistenza del progetto, esaminare la documentazione costituita da centinaia di elaborati tecnici di migliaia di pagine e scrivere le osservazioni. Tempi già molto risicati.

Se il Parlamento confermerà il testo varato dal Governo, i tempi saranno addirittura dimezzati, scendendo a soli 30 giorni, assolutamente insufficienti per i volontari per difendere i propri diritti in considerazione dell'impatto che queste opere possono avere sulla qualità della loro vita. Per le procedure regionali, che riguardano cave, discariche, impianti chimici ecc si scende da 60 giorni a 45, con il paradosso che per progetti di carattere regionale si avrà più tempo rispetto ai progetti di potenziale impatto nazionale. Questo la dice lunga su chi si intende favorire e, cioè, le grandi imprese nazionali e multinazionali.

Questi i nuovi termini:

-nella verifica di Assoggettabilità a V.I.A. da 45 giorni a 30;

-nella V.I.A. "normale" restano 60.

-nella V.I.A. nazionale tramite conferenza dei servizi simultanea, procedura che il Governo vuole espressamente favorire, da 60 a 30 giorni;

-nella V.I.A. regionale si passa da 60 a 45 giorni.

Interessante notare che si preferisce colpire i diritti dei cittadini e non i dirigenti inefficienti. Il vero problema della V.I.A. nazionale sono i 30 giorni da togliere alle associazioni per esaminare i progetti oppure la burocrazia ministeriale che tiene le carte ferme nei cassetti per anni? Come mai non vi è alcuna norma che attacchi i dirigenti su merito e responsabilità? Eppure basta andare sul sito del Ministero e prendere un qualsiasi progetto per verificare dove sono i tempi morti.

Diversi codicilli, poi, erodono in molteplici casi l'efficacia della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, dalla realizzazione delle indagini archeologiche che potrà essere fatta "a posteriori", quando la Direttiva comunitaria impone di accertare preventivamente proprio con la VIA l'impatto sul patrimonio culturale, ai rifacimenti di impianti, al potenziamento delle opere stradali, ferroviarie e idriche esistenti.

Nel Decreto sono state introdotte norme che eludono la direttiva comunitaria sulla Valutazione Ambientale Strategica, in particolare per le opere in variante ai piani già approvati: ci chiediamo a questo punto perché produrre piani se poi si possono fare tranquillamente deroghe "in automatico". 

Paradossalmente, le "semplificazioni" portano alla moltiplicazione dei possibili percorsi amministrativi di valutazione, come ad esempio quello aggiuntivo confezionato per le opere del PNIEC (il Piano Clima - Energia che a dispetto degli slogan è basato su opere fossili come gasdotti e centrali a metano) e alla moltiplicazione delle "poltrone" con il varo di una seconda commissione V.I.A. che affiancherà quella già esistente, per la cui nomina ci sono voluti oltre due anni.

Insomma, tutte norme che cercano di rendere la procedura di V.I.A. un mero orpello, un timbro in più da mettere quanto più velocemente sui progetti, svuotandola del suo significato originario fissato dalla Direttiva comunitaria che la istituisce: la valutazione dei reali impatti su salute dei cittadini e ambiente dei progetti.

Bonifiche

Con l’articolo 53 comma 4 quater può, nei fatti, venire addirittura meno la bonifica delle acque sotterraneeuna vera e propria emergenza del paese con le falde contaminate da sostanze tossiche o cancerogene con concentrazioni spesso decine di migliaia di volte superiore ai limiti di legge. La norma prevede infatti per le aziende responsabili di poter ottenere il certificato di avvenuta bonifica anche per il solo suolo qualora si dimostri che l'acqua inquinata non lo influenzicon contestuale svincolo delle garanzie finanziarie che gli inquinatori devono versare per assicurare che le attività di ripristino siano effettivamente svolte anche in caso, ad esempio, di fallimento dell’azienda

Tolta pure la deterrenza economica diventa utana libera tutti per i grandi inquinatori delle acque sotterraneeun vero e proprio incentivo a non bonificare che, tra l'altro, varrà per i grandi gruppi che hanno inquinato, visto che si applica solo ai Siti Nazionali di Bonifica e non già agli altri siti contaminati "normali". Un vero e proprio paradosso, insieme agli ulteriori passaggi degli articoli in cui, richiamando esclusivamente l'applicazione del solo articolo 242, quello relativo alle procedure ordinarie, si esclude per i Siti Nazionali di Bonifica l'applicazione delle procedure semplificate introdotte nel 2014 con l'art.242bis proprio per velocizzare le bonifiche ripulendo tutto senza ricorrere all'analisi di rischio che porta lungaggini e bonifiche più blande (ma meno costose!).

Per quanto riguarda i Siti di Interesse Nazionale per le Bonifiche, cioè le aree più inquinate del paese non si procederà più, come si fa oggi, direttamente alla caratterizzazione delle aree - ossia il delicato e stringente processo di ricostruzione della contaminazione avvenuta - dando per scontato che per i terreni e le acque sotterranee dell'Ilva a Taranto, di Bussi, di Gela, di Falconara e di decine di altri siti devono essere prese precauzioni molto più stringenti all'altezza dei problemi. Con l'art. 53, invece, si rende possibile agli inquinatori di partire presentando invece della caratterizzazione una più semplice e blanda "indagine preliminare", come avviene per un sospetto di inquinamento in qualsiasi altra area del paese. Come se una raffineria fosse una pompa di carburante, insomma!

Si aggiungono così ulteriori lungaggini e un passaggio burocratico in più, con un Ministero dell'Ambiente che è già vergognosamente indietro con le procedure per bonificare questi luoghi. Il ruolo del Ministero sempre di più ci sembra quello dello stopper delle bonifiche, con risparmi miliardari alle aziende che hanno inquinato. Anche in questo caso, invece di chiedere conto ai dirigenti e alle aziende per i ritardi si scarica tutto sui cittadini e sulla loro salute. 

Il DL andrà ora in Parlamento per la conversione in legge. Abbiamo preparato 34 emendamenti per confermare il nostro approccio propositivo, sia per abrogare gli articoli e i commi che sono veri e propri regali agli inquinatori sia per suggerire l'introduzione di norme, alcune delle quali già operanti da anni in alcune regioni, che rendano le procedure di bonifica e di valutazione ambientale realmente efficaci ed efficienti e che rafforzino la cooperazione tra i diversi livelli dello Stato. La partecipazione dei cittadini, la trasparenza e la tutela della salute sono i capisaldi; se il DL rimarrà invariato troveranno pronti alla mobilitazione le realtà firmatarie di questo comunicato per difendere territori e cittadini. 

Info: segreteriah2oabruzzo@gmail.com

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