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10 agosto 2005

2009/08/11 " RADIOATTIVITA’ AMBIENTALE e RADIOATTIVITA’ DEL CARBONE"

Nell'ottica di una capillare informazione riportiamo da un sito di "Agenda 21" della Regione Puglia , dove sorge la più grande Centrale a carbone Italiana uno studio sulla radioattivita' del carbone :
è un articolo lungo ma merita sicuramente la nostra attenzione. Per stimolarne la lettura vi antecipiamo una delle conclusioni :
In queste condizioni il problema della valutazione dei flussi di radioattività conseguenti all'esercizio delle centrali a carbone diviene di particolare interesse dal momento che in particolari condizioni metereologiche il pennacchio della centrale potrebbe raggiungere anche altezze notevoli. In tal caso i materiali volanti potrebbero coprire distanze molto grandi prima della ricaduta, determinando un contributo non solo a livello locale ma anche su scala globale.




Tratto da" Agenda 21 della terra d'Arneo"




RADIOATTIVITA’ AMBIENTALE


La radioattività è l'emissione spontanea di radiazioni, in genere particelle alfa o beta, molto spesso accompagnate da raggi gamma, dal nucleo di un isotopo instabile. A seguito di tale emissione, l'isotopo radioattivo è trasformato per decadimento nell'isotopo di un altro elemento, che a sua volta può essere anche radioattivo. Come risultato di una o più fasi di decadimento radioattivo si determina un prodotto finale stabile, non radioattivo.


La radioattività costituisce una componente fondamentale dell'ambiente terrestre in quanto elementi radioattivi di varia origine e natura sono contenuti nell'acqua, nell'aria, nella crosta terrestre e nella biosfera ed inoltre radiazioni di origine cosmica raggiungono la terra dallo spazio extraterrestre. Come risultato di tale presenza, per tutta la vita ciascuno di noi è esposto all'azione delle radiazioni.


I principali elementi radioattivi, presenti nella sfera geologica ed in quella biologica, possono essere suddivisi in due differenti categorie, naturali ed artificiali. Gli elementi radioattivi naturali sono presenti da sempre nell'ambiente terrestre ed il loro comportamento nei diversi sistemi ambientali è sostanzialmente legato a processi dovuti alle caratteristiche geomorfologiche ed ecotipologiche dell'ambiente stesso. Gli elementi radioattivi artificiali sono introdotti invece nell'ambiente terrestre da diverse attività umane. Il contributo più sostanziale è stato prodotto dalle esplosioni nucleari nell'atmosfera, effettuate principalmente negli anni cinquanta ed in minor misura negli anni sessanta.


Lo studio della radioattività ambientale è di particolare importanza soprattutto per la sua rilevanza ai fini della stima della dose di radiazioni assorbita dalle popolazioni. La dose di radiazione assorbita è l'energia ceduta alla materia dalle radiazioni ionizzanti per unità di massa del materiale irradiato. L'unità di misura era il Rad e successivamente è stato introdotto il Gray corrispondente a 100 Rad. L'unità di misura dell'equivalente di dose è il Sievert (Sv). Ma in genere si impiega anche il Rem (1 Sv = 100 Rem), cioè la dose di radiazioni ionizzanti che, assorbite dal corpo umano, producono un effetto biologico identico a quello prodotto dall’assorbimento di 1 Rad di raggi X o Gamma. Infine, l'unità di misura storica dell'attività di una sostanza radioattiva è il Curie (Ci), che più recentemente è stato sostituito dal Becquerel (Bq), (1 Bq=27 pCi).


Una consistente frazione della dose di radiazione assorbita dalle popolazioni è dovuta ai radionuclidi presenti nell'ambiente, i quali, a seconda delle loro caratteristiche, irraggiano in vario modo i tessuti umani. L'irraggiamento esterno è dovuto a quelle radiazioni che provengono dall'ambiente esterno ed incidono sull'uomo.
L'irraggiamento interno invece è dovuto ai radionuclidi che penetrano nel corpo umano e si depositano nei tessuti attraverso i cibi, l'aria e l'acqua.


RADIOATTIVITA’ DEL CARBONE
Lo studio a cui si fa riferimento è quello svolto dal Laboratorio di Radioattività e Metodologie Radioisotopiche della Regione Puglia diretto dal Dott. Elio Conte, docente e ricercatore in fisica teorica e nucleare.


Il processo di formazione di un giacimento di carbone è caratterizzato dal fenomeno dell'inglobamento, da parte delle sostanze vegetali in trasformazione, di materiali inorganici ivi presenti come le rocce lapidee o i terreni sciolti di diversa natura. Poiché, come si è visto sulla radioattività ambientale, tutti i materiali della crosta terrestre contengono elementi radioattivi naturali, è ben comprensibile che la radioattività sia poi riscontrata nei carboni che da essi derivano.
Il carbone contiene pertanto tutti i radionuclidi primordiali ed i loro prodotti di decadimento. I radionuclidi più significativi sono il potassio-40 e le serie di decadimento che fanno capo all'uranio e al torio.
L'uranio ed il torio sono due elementi radioattivi naturali che, a causa della loro lunga vita media, sono sopravvissuti dall'origine della terra sino ai nostri giorni. Questi elementi decadono in altri elementi radioattivi secondo una "catena" della radioattività naturale che termina con il piombo stabile.
L'importanza radiologica dei predetti radioisotopi è legata al fatto che essi emettono radiazioni alfa, beta e gamma. Essi sono pertanto pericolosi perché, se inalati o ingeriti, si fissano in vari organi irraggiandoli per un lungo periodo di tempo.
Il carbone, essendo un residuo carbonaceo di vegetali vissuti milioni di anni fa rimane nei giacimenti per tali lunghissimi intervalli di tempo, seguendo da vicino le vicissitudini idrogeo-logiche dei terreni circostanti. Poiché uranio e torio sono presenti nei terreni e nelle formazioni geologiche, essi penetrano nella massa del carbone e ne determinano pertanto la sua radioattività.
L'aspetto fondamentale da tener presente in questo processo è che le quantità di uranio e di torio che penetrano nella massa del carbone sono proporzionali alle quantità circostanti, molto variabili da sito a sito. Ne deriva pertanto che la radioattività del carbone presenta una spiccata tendenza alla variabilità in relazione alle caratteristiche dei siti nei quali esso si è formato.

In figura 39 si riportano i valori delle misure di concentrazione di uranio e di torio nel carbone di provenienza dagli U.S.A., dalla Polonia e dal Sud Africa. I carboni misurati presentano valori molto variabili; frequentemente si riscontrano contenuti di 1 ppm (parte per milione) di uranio e 2 ppm di torio e valori progressivamente crescenti fino a massimi, ritrovati in alcuni filoni di carbone, di 5 ppm per l'uranio e 10.1 ppm per il torio e fino a valori limite, ritrovati in alcuni filoni di carbone di provenienza U.S.A., rispettivamente di 43 ppm per l'uranio e 79 ppm per il torio.


Il ciclo energetico del carbone è caratterizzato da alcune fasi nelle quali si determina una dispersione di materiale radioattivo nell'ambiente. Esse sono le seguenti:


* estrazione ed eventualmente purificazione del carbone;
* combustione del carbone nella centrale;
* movimentazione e discarica con sistemazione finale delle ceneri.



L'estrazione e la movimentazione del carbone costituiscono una fase in cui si determina dispersione di polveri di carbone e particolarmente di radon-222. Il radon ed i suoi discendenti vanno considerati quali sorgenti di esposizione esterna per quanto attiene ad esempio alla radiazione gamma emessa dal 214 Pb e dal 214 Bi e quali sorgenti di esposizione interna per quanto riguarda invece l'emissione delle particene alfa del 218 Po e 214 Po.
I prodotti di decadimento del radon presentano una velocità di diffusione molto elevata nell'aria e formano rapidamente aggregati con l'acqua, con l'ossigeno e con altri gas. Gli aggregati si attaccano poi a particelle di aerosol entro brevissimo tempo. La frazione di attività dei discendenti a vita breve del radon, portata dagli aggregati molecolari, è indicata tecnicamente con il termine di frazione non attaccata, mentre la frazione assorbita sulle particelle di aerosol è indicata tecnicamente con il termine di frazione attaccata. L'apparato respiratorio umano non trattiene il radon in quanto è un gas nobile, ma trattiene nel tratto respiratorio più alto i prodotti di decadimento inalati sotto forma di aggregati e ioni liberi e trattiene invece nella regione polmonare i prodotti legati a particelle o a polveri. I prodotti di decadimento del radon comportano pertanto una dose da inalazione.


Le ceneri rappresentano un sottoprodotto della produzione di energia elettrica da carbone. Durante la combustione del carbone, i suoi vari elementi radioattivi si comportano differentemente in rapporto alle loro diverse volatilità. Si è detto in precedenza che i radionuclidi delle serie naturali presenti nel carbone sono sostanzialmente in equilibrio radioattivo. Gli equilibri raggiunti nel carbone tendono ad essere distrutti durante il processo della combustione, poiché appunto gli elementi chimici tendono a distribuirsi secondo la loro volatilità tra le particelle di cenere di diversa dimensione, le quali si comportano differentemente all'interno della caldaia, nei sistemi di depolverazione e quando vengono inalate.


A seguito della combustione del carbone, alcuni radionuclidi si trovano nelle ceneri della caldaia e nelle ceneri volanti. Durante la predetta combustione i radionuclidi presenti nei particolati fini possono sfuggire ai filtri. In questa fase un’ulteriore dispersione di materiale radioattivo è ottenuta dai vapori e dai gas per alcune sostanze, quali ad esempio il 210 Pb, il 210 Po e il 222 Rn che a causa delle elevate temperature dei gas della caldaia, sono emesse sotto forma di vapore oltre che come particolato fino.


In queste condizioni il problema della valutazione dei flussi di radioattività conseguenti all'esercizio delle centrali a carbone diviene di particolare interesse dal momento che in particolari condizioni metereologiche il pennacchio della centrale potrebbe raggiungere anche altezze notevoli. In tal caso i materiali volanti potrebbero coprire distanze molto grandi prima della ricaduta, determinando un contributo non solo a livello locale ma anche su scala globale.

Nella figura 40 sono riportati i risultati delle misure di concentrazione di uranio e di torio nelle ceneri di carbone di diversa provenienza dagli U.S.A., dalla Polonia e dal Sud Africa.


L'ultima fase del ciclo del carbone è, come si è detto, quella relativa alla movimentazione e alla discarica con sistemazione finale delle ceneri. Durante questo processo si può ancora determinare la dispersione del 222 Rn e di polveri nell'atmosfera nelle aree di accumulo.
E' possibile inoltre la liscivazione degli elementi radioattivi presenti nelle ceneri, determinata dalle acque meteoriche. Un'ultima componente di esposizione radioattiva, di modesto contributo, è costituita dall'eventuale riutilizzo delle ceneri, provenienti da centrali elettriche a carbone, quali componenti di mescolamento per ottenere il cemento.
In conclusione è stato ribadito che la radioattività naturale del carbone, dispersa nell'atmosfera con le ceneri presenti nei fumi della caldaia, produce rilasci radioattivi variabili in funzione delle caratteristiche della centrale e del tipo di carbone impiegato. L'impatto radiologico, che consegue a questi rilasci, è collegato a tre vie di esposizione:
* inalazione
* ingestione
* irraggiamento


Le emissioni di una centrale a carbone aumentano le concentrazioni di alcuni radioisotopi in aria. Le particelle sospese in aria possono essere inalate impartendo così una dose di radiazione. L'attività di deposizione può entrare direttamente nella catena alimentare e quella accumulata fornisce una dose sia per via interna che esterna.
Particolare rilievo assume in questo caso l'ingestione di prodotti agricoli che crescono nei terreni in cui l’attività si è depositata. D'altra parte il potassio - 40 ed i radionuclidi gamma emettitori delle serie dell'uranio e del torio rappresentano una ulteriore sorgente di irraggiamento esterno quando sono depositati sui terreni.


I risultati prodotti in questo studio consentono di estrapolare le seguenti conclusioni:
i rilasci radioattivi e l'impatto radiologico delle centrali a carbone sono quantificabili sulla base di rigorose metodologie tecnico-scientifìche con una precisione di risultati auspicabile anche negli altri settori che riguardano in generale l'inquinamento dell'ambiente;
i rilasci radioattivi e l'impatto radiologico delle centrali a carbone dipendono fortemente dal tipo di carbone impiegato e dettagliatamente dai suoi contenuti di uranio e di torio espressi in ppm;


● il carbone contenente 1 ppm di uranio e 2 ppm di torio produce rilasci radioattivi ed impatto radiologico socialmente accettabili e, nel caso di una centrale a carbone da 660MW, le dosi massime e le dosi alla popolazione sono grosso modo dello stesso ordine di grandezza dei corrispondenti valori delle dosi da centrali nucleari BWR e PWR da 1000 MW;



l'impiego di carboni con contenuti di uranio e di torio superiori ai predetti valori, presenta problemi decisamente consistenti di impatto radiologico. Consegue l'imprenscindibile necessità che i carboni impiegati nel ciclo energetico siano costantemente controllati.


A riguardo è opportuno segnalare che l'unico metodo utile ed indicativo per identificare i radionuclidi e misurarne le concentrazioni nel carbone e nelle ceneri è la spettrometria nucleare gamma. Questa tecnica, al livello delle attività del carbone, presenta alcune particolari difficoltà, inoltre è di per sé insufficiente e necessita di essere affiancata dalla spettrometria alfa e da conteggi beta. Il complesso di queste tecniche richiede specifica competenza nel settore.


Nella figura 41 si riportano invece il valore della dose individuale minima e massima espressa in mRem/anno. Questi risultati sono stati stimati per una centrale da 660 MW, (avente un'efficienza di filtraggio del 99%) a 500 m. dal punto di rilascio, e con l'ulteriore ipotesi che si viva esclusivamente di cibi prodotti a 500 m. dal camino. Quest'ultima ipotesi cautelativa è stata impiegata in questo studio ed in letteratura quale presupposto metodologico da adottare in regime di valutazione di limiti superiori e di massima sicurezza. I valori delle dosi possono essere stimati approssimativamente per distanze superiori a 500 m. usando il fattore di correzione (1/2N). Le dosi individuali massime sono state calcolate per tutti gli organi biologici interessati dai predetti rilasci radioattivi e dettagliatamente per il corpo intero, per le ossa, per i polmoni, per la tiroide, per i reni, per il fegato e per la milza.
Il valore minimo riportato nelle figure si riferisce al caso in cui la centrale utilizzi carbone contenente 1 ppm di uranio e 2 ppm di torio. Sono stati presi inoltre in considerazione carboni contenenti 5 ppm di uranio e 10.1 ppm di torio e il valore limite di carboni contenenti 43 ppm di uranio e 79 ppm di torio.


Le stime di rischio che è possibile affiancare all'esercizio delle centrali a carbone è di 100 - 200 effetti sanitari, vale a dire mortalità per cancro ed effetti genetici nelle prime due generazioni successivamente all'esposizione, ogni milione di Rem-uomo al corpo intero. Consegue un effetto sanitario di 0.0012 - 0.0033 per ogni anno di esercizio di una moderna centrale a carbone da 660 MW. Questa stima di rischio è valida soltanto se si utilizzano nella centrale carboni contenenti 1 ppm di uranio e 2 ppm di torio. Nel caso di carboni contenenti 5 ppm di uranio e 10.1 ppm di torio l'effetto sanitario è cinque volte più grande. Infine, nel caso limite di carboni contenenti 43 ppm di uranio e 79 ppm di torio, l'effetto sanitario diviene quaranta volte più grande.
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