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19 novembre 2009

2009/11/19 "Spotorno: amministrazioni contro l'ampliamento Tirreno Power"

Tratto da "Savona News "

Spotorno: amministrazioni contro l'ampliamento Tirreno Power


Lunedì 23 novembre, alle 21, i Consigli Comunali di Spotorno, Noli, Bergeggi e Vezzi Portio sono convocati in seduta congiunta nella Sala Palace di Spotorno per ribadire la propria contrarietà all’ampliamento della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure.
Si tratta di una scelta fortemente motivata nella difesa del territorio ma anche per riaffermare la necessità del rispetto dei parametri del Protocollo di Kyoto e soprattutto degli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni fissati per il terzo millennio.

"Si tratta inoltre di compiere una scelta fondamentale a tutela della salute di tutti i cittadini e di partecipare al movimento popolare unitario, che sta manifestando nel territorio la propria forte opposizione ad un progetto che presenta gravi rischi per l’inquinamento della zona attraverso l’incremento dell’utilizzo del carbone.
I comuni del territorio Savonese subiscono infatti da anni la presenza della Centrale di Vado Ligure ed in una epoca in cui si sta sempre più guardando verso l’uso delle energie rinnovabili ed ai nuovi obiettivi, che verranno posti dalla ormai prossima Conferenza di Copenaghen, appare sempre più assurdo incentivare l’uso di una fonte energetica inquinante ed in via di auspicabile superamento come il carbone in un territorio già fortemente provato da strutture industriali impattanti", dicono i sindaci.
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Per ottenere risultati bisogna cambiare tipo di approccio, andare “col cappello in mano” non serve a nulla se non a subire. La saggezza popolare ha coniato un detto che dice pressappoco così: se pecora ti fai, il lupo ti mangia.
Tratto da Brundisium.net

Convenzioni: partita da giocare a carte scoperte

La “riservatezza” gradita all’Enel e che ancora oggi colpevolmente grava sulla vicenda convenzione, la pressoché totale mancanza di notizie al riguardo è un’offesa alla cittadinanza, alla democrazia – che tutti, a parole, dicono di volere partecipata – e alla normale, oltre che dovuta, trasparenza riguardo vicende pubbliche che coinvolgono tutti, senza distinzioni di ceto, di appartenenza politica e di diversa sensibilità sociale e ambientale. Questa è una partita che si ha il dovere di giocare a carte scoperte.
Se in questa vicenda la classe politica tutta si gioca la propria attendibilità, affidabilità e la coerenza tra quello che dice e quello che fa, la popolazione – ben oltre quella brindisina – vede in repentaglio la propria salute e la prospettiva di sviluppare compiutamente altri settori economici strategici come l’agricoltura e il turismo, in poche parole la vivibilità sociale, politica, economica e ambientale del proprio territorio.

Per quale motivo la classe politica si gioca la propria credibilità?Perché non vi è stata una qualsiasi formazione politica che non abbia sbandierato la propria critica posizione in merito ai rapporti con l’Enel - e col comparto energetico in genere - e agli eccessivi consumi di carbone...Un atteggiamento che, se fosse seguito coerentemente da azioni politiche, sarebbe stato una base seria per una trattativa vera; oggi – mi duole dirlo – tutto ciò ha le sembianze di una commedia, si sta giocando con numeri ingannatori, si sta recitando un copione scritto dall’Enel.
L’Enel non ha obblighi particolari a firmare la convenzione se non per una necessità d’immagine e la convenienza ad avere una legittimazione sociale e politica da parte delle istituzioni.
A questo punto le domande sono:
1. Quanto è disponibile l’azienda elettrica a “sacrificarsi” purché si giunga alla firma di questa?
2. Quanto conviene alla parte istituzionale firmarle alla presenza di risibili “concessioni”?
Alla prima domanda è facile rispondere: poco o nulla in confronto agli inimmaginabili guadagni, alla decennale perversa “occupazione” del nostro territorio ma anche a causa di una controparte debole e poco propensa ad un impegnativo braccio di ferro.
La seconda domanda merita una risposta un po' più articolata.
Posto che non si sono comprese - più per assenza di comunicazione che di comprendonio - le richieste avanzate dalle istituzioni, e per quel poco che si sa, non varrebbe proprio la pena - in linea di principio - concedere all’Enel la benché minima legittimazione, soprattutto per un periodo assurdo di 10 (dieci) anni quando la durata di tre sarebbe già più giusta.
Ma questo principio avrebbe senso se una volta non legittimato il colosso energetico gli si facessero le pulci quotidianamente, per iniziare con un controllo ambientale senza sconti, e comunque occorrerebbe esercitare pressioni politiche affinché la Regione potenzi l’Arpa dotandola di maggiori risorse tecniche e umane....
Ma cosa è doveroso che venga chiesto, e soprattutto che non possa essere accettato?
Innanzitutto si deve discutere della riduzione di carbone senza giri di parole, lasciando perdere i riferimenti alla CO2 la cui riduzione è un problema globale che deve interessare il Governo al netto di ciò che più direttamente sono gli interessi del territorio. Parliamo quindi, sic et simpliciter, di quanto deve diminuire il carbone (il 20%, il 30%?) facendo riferimento non certo agli attuali quantitativi o a quelli del 2004, anno in cui si toccò uno dei picchi massimi. Parliamo di come potenziare i controlli che devono essere pubblici e non certo demandati a carrozzoni costituiti a bella posta o quasi.
Parliamo, o meglio non ne parliamo proprio, della possibilità di sostituire una parte di carbone con del CDR, questa è una ipotesi che non dovrebbe nemmeno affacciarsi, se vi sono dei problemi per lo smaltimento dei rifiuti si affrontino nelle sedi opportune. Far passare questa possibilità significa peggiorare di molto la situazione ambientale brindisina che è già insostenibile, far divenire la centrale di Cerano e quindi Brindisi il crocevia della “monnezza”.
La durata della convenzione, posto che deve essere firmata se vi sono le giuste e favorevoli condizioni, è bene che non duri più di tre anni al termine dei quali se l’Enel non ha adempiuto quanto sottoscritto - come purtroppo la casistica ci insegna - ferma la produzione, questo è il solo deterrente che la società riesce a percepire.Per gli altri aspetti come la copertura del carbonile, la diminuzione degli inquinanti, l’ambientalizzazione sono cose dovute e non gentili concessioni.
Per ottenere risultati bisogna cambiare tipo di approccio, andare “col cappello in mano” non serve a nulla se non a subire. La saggezza popolare ha coniato un detto che dice pressappoco così: se pecora ti fai, il lupo ti mangia.

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Tratto da Peacelink

Taranto Pazienza e fiducia sono finite : Mò avaste!
Oltre la manifestazione


Partecipiamo alla manifestazione del 28 novembre, ma soprattutto organizziamoci insieme a chi vuole costituire un controllo popolare su tutte le questioni determinanti per la città.
Occorre progettare e imporre, noi cittadini, un futuro della città fatto di lavori che ne risanino l'ambiente
19 novembre 2009 - Comitati di Quartiere cittadini

Il 28 novembre la città, come l'anno scorso, manifesterà contro un inquinamento che è tra i più gravi d'Europa. Sarà un altro segnale, ma non potrà decidere tutto.

Ancora meno deciderà il referendum sulla chiusura totale o parziale dell'Ilva, agitato con gran chiasso dalla stampa. Perché è unicamente consultivo: esprime cioè un parere che può facilmente restare lettera morta, come per il Petrolchimico di Marghera.

A Riva non fa assolutamente paura, ma coglierà l'occasione per tentare di minacciare e ricattare, creando divisione tra fabbrica e città.

Solo noi cittadini, se siamo uniti, possiamo tentare di cambiare qualcosa. Non possiamo fidarci dei politici. Abbiamo problemi serissimi: disoccupazione, nocività e mortalità grave, interne ed esterne all'area industriale, attività produttive tradizionali minacciate dall'inquinamento, sanità inadeguata.
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Riguardo agli amministratori: possiamo fidarci di chi parla di raccolta differenziata dei rifiuti e poi riattiva un inceneritore?
Di chi, riguardo alla tutela del mare, non dice nulla sui dragaggi?


Per questo, partecipiamo alla manifestazione del 28 novembre, ma soprattutto organizziamoci insieme a chi vuole costituire un controllo popolare su tutte le questioni determinanti per la città.
Non basta una sola grande manifestazione per risolvere tutto.

Occorre che la città conosca le condizioni della fabbrica, che cittadini e operai impongano insieme, almeno, il rispetto delle leggi europee in materia di sicurezza e inquinamento, come primo tassello per una più ampia rivendicazione di diritti troppo a lungo disattesi.
Perché per rispettare la vita degli operai e la salute dei cittadini non si è costretti a chiudere una fabbrica, si devono fare meno profitti.
Ma occorre anche ampliare l'occupazione, intervenendo da subito sulle questioni ambientali; e occorre progettare e imporre, noi cittadini, un futuro della città fatto di lavori che ne risanino l'ambiente.
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Tratto da "La Gazzettadel Mezzogiorno"
Rischi da petrolio parte il controllo
di Giovanni Rivelli

POTENZA - Ci sono conseguenze delle attività estrattive sulla salute di quanti risiedono nei centri interessati? La domanda, nella sua semplicità, apre uno scenario vastissimo, mai affrontato compiutamente in nessuna parte del mondo e che sarà al centro, ora di un progetto di monitoraggio sanitario che interesserà i 31 comuni lucani del petrolio.
È la prima volta nel mondo che una ricerca epidemiologica a tappeto di questo tipo viene fatta in relazione alle attività estrattive di petrolio. Il progetto, varato dalla Giunta Regionale di Basilicata la scorsa settimana, è frutto di una proposta della Federazione Medici di Medicina generale della provincia di Potenza, i così detti «medici di famiglia», che rappresentano il cardine del monitoraggio, anche se la ricerca si avvale di importantissime partecipazioni scientifiche che coinvolgono, tra gli altri, l’Università’ Cattolica del Sacro Cuore e l’istituto Mario Negri sud.
Il progetto avrà una durata quinquennale e coinvolgerà una popolazione di circa 62mila abitanti con una spesa di circa 2 milioni e mezzo di euro (esattamente 2 milioni e 571mila euro) più o meno equamente distribuiti tra le varie annualità (il primo anno si spenderanno 547mila euro).

Il progetto, nella sua essenzialità, è abbastanza semplice.
La rete dei medici di famiglia, sul territorio, nell’ambito della normale attività di assistenza ai pazienti, provvederà a rilevare l’insorgenza di alcune patologie e segnalarla attraverso un apposito software. In questo modo si creerà una banca dati georeferenziata in grado di indicare una eventuale maggiore incidenza di alcune patologie e verificare se ci sia o meno una relazione alla vicinanza di possibili fonti di inquinamento. In questo modo sarà possibile conoscere quasi in tempo reale i problemi di salute, le patologie e soprattutto i fattori di rischio della popolazione residente nei comuni lucani interessati alla filiera produttiva del petrolio.
«Riscontrata l’incidenza di un problema di salute X - spiega il progetto - diventa importante utilizzare strumenti di monitoraggio territoriale che evidenzino, attraverso l’uso di cartografie digitali, la posizione ambientale e geografica dei pazienti, rispetto a determinati punti di interesse, ad esempio il cento olii o zone di stoccaggio di sostanze pericolose».
E nel momento in cui dovesse essere notato l’aumento dell’insorgenza di alcune patologie (anche se in letteratura non direttamente collegabili) nelle aree vicine sarebbe automatico ipotizzare una correlazione.
E proprio nell’individuazione di fattori statistici anomali e nella ricerca dei nessi di causalità tra l’esposizione ad inquinanti ambientali e la maggiore insorgenza di queste patologie costituirà l’approfondimento del progetto a cui parteciperanno partner tecnico-scientifici di primo piano come l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’istituto Mario Negri sud. Da oggi, insomma, ci saranno maggiori elementi di sicurezza nel monitoraggio degli effetti del petrolio sulla salute.

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