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23 giugno 2009

2009/06/24 "Al Mit piace il carbone pulito, ai tedeschi no"

Al Mit piace il carbone pulito, ai tedeschi no
Effetti sulla salute del "carbone pulito"






la verità sulla centrale a "carbone pulito"

LIVORNO. L’Energy initiative symposium del Massachusetts Institute of Technology (Mit) ha presentato recentemente il rapporto “Retrofitting of coal-fired power plants for CO2 emissions reductions” sulla ricerca per il carbone pulito dal quale emerge che il mondo non potrà davvero fare granché per ridurre le emissioni di gas serra se soprattutto Usa e Cina non prenderanno subito di petto la questione delle centrali a carbone: «Non c’è oggi un credibile percorso verso rigorosi obiettivi di stabilizzazione dei gas serra senza la riduzione delle emissioni di CO2 dalle centrali a carbone esistenti».
Il problema è che quel che dovrebbe essere fatto subito deve fare i conti con i “filtri” per le centrali molto costosi, a volte più della costruzione di una nuova centrale e che nessun governo ha ancora a disposizione tecniche di stoccaggio della CO2.
Secondo il Mit ripulire il carbone non e solo la “carbon capture and storage” (Ccs) ma dovrebbe iniziare da una maggiore efficienza delle centrali esistenti che potrebbe ridurre già del 4-5% le emissioni e la sostituzione del carbone con biomasse.
Secondo il rapporto «Ovviamente senza lo stoccaggio, la cattura di CO2 non ha scopo» ma nemmeno l’iniezione di CO2 nel sottosuolo, come dimostra l’industria petrolifera con i gas, può fornire tutte le risposte, sono in gioco troppe variabili geologiche, ambientali e climatiche. Inoltre «l’acquisizione di carbonio dagli impianti a carbone esistenti non sarà in ogni modo a basso costo», secondo il Mit potrebbe costare tra i 50 e i 70 dollari a tonnellata «significativamente più alto rispetto a quel che viene generalmente riconosciuto negli Stati Uniti». La Cina potrebbe essere in grado di fare meglio, perché sta sostituendo le centrali più piccole e obsolete.

Gli Usa dovranno spendere 1 miliardo di dollari all´anno per i prossimi dieci anni in ricerca e sviluppo sul carbone pulito. Inoltre saranno necessari altri 12 – 15 miliardi di dollari statali e privati per riconvertire le centrali a carbone esistenti.

Secondo il Mit questo permetterebbe di mettere a posto una grande tessera del puzzle delle emissioni.

In Germania invece la questione della cattura e stoccaggio del carbone sta assumendo aspetti che ricordano quelli della (vittoriosa) lotta contro il nucleare. Il governo prevede di adottare una legge su Ccs prima della fine di settembre, cioè prima delle elezioni e della probabile fine della Grosse Koalition tra democristiani e socialdemocratici, ma l’opposizione sta diventando sempre più forte.

Lo stesso Hermann Scheer, presidente di Eurosolar e deputato Spd al Bundestag ha espresso tutta la sua contrarietà al Carbon capture storage, e rimarca: «La Repubblica federale tedesca non è un corso di ricreazione per Rwe e Vattenfall», le due imprese energetiche che più sono impegnate nel Ccs.

Ad aprile il governo ha fatto una proposta di legge per la regolamentazione e la separazione del trasporto a lungo termine di CO2, ma per il Comitato scientifico per le questioni ambientali (Sru) questa proposta avrebbe impatti sociali ed ambientali notevoli e chiede di procedere con autorizzazioni mirate e sperimentali per il Ccs con una “legge per la ricerca”.
Il Sru denuncia anche che il governo sta assicurando finanziamenti solo alla ricerca sul Ccs, senza però curarsi dei rischi e dei danni che potrebbero venire dai “pozzi” di CO2 per l’ambiente e la popolazione. La legge prevede infatti il trasferimento delle responsabilità dagli operatori privati allo Stato 30 anni dopo la cessazione delle attività dei “serbatoi”.

Le forti associazioni ambientaliste tedesche sono sul piede di guerra e il ministro dell’ambiente Sigmar Gabriel si danna per assicurare che la legge non sarà «un assegno in bianco» per le industrie energetiche, ma Greenpeace risponde che «la decisione presa incondizionatamente dal ministero dell’economia per gli interessi dell’industria dell’energia ha minato ogni ragionevole dialogo tra le diverse parti».
Lo slogan che sta circolando in Germania è “Kohlekraft? Nein danke!” (centrali a carbone? No grazie!) e gli ambientalisti sono al lavoro per dimostrare le connivenze tra “carbonai” e politici. Secondo Rwe uno studio della Prognos dimostra che il Ccs farebbe diminuire il costo dell’energia, molto alto in Germania, e migliorerebbe la sicurezza energetica.

Ma le associazioni ambientaliste assimilano sempre più le scorie del carbone a quelle radioattive, mettendo in evidenza i pericoli per la salute derivanti da possibili fughe di CO2 e l’opinione pubblica, già fortemente contraria alle centrali a carbone anche senza il Ccs, sembra essere schierata dalla loro parte, tanto che già diversi comuni hanno bloccato la costruzione di nuove centrali a carbone sul loro territorio.
Il grenwashing del “carbone pulito” non sembra quindi sfondare in Germania e l’oganizzazioone Lobbycontrol denuncia la mancanza di trasparenza delle industrie che hanno “falsi” centri di informazione che in realtà sono siti internet di propaganda, in particolare le critiche riguardano IZ Klima, un centro di “informazioni” sostenuto dai quattro colossi energetici che si dividono il mercato tedesco: EnBW, E.On, RWE Power e Vattenfall Europe.
Intanto Eurosolar ha appena pubblicato una mappa delle future condotte per il trasporto della CO2, alcune anche in piena area urbana, con l’intento dichiarato di far montare una protesta generalizzata contro il Ccs in gran parte del Paese.

Tratto da Qualenergia

La classifica delle alternative

Uno studio della Stanford University fa i conti di benefici e impatti delle varie fonti alternative ai combustibili fossili tradizionali. Il più conveniente risulta essere l'eolico, seguito da solare a concentrazione e geotermia. Bocciati nucleare, carbone "pulito" ed etanolo.
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