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29 luglio 2017

Greenreport :Il cambiamento climatico minaccia per la produzione europea di elettricità

Tratto da Greenreport

Il cambiamento climatico minaccia per la produzione europea di elettricità

Italia tra le aree più a rischio, con Mediterraneo, Reno, Bulgaria e Polonia

«La vulnerabilità del settore elettrico europeo ai cambiamenti nelle risorse idriche è destinata a peggiorare entro il 2030 in conseguenza del cambiamento climatico». E’ la conclusione a cui giunge un team di ricercatori olandesi delle università di Leiden, Wageningen, L’Aja con lo  studio “Climate change and the vulnerability of electricity generation to water stress in the European Union”, pubblicato su Nature Energy.
Le centrali termoelettriche, comprese quelle a carbone, gas e nucleari, utilizzano grandi quantità di acqua dolce per il raffreddamento. Una grande centrale a gas può utilizzare in un minuto la quantità di acqua contenuta in una piscina olimpionica e se l’acqua non è  disponibile o è troppo calda le centrali elettriche devono ridurre la produzione di elettricità o cessarla completamente.
Negli ultimi anni l’Europa ha affrontato ondate di caldo e siccità sempre più intense che hanno avuto forti impatti  sui sistemi elettrici. All’università di Leiden  spiegano che «Se una centrale cessa la produzione, questo può essere compensato dall’aumento della produzione di centrali elettriche meno vulnerabili, o dall’energia prodotta da fonti rinnovabili. Ma in periodi prolungati di siccità questo meccanismo di compensazione non è sufficiente, causando interruzioni di energia e blackout». Il team di ricerca olandese, guidato da Paul Behrens dell’università di Leiden, ha analizzato oltre 1.326  centrali elettriche che prelevano acqua da 818 differenti bacini idrici e ha dimostrato che «Il numero di regioni con una rete elettrica vulnerabile a causa della disponibilità dell’acqua aumenterà notevolmente entro il 2030», passando da 47 bacini a 54 bacini tra il 2014 e il 2030. Ma, nonostante gli impegni climatici e la diminuzione di prelievi idrici per produrre energia, la politica e l’industria energetica non sembrano rendersene conto, visto che è prevista la costruzione di  molte nuove centrali elettriche vicino a corpi idrici già sotto pressione.  Lo  studio ha dimostrato che in futuro le aree a rischio si trovano principalmente nella regione mediterranea: Spagna, Italia, Francia meridionale e Grecia.  Ma anche le aree lungo il Reno in Germania, la Bulgaria e la Polonia dovranno  affrontare una crescente pressione della carenza di acqua  sulla produzione di elettricità.
Behrens conclude: «Ci sono i modi per affrontare queste carenze. La nostra ricerca dimostra che il raffreddamento con acqua di mare può ridurre significativamente i problemi sulla costa mediterranea. Ma costerà di più perché sono necessari investimenti per equipaggiare gli impianti per utilizzare  l’acqua salata. Se vogliamo ridurre l’uso dell’acqua di raffreddamento in tutta l’Ue,   dovremo chiudere le centrali elettriche vecchie e inefficienti e sostituirle con fonti rinnovabili, come l’eolico  e l’energia solare. Questo contribuirà a ridurre la dipendenza dall’acqua dell’approvvigionamento elettrico e ci aiuterà anche a raggiungere i nostri obiettivi climatici».

28 luglio 2017

Qualenergia;Eliminare i sussidi alle fossili salverebbe in Italia 3.200 vite ogni anno

Tratto da Qualenergia 

Eliminare i sussidi alle fossili salverebbe in Italia 3.200 vite ogni anno

I cittadini stanno pagano quindi due volte: per le sovvenzioni, elargite con denaro pubblico, e per il danno arrecato alla loro salute.

L'eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili in Italia potrebbe ridurre del 10,8% le morti attualmente causate dall'inquinamento atmosferico.
È quanto emerge dal nuovo rapporto Hidden Price Tags: come la fine dei sussidi per le fonti fossili beneficerebbe la nostra salute(allegato in basso), pubblicato dall’Health and Environment Alliance (HEAL).
La combustione dei combustibili fossili, petrolio, carbone e gas, sta determinando non solo il cambiamento climatico con conseguenze disastrose a livello planetario, ma ha anche notevoli ripercussioni sulla nostra salute.
Ogni anno l'uso di fonti fossili accorcia la vita di circa 6,5 milioni di persone in tutto il mondo a causa di infezioni respiratorie, ictus, attacchi cardiaci, cancro ai polmoni e malattie polmonari croniche.
Secondo l'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), è la generazione di energia a carbone che provoca quasi la metà dell'inquinamento atmosferico ambientale; mentre la restante metà è attribuita a petrolio e gas.
Nonostante una crescente consapevolezza del danno ambientale e climatico causato dai combustibili fossili e degli impegni di alto livello necessari per guidare il mondo verso un percorso di decarbonizzazione, i governi continuano a erogare miliardi di fondi pubblici per sostenere la produzione di petrolio, gas e carbone (inclusi anche i sussidi al diesel).
Eppure già nel 2009, a Pittsburgh, i leader del G20, i venti paesi economicamente più potenti del mondo avevano accettato di porre fine alle sovvenzioni per i combustibili fossili e si erano impegnati a ridurli gradualmente, fino a eliminarli (QualEnergia.it, G20, sussidi pubblici alle fossili battono quelli per le rinnovabili 4 a 1).
In Italia nel 2013 erano 29.482 le morti premature attribuite all’inquinamento atmosferico (fonte: Narain, U. et al. - 2016. The cost of air pollution: Strengthening the case for economic action. A World Bank/Institute for Health Metrics and Evaluation report). Ridurre del 10,8% i decessi connessi all’inquinamento atmosferico significa quindi salvare quasi di 3.200 vite.
Ma il danno è anche di natura economica: la stima del costo sanitario legato alle fossili si aggira intorno ai 10 miliardi di dollari all’anno.

Ciò significa 2,8 volte rispetto ai 3,5 miliardi di $ spesi dallo Stato sotto forma di incentivi alle fossili nel 2014 (ultimo dato disponibile).
Sussidi che peraltro potevano essere utilizzati per altri scopi, dalla riconversione energetica dei nostri edifici pubblici e privati alla manutenzione del fragile paesaggio italiano, fino ad investire per migliorare le prestazioni sanitarie.
A livello internazionale però la situazione non è migliore. In Europa, dove i costi sanitari legati all’uso dei fossili sono stimati in quasi 300 miliardi di dollari, l’Italia è seconda alla Germania per morti collegate all’inquinamento atmosferico: 41.485 decessi e il 25% di questi si potrebbe evitare solo eliminando i sussidi e mettendo delle tasse correttive a carbone, gas e petrolio.
Nel Regno Unito i costi sanitari derivanti dall'inquinamento atmosferico con combustibile fossile sono quasi 5 volte superiori alle sovvenzioni pagate.
In Cina, le cifre sono ovviamente molte più alte: la stima è di 1.625.164 morti connesse all’inquinamento atmosferico; di queste, il 66% potrebbero essere evitate con un taglio totale ai sussidi alle fonte sporche. La perdita economica nel paese asiatico è stato calcolata in 1.785,4 miliardi di dollari, a fronte di 96,5 miliardi di $ sussidi: un danno di circa 19 volte la spesa iniziale per le sovvenzioni alle fonti fossili.
Solo i governi dei G20 hanno versato nel 2014 circa 444 miliardi di dollari in sovvenzioni pubbliche alle società di combustibili fossili, mentre l'utilizzo di combustibili fossili ha determinato costi sanitari stimati di almeno sei volte questo importo: 2.760 miliardi di dollari (2,6 mld di euro).
Nella tabella le stime rilevate dal rapporto di HEAL per i paesi del G20 (nell’ultima colonna le altre esternalità negative legate alle fonti fossili).

La questione è dunque pressante e attuale e i politici devono ancora passare dalle parole alle azioni. Le nazioni del G20 continuano a spendere preziosi soldi pubblici per la produzione di fonti fossili, ma persino per cercare nuovi giacimenti.
I cittadini stanno pagano quindi due volte: per le sovvenzioni, elargite con denaro pubblico, e per il danno arrecato alla loro salute.

26 luglio 2017

Brindisi Report :“Petrolchimico, malattie e decessi conseguenza dell’inquinamento”

“Petrolchimico, malattie e decessi conseguenza dell’inquinamento”

Tratto da Brindisi Report

“Petrolchimico, malattie e decessi conseguenza dell’inquinamento”


Esposto bis in Procura dopo quello depositato a giugno 2014 da sei brindisini: tra i casi segnalati, la morte di una ragazza di 25 anni, affetta da leucemia. Allegati risultati di nuovi studi e sentenze sui siti di Mantova e Bussi sul Trino. Chiesta verifica delle condotte e di presunte omissioni delle Amministrazioni pubbliche per omicidio e lesioni


“Petrolchimico, malattie e decessi conseguenza dell’inquinamento”
In calce al nuovo esposto, che va ad aggiungersi a quello depositato il 12 giugno 2014, ci sono le firme di quattro brindisini in aggiunta a quelle del papà di Ida, morta nel 2011, e della vedova di Antonio, deceduto nel 2010. Il primo firmatario è l’avvocato penalista Giovanni Brigante del foro di Brindisi, lui stesso componente del gruppo dei “combattenti”. Perché si combatte per la salute giorno dopo giorno una volta che i medici certificano il male.
Il contenuto e le ragioni della denuncia bis sono stati illustrati oltre che dal legale, da Maurizio Portaluri, voce storica di Medicina Democratica a Brindisi, nel corso della conferenza stampa che si è svolta questa mattina nello studio del penalista. ....
“Partiamo dalla circostanza che gli ammalati abbiano sempre vissuto in prossimità del Sin, il sito di interesse nazionale, e che conoscenze ormai consolidate nella letteratura scientifica nazionale ed internazionale pongano l’esposizione a benzene, Idrocarburi Policiclici Aromatici ed Idrocarburi leggeri e pesanti, ed altre sostanze nocive tra le cause principali dell’insorgenza di tali patologie”, ha detto Brigante.
Nella denuncia è stato scritto che “ Montedison prima ed Eni poi, attraverso le società del gruppo che hanno avuto la materiale gestione, amministrazione ovvero detenzione degli impianti industriali insediati nell’area del Petrolchimico di Brindisi hanno effettuato produzioni industriali di materie plastiche, omettendo di adottare le migliori tecnologie atte ad evitare emissioni nocive per l’ambiente e la salute delle persone”. “Hanno smaltito illecitamente, con le modalità sopra illustrate, quantità ingentissime di rifiuti tossico-nocivi e hanno immesso nell’aria, attraverso processi costanti di combustione non controllati, quantità altrettanto ingenti di gas nocivi”.
“Petrolchimico, malattie e decessi conseguenza dell’inquinamento”
I firmatari sostengono, inoltre, di aver “documentato, che  tutto questo abbia provocato uno stato di gravissimo inquinamento e di vastissima contaminazione delle risorse naturali con le seguenti sostanze chimiche: arsenico, rame, mercurio, cadmio, vanadio, zinco, nichel; idrocarburi C<12 c="" e="">12; Btex (benzene, toluene e xilene);  idrocarburi policiclici aromatici; composti organo-alogenati;   PM10”.Per questo hanno evidenziato che “il danno sanitario patito dagli esponenti ovvero dai prossimi congiunti deceduti, tutti residenti in aree prossime al Petrolchimico di Brindisi, sia, con  alto grado di probabilità, conseguenza diretta” di tale esposizione.  
Nell’esposto è stata ipotizzata una responsabilità concorrente delle Pubbliche amministrazioni e degli enti locali  che, “pur essendo titolari di posizioni  e prerogative di sicurezza e controllo a tutela dell’ambiente e della salute, non hanno evitato gli eventi”. E questo  sebbene già nel 1990 il territorio di Brindisi sia stato dichiarato “area ad elevato rischio di crisi ambientale” e nel 1998 sia stato approvato il piano di disinquinamento. Secondo i firmatari non sarebbero state “neppure incrementate e migliorate le attività di vigilanza, controllo e monitoraggio a tutela dell’ambiente e della salute pubblica”....
“Petrolchimico, malattie e decessi conseguenza dell’inquinamento”
“Non sono stati mai adottati seri provvedimenti amministrativi inibitori e/o sanzionatori delle attività inquinanti, ad eccezione di quello impositivo del divieto di coltivazione nelle aree adiacenti l’asse attrezzato e la centrale Enel Federico II, poi annullata dal Tar per evidenti negligenze del procedimento amministrativo. E  manca una stabile tenuta di un registro tumori nella Asl di Brindisi, né è mai stata effettuata una indagine epidemiologica......

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25 luglio 2017

In Italia le fonti fossili bevono 160 milioni di metri cubi di acqua l’anno

Tratto da Greenreport

Manca l’acqua? In Italia le fonti fossili ne bevono 160 milioni di metri cubi l’anno

Passare a un approvvigionamento energetico basato sulle fonti rinnovabili permette di combattere i cambiamenti climatici e risparmiare il nostro oro blu
[24 luglio 2017]
In Italia dove (fortunatamente) non ci sono centrali nucleari – di gran lunga risulta le più assetate per la produzione di energia –, ci pensano quelle alimentate da fonti fossili a consumare ingenti quantità d’acqua per poter funzionare: ogni anno ne bevono 160 milioni di metri cubi di acqua, ovvero (considerando in media un consumo procapite di circa 200 litri al giorno per persona) il fabbisogno annuale d’acqua di circa 2,2 milioni di persone.
D’altronde, però, l’energia è fondamentale al funzionamento della nostra società. Come rimediare? Passando alle fonti rinnovabili: «L’emergenza acqua che sta colpendo molte Regioni italiane – spiegano oggi dall’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento – è dovuta in primis ai mutamenti climatici che sostengono una tra le più severe siccità mai registrate, ma anche alla scarsa attenzione verso un’oculata gestione delle risorse ambientali e delle materie prime. Questi fattori messi insieme stanno portando ad una vera è propria crisi ecologica e al rischio di calamità naturale. Oltre agli adeguamenti strutturali e ad una gestione più razionale, è necessario avviare una pianificazione organica di lungo termine anche nel campo dell’approvvigionamento energetico. Uno studio dell’Eea, Agenzia europea dell’ambiente, ha infatti quantificato in circa il 44% dell’acqua usata direttamente ed indirettamente in Europa la quota utilizzata negli impianti termici e nucleari, più di quanto consumato dalla somma del settore industriale e agricolo; quota equivalente al consumo annuale di circa 80 milioni di persone».
Il contesto italiano – come si evince dai dati Istat sul consumo di acqua – è diverso, con l’agricoltura che spicca come il settore in assoluto più assetato: «I prelievi di acqua effettuati nel 2012 (dove ad oggi si fermano i dati Istat, ndr) sono stati destinati per il 46,8% all’irrigazione delle coltivazioni, per il 27,8% a usi civili, per il 17,8% a usi industriali, per il 4,7% alla produzione di energia termoelettrica e per il restante 2,9% alla zootecnia».
Ciò non toglie che una maggiore diffusione delle fonti di energia rinnovabili permetterebbe da una parte di combattere efficacemente i cambiamenti climatici, dall’altra di ridurre il comunque abbondante consumo d’acqua imputabile alle fonti fossili: «Negli ultimi dieci anni, grazie all’apporto della fonte eolica nella produzione di energia elettrica nel nostro Paese – aggiungono infatti dall’Anev – si sono risparmiati circa 110 milioni di metri cubi d’acqua, equivalenti al consumo annuale di circa 1,5 milioni di persone».

QUALENERGIA :La siccità in Italia tra emergenza e clima che cambia


Tratto da Qualenergia
C'è voluta la minaccia del razionamento dell'acqua a Roma per far finire, finalmente e con colpevole ritardo, sulle prime pagine dei grandi media generalisti la questione degli impatti del cambiamento climatico in Italia.
La soddisfazione è ben magra, ma dal piccolo della nostra testata di settore possiamo dire: “ve l'avevamo detto”.
Da anni infatti riportiamo le numerose pubblicazioni scientifiche che mettono in guardia sugli impatti del global warming per il nostro Paese, e non solo in coincidenza con le cosiddette “emergenze”, se di emergenze si può parlare riguardo alle manifestazioni di un cambiamento climatico ben noto e in atto da tempo.
La crisi idrica in atto
La situazione attuale, che oggi sarà forse un po' alleviata da un po' di maltempo, almeno al Nord, è nota: secondo i dati Crea, ente di ricerca del Mipaaf, gli ultimi mesi hanno fatto registrare temperature di 3,2 °C superiori alla media del periodo associate ad un dimezzamento delle precipitazioni: -53% rispetto alla media del mese di giugno.
I gravissimi effetti li abbiamo sotto gli occhi e stanno colpendo anche in regioni in cui normalmente la siccità non era un problema, come la pianura padana, dove, ad esempio, il livello idrometrico del Po - dal cui bacino idrico dipende il 35% della produzione agricola nazionale - è sceso 3,23 metri sotto lo zero idrometrico.
Secondo il Mipaaf, questo sta causando perdite di produzione nell'ordine del 40-50% nel settore cerealicolo, oltre ad una consistente contrazione nella produzione nazionale di latte.
Se “l'emergenza” è finita sui giornali solo in questi giorni, la crisi va fatta iniziare già alla fine del 2016, peraltro quasi completamente ignorata: nell'inverno 2016-2017 (sempre dati Crea) le precipitazioni si sono praticamente dimezzate in tutta Italia, scendendo del 47,4%, con un picco negativo a dicembre in cui è caduta addirittura il 67% di acqua in meno sulla Penisola e in particolare sulle regioni del Nordest.
Il ruolo del global warming
Non è mai facile stabilire quanto un singolo evento meteorologico estremo, come un ondata di calore e la siccità proche ci sta colpendo, sia da attribuire al cambiamento climatico in atto. La scienza non lascia invece alcun dubbio sulla tendenza che vede aumentare la frequenza e l'intensità di questi fenomeni, questa sì attribuibile con certezza al global warming.
Ad esempio, secondo uno studio pubblicato su PNAS del quale abbiamo parlato di recente (Quantifying the influence of global warming on unprecedented extreme climate events, Noah S. Diffenbaugh et al.) l'85% circa delle ondate di calore degli ultimi anni è attribuibile al global warming.
Anche sulla causa del cambiamento climatico la scienza ci dice chiaramente che dipende dall'aumento dei gas serra messi in atmosfera dall'uomo, CO2 da combustibili fossili in primis. Ma si sono ormai innescati effetti a catena che coinvolgono l’aumento delle temperature delle superfici marine la riduzione dei ghiacci, che a loro volta contribuiscono ad accelerare lo sconvolgimento in atto.
Il Mediterraneo e l’Italia in particolare – riportavamo qualche settimana fa citando una pubblicazione su Climate Signals - è un osservato speciale dei climatologi, perché considerato un “hotspot” dove potranno verificarsi le conseguenze più negative legate ai cambiamenti climatici: non solo ondate di calore e scarse precipitazioni estive, ma anche desertificazione di vaste aree, scioglimento dei ghiacciai alpini, incendi e così via.
Anche l'Agenzia Europea per l'Ambiente (AEA), nel suo ultimo rapporto "Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2016", avvertiva che proprio nell'area del Mediterraneo si avranno gli impatti più gravi del cambiamento climatico.........

22 luglio 2017

NON C’È MALATTIA CHE NON SIA INDOTTA DALL’INQUINAMENTO DELL’AMBIENTE.

Tratto nogeoingegneria.com

AMBIENTE INQUINATO E MALATTIE CRONICO-DEGENERATIVE, INFIAMMATORIE E TUMORALI


NON C’È MALATTIA CHE NON SIA INDOTTA DALL’INQUINAMENTO DELL’AMBIENTE. Così affermano gli studi relativi a quella che viene definita “rivoluzione epigenetica” e uno tra i maggiori esperti in questo nuovo campo di conoscenze il dr. Ernesto Burgio, presidente del Comitato tecnico-scientifico dell’Associazione Medici per l’ambiente ISDE (International Society of Doctors for Environment), Coordinatore Comitato Scientifico ISDE-Italia, Membro del Comitato Scientifico di ARTAC France (Association pour la Recherche Thérapeutique Anti-Cancéreuse), Membro ENSSER (European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility), Membro Commissione Cancerogenesi Ambientale – AIOM (Ass Italiana di Oncologia Medica),  Membro Commissione Ambiente-Salute della SIP (Società Italiana di Pediatria), Referente regionale Progetti OMS di Promozione della Salute – Sicilia.
Ma che cos’è l’epigenetica?
     In estrema sintesi e in modo semplice si può definire l’epigenetica come quella branca della genetica che studia tutte le modificazioni che alterano l’attività dei geni senza modificare le sequenze del DNA; modifiche che possono essere anche ereditate.
     Per semplificare: il DNA  può essere pensato come l’hardware di un computer e le attività ad esso connesse come il software. Il software in questo caso funziona più o meno bene a seconda delle informazioni che gli arrivano dall’esterno, cioè dall’Ambiente. Ogni giorno della nostra vita le nostre cellule ricevono in forma di molecole, correnti elettromagnetiche, sostanze chimiche di sintesi etc., informazioni dall’attuale Ambiente esterno inquinato e inducono interagendo con l’epigenoma il DNA – il genoma –  a funzionare in maniera diversa da come dovrebbe. Il che, in parole povere, significa che l’Ambiente inquinato interferisce in modo negativo sull’attività del DNA. Il dottor Mauro Mocci dell’ISDE, per la verità, ci aveva già trasmesso questa importante informazione nel convegno di Manziana del 2012.
E qual è il dato più allarmante di questi studi epigenetici?
     Che trovano riscontro in un aumento spaventoso del numero di malattie cronico-degenerative, infiammatorie e tumorali sempre più in crescita nei paesi industrializzati e quindi con un più alto livello di inquinamento ambientale.
     In Italia una persona su due, prima o poi contrae il cancroper non parlare di tutta una serie di altre patologie in continuo incremento. Il problema da affrontare è dunque di ordine collettivo e se la collettività non riuscirà entro fine secolo a fare qualcosa per rovesciare il nostro attuale rapporto con l’Ambiente, l’intera specie umana sarà a rischio.
     Queste sono parole del dottor Ernesto Burgio che si fondano anche su dati rilevati e su ricerche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
     La visione di questi due filmati non lascia più dubbi.

VEDI ANCHE 
     Grazie a questa esposizione molto chiara del dottor Ernesto Burgio ora possiamo tutti sapere che siamo in una vera e propria crisi ambientale e sanitaria e che sarebbe criminale non intervenire subito. Ed è bene sapere che non c’è essere al mondo, nemmeno il bioprofittatore, che non sia esposto alle trasformazioni della composizione dell’aria che respiriamo, alle trasformazioni della catena alimentare (per lo più impregnata di benzene e pesticidi) e alle trasformazioni degli ecosistemi che costituiscono il cuore della biosfera.
     Ma qual è la soluzione?
     La soluzione sta in una presa di coscienza collettiva, con o senza il permesso dell’attuale sistema politico-finanziario che ha dimostrato di non avere gli strumenti etici per rinunciare all’attuale modello di sviluppo economico lineare che ci sta portando diritti al rischio estinzione, anche se con un consolatorio stigma “bio” o “green”. Noi cittadini, invece, possiamo ancora fare qualcosa: dobbiamo cambiare la nostra visione del rapporto ambiente-salute ed esigere, senza se e senza ma, che i nostri amministratori centrali o locali compiano il loro mandato nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute, applicando il Documento Programmatico ISDE su Ambiente e Salute (www.isde.it).
     Chiediamolo a tutti i Sindaci e a tutti i presidenti di Provincia e Regione. Ci basti pensare ch ese un paese cosiddetto avanzato eliminasse i pesticidi, nel giro di 10 anni i linfomi si dimezzerebbero.....Continua a leggere qui

 

WWF :A Siracusa danni incalcolabili per salute e ambiente

Tratto da WWF

A Siracusa danni incalcolabili per salute e ambiente


Dopo l'Ilva di Taranto ora è la volta del petrolchimico di Siracusa a finire sotto la lente della magistratura che ha disposto il sequestro di tre impianti, subordinando la ripresa dell’attività all’esecuzione di interventi urgenti, a norma di legge, per limitare l’inquinamento dell’aria. Si tratta di una decisione necessaria che in WWF apprezza perché interviene su una delle bombe ecologiche italiane. A Siracusa è necessario che i responsabili paghino per i danni procurati alla salute e all’ambiente.
Quello dei danni alla salute e ambiente derivanti dalle attività industriali, specie nei siti ad alto inquinamento ambientale, è un problema purtroppo noto, ma sul quale nessuno - tranne la magistratura - ritiene di intervenire, se non con qualche dichiarazione: a Siracusa è stata infatti rilevata l’assenza di elementari misure previste dalle norme mentre l’Italia dovrebbe far rispettare limiti ben più sicuri e imporre l’uso delle migliori tecnologie disponibili.
Sono decenni che i cittadini e i medici di Siracusa denunciano l’alta incidenza di tumori e altre patologie. Le stesse autorità sanitarie, nello studio Sentieri, acronimo di Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento, avevano pubblicato un rapporto 2014 (sulla rivista Epidemiologia & Prevenzione) dal quale a Siracusa risultavano in eccesso il melanoma, i tumori del pancreas, del polmone, della mammella e della vescica, sia per gli uomini che per donne: ma l’elenco delle patologie in eccesso rilevate è molto più lungo e vanno da quelle all’apparato respiratorio a quello digerente.
L’Agenzia Europea per l’Ambiente in un rapporto della fine dello scorso anno, aveva attribuito a un singolo inquinante (biossido di azoto) ben 21 mila morti premature l’anno in Italia, un record europeo.  Tale inquinante è rilasciato, oltre che dalle auto diesel e da altre fonti, dagli impianti industriali come quelli sequestrati.
I Siti di Interesse Nazionale per le Bonifiche Ambientali (SIN) sono oggi 39. Sono aree “di cui tutti sanno”, da Brescia a Taranto. Per esempio, nell’area di Brindisi, pochi giorni fa sono stati resi noti dati allarmanti, con un eccesso di mortalità e morbilità riconducibile agli impianti termoelettrici e al petrolchimico. La ricerca ha sottolineato il nesso tra funzionamento degli impianti (in particolare quelli a carbone) e danni sulla salute che risultano maggiori quando a funzionare erano più impianti. A Brindisi dove è ancora in funzione una delle più grandi centrali a carbone d’Europa, permane un eccesso significativo di mortalità e morbilità, nonostante il rispetto delle attuali: segno che gli effetti dell’inquinamento tendono a permanere nel tempo e che i limiti non sono adeguati a evitare i danni.

21 luglio 2017

In vigore la nuova Valutazione di Impatto Ambientale introdotta con il D.lgs. 104/2017.

Tratto da Edilportale

In vigore la nuova Valutazione di Impatto Ambientale

In vigore la nuova Valutazione di Impatto Ambientale
21/07/2017 – Entra in vigore la nuova Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), introdotta con il D.lgs. 104/2017.
 
Il testo, che modifica il d.lgs.152/2006 per consentire il corretto recepimento della Direttiva 2014/52/UE per la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, prevede un’applicazione retroattiva, ai procedimenti avviati dal 16 maggio 2017 in poi. La data del 16 maggio 2017 è infatti il termine ultimo fissato dalla Direttiva 2014/52/UE per l'adeguamento delle normative interne. Per la piena operatività delle nuove regole bisognerà aspettare i sei o più decreti ministeriali attuativi, da adottare entro il 19 settembre, cioè sessanta giorni dall’entrata in vigore del D.lgs. 104.
 
Queste le principali novità
 

Progetti assoggettati a VIA

I progetti assoggettati a Via obbligatoria sono indicati nell’Allegato II. Tra questi rientrano, per fare degli esempi, gli impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW, la realizzazione di autostrade e strade extraurbane principali, gli impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 30 MW.
 
L’Allegato II-bis contiene invece i progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità a Via. Tra questi ci sono gli impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW, realizzazione di strade extraurbane secondarie di interesse nazionale, porti turistici di dimensioni limitate. In questi casi, la Commissione Via decide se poi sottoporre il progetto al procedimento di Valutazione di impatto ambientale.
 

Iter più agile per la presentazione dei progetti

Diventa possibile presentare elaborati progettuali con un livello informativo e di dettaglio equivalente a quello del progetto di fattibilità o comunque a un livello tale da consentire la compiuta valutazione degli impatti. Proponente e Amministrazioni dialogheranno per decidere eventuali integrazioni.
 
Il proponente non ha l’obbligo di presentare gli elaborati progettuali nella fase di verifica di assoggettabilità a Via. È sufficiente uno studio preliminare ambientale, come previsto dalla normativa europea.
 
In caso di modifiche o estensioni di opere esistenti, si può richiedere una valutazione preliminare del progetto per individuare l’eventuale procedura da avviare.
 

Smart regulation e dibattito pubblico

La Valutazione di impatto ambientale deve tenere conto di tutti gli elementi coinvolti, tra cui matrici ambientali, altri progetti collegati sulla stessa area e possibili conseguenze sanitarie, o sul patrimonio culturale e paesaggistico, prodotte con l’esercizio degli impianti o delle infrastrutture da realizzare.
 

Per coinvolgere e informare le popolazioni interessate dalla realizzazione di un’infrastruttura o un impianto, è potenziato lo strumento del dibattito pubblico, come previsto dal Codice Appalti (d.lgs. 50/2016).
 
Per i progetti di competenza statale, il proponente può chiedere, in alternativa al procedimento di Via ordinario, il rilascio di un provvedimento unico ambientale”, che coordini e sostituisca tutti i titoli abilitativi o autorizzativi riconducibili ai fattori ambientali. Accanto a questo, è previsto un procedimento unico di competenza regionale.
 
Le regole per il procedimento di Via saranno omogenee su tutto il territorio nazionale. Le procedure verranno digitalizzate e si potrà anche eliminare l’obbligo di pubblicazione sui quotidiani.
 

20 luglio 2017

Paesi Bassi - Centrali a carbone, il parlamento al ministro: usare la legge per costringerle a chiudere

Tratto da +31mag.nl

Centrali a carbone, il parlamento al ministro: usare la legge per costringerle a chiudere

Centrali a carbone, il parlamento al ministro: usare la legge per costringerle a chiudere

Il Consiglio di stato passa la parla al governo e il parlamento fa pressione, affinchè l'esecutivo prenda misure

I Paesi Bassi possono chiudere tutte le loro centrali a carbone solo nel caso in cui una legge nazionale renda effettiva la procedura, secondo il parere del Consiglio di Stato al Ministro dell’Economia Henk Kamp questo mercoledì, scrive ANP.
Il Parlamento olandese ha lanciato un appello al ministro dell’economia per la chiusura delle centrali a carbone, un ostacolo agli accordi europei sulle emissioni, imponendo requisiti così alti che nessuna delle centrali presenti può rispettare.
Le cinque più vecchie centrali a carbone verranno chiuse entro la fine di quest’anno. Delle cinque rimanenti, di cui tre di recente apertura, si discute in base al risarcimento che spetterebbe ai proprietari in caso di chiusura, o al periodo di transizione che verrebbe a loro concesso per ridurre i danni economici.

L’UE ammette violazione dell’accesso pubblico alla giustizia ambientale

  •  Tratto da rinnovabili.it
    Le istituzioni europee non rispettavano la Convenzione di Aarhus, accordo ONU del ’98 che disciplina l’accesso alla giustizia ambientale. Ora dovranno rimediare

giustizia ambientale


Superate le pressioni di Bruxelles contro la giustizia ambientale

(Rinnovabili.it) – L’UE deve garantire ai suoi cittadini l’accesso alla giustizia ambientale, aprendosi a 
processi decisionali più partecipati. Lo ha stabilito una presa di posizione del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, chinando la testa dopo lo schiaffo delle Nazioni Unite che, nel marzo scorso, avevano reso noto che l’Unione Europea stava violando la convenzione di Aarhus, rendendo troppo difficoltoso al pubblico di contestare in tribunale le decisioni delle istituzioni 
europee in materia ambientale.
Nello specifico, un comitato ONU per l’applicazione
 della Convenzione aveva puntato il dito sul regolamento UE numero 1367/2006 e sulla giurisprudenza della 
Corte di giustizia dell’Unione Europea, sostenendo che entrambi non attuano né rispettano gli obblighi 
stabiliti dall’accordo. Così, dopo una diatriba durata mesi, il Consiglio dei Ministri dell’UE, in una dichiarazione di ieri, ha accettato la sentenza, promettendo massimo impegno nell’attuare in profondità
le disposizioni della convenzione: accesso alle informazioni, partecipazione pubblica al processo decisionale e accesso alla giustizia per le questioni ambientali.

La nota stonata in tutto questo processo è il tentativo 
della Commissione Europea, organo non elettivo che detiene però il potere esecutivo in Europa, di rovesciare
 la decisione del Consiglio. Fortunatamente, la Commissione è stata sconfitta dall’unità di intenti
 dei rappresentanti dei 28 stati membri.
ClientEarth, un gruppo di attivisti ambientalisti specializzato nel diritto dell’Unione, ha accolto con favore la posizione finale del Consiglio, dichiarando che la proposta della Commissione di non accettare le richieste del Comitato per la conformità della Convenzione Aarhus sarebbe stato il più grande scandalo da
 quando la Convenzione è stata adottata nel 1998.
Grazie a questo importante accordo multilaterale, per
 il pubblico è possibile organizzare ricorsi legali 
contro politiche contrarie alla tutela dell’ambiente: 
ad esempio, ci si può appellare alla Convenzione se uno stato viene esentato dalla direttiva UE sulla qualità dell’aria o se viene concessa l’autorizzazione all’utilizzo di una sostanza chimica pericolosa in un pesticida. 

Nell’ottica della riautorizzazione UE al glifosato, prevista a stretto giro, la società civile potrebbe avere un’arma in più per contrastare la decisione.