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27 giugno 2011

1) LIGURIA E AMBIENTE.2)Rinnovabili, la sfida per produrre energia dal mare 3)Scorie nucleari, un rebus ad alto rischio.

Tratto da Trucioli savonesi


LIGURIA E AMBIENTE
Nella classifica delle Regioni italiane più orientate verso la green economy, la Liguria è nelle ultime posizioni

Pochi giorni fa, è stata stilata da Fondazione Impresa la classifica delle Regioni italiane più orientate verso la green economy e quindi con più occupati nei diversi settori e con maggiore virtuosisimo dal punto di vista della qualità della vita. Spiace segnalare che mentre Trentino Alto Adige, Umbria, Friuli Venezia Giulia e Basilicata, si rivelano al top addirittura con indici di crescita dei settori economici legati a questa filiera, le ultime posizioni in classifica sono occupate invece da Liguria, Lazio e Puglia(nota di Uniti per la Salute:guarda caso tre regioni sedi di grosse centrali a carbone non green- economy ma black -economy)

L’obiettivo della ricerca è offrire una panoramica dell’Italia verde e stilare la classifica delle regioni italiane più virtuose e orientate alla Green Economy (cioè quel modello di sviluppo economico che, ai benefici ottenuti da un certo regime di produzione, somma anche dell’impatto ambientale e dei potenziali danni creati dall’intero ciclo di trasformazione).

E’ forse opportuno chiedersi come mai e per quali ragioni la Liguria occupa queste posizioni di coda in questi settori e sarebbe altrettanto decisivo se lo chiedesse la politica e l’insieme delle amministrazioni locali.

L’esperienza delle aree più virtuose, insegna che esistono ingredienti sempre presenti nelle ricette di governance di quelle realtà: programmazione comune e partecipata, risposte alle criticità con progetti innovativi, burocratizzazione e velocizzazione delle procedure, utilizzo efficace dei fondi Europei, idee ben chiare sul modello economico da adottare, forte difesa del territorio dall’antropizzazione selvaggia, utilizzo delle moderne tecnologie per ridurre l’impatto ambientale delle attività produttive, sostegno e finanziamento alle imprese che investono nel settore, decisa spinta delle energie rinnovabili diffuse.

E’ bene ricordare che in tutte queste regioni si sono riscontrate la maggiori crescite in termini percentuali di occupazione e presenza turistiche.

In questi tempi, nei quali nella nostra Provincia, si continuano a sostenere con un ripetitivo mantra, le solite vecchie soluzioni che forse andavano bene negli anni ’60, forse una più attenta lettura dei dati occupazionali di quelle aree e regioni che hanno investito ed investono sulla green economy, dovrebbero far riflettere le parti sociali e le forze politiche.

Ci sono modi diversi e di successo per produrre sviluppo ed occupazione, rispetto alla filiera del carbone ad esempio e forse una volta tanto copiare un po’ gli altri.

Potrebbe essere utile.

Roberto De Cia

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Tratto da "IL FATTO QUOTIDIANO

Rinnovabili, la sfida per produrre energia dal mare
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L’Italia, con i suoi oltre ottomila chilometri di costa, è circondata da una gigantesca fonte di energia rinnovabile: il mare. Un’energia, quella talassica, di cui si sente parlare meno delle più celebri energie del sole e del vento, ma che potrebbe risultare fondamentale ora che il paese sembra aver intrapreso un cammino verso le fonti alternative. E la possibilità di produrre energia elettrica da onde e correnti marine non è ferma solo a livello teorico: gli studi intrapresi finora stanno infatti cominciando a portare oggi i loro frutti, con una serie di brevetti italiani legati a tecnologie che sono in una fase spinta della sperimentazione, quando non già effettivamente messe in opera.

A metà giugno l’Enea (Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente) ha organizzato a Roma un workshop dedicato proprio alle “Prospettive di sviluppo dell’energia dal mare per la produzione elettrica in Italia”, durante il quale i maggiori studiosi nazionali del settore hanno presentato le loro proposte per sfruttare questa immensa energia che avvolge l’Italia e che è equivalente «a quella di sei centrali nucleari come i modelli di centrali Epr da 1.600 Megawatt che si sarebbero dovute costruire qui e che sono state respinte dal referendum» ha spiegato l’oceanologo Marco Marcelli, fondatore del Laboratory of Experimental Oceanology and Marine Ecology e docente all’Università della Tuscia.

Uno dei mari più “generosi” sotto questo aspetto è il mar Tirreno. E’ infatti a Formia che verrà prossimamente installato il sistema Rewec 3, progettato e realizzato dal Natural Ocean Engineering Laboratory (Noel), dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Si tratta di un dispositivo che si innesta all’interno di una normale diga foranea e sfrutta l’energia delle onde attraverso un sistema di camere che comprimono o espandono l’aria in esse contenute per effetto del moto ondoso e quindi fanno azionare delle turbine che, a loro volta, producono energia elettrica.

«Il progetto pilota – spiega Felice Arena, dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, intervenuto al workshop – dovrebbe essere pronto in un paio di anni nella diga foranea della Marina di Cicerone. Dai nostri calcoli abbiamo stimato che un chilometro di installazioni di questo tipo, per esempio lungo la nuova diga foranea di Genova potrebbero produrre circa 8.000 Megawattora ogni anno».


Se lo Stretto di Messina è così prodigo di energia, è il mare di Sardegna ad avere il maggiore potenziale energetico (Guarda la mappa su www.marescienza.it) fra i mari italiani. In particolare, la costa occidentale sarda e Alghero, dove non a caso è installato in prova il sistema ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter), progettato dal Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Torino. Si tratta di un dispositivo di tipo galleggiante che utilizza l’inclinazione del fianco dell’onda per produrre energia elettrica. L’onda che lo investe induce un moto di beccheggio e in questo modo si crea una oscillazione da cui un generatore elettrico opportunamente controllato estrae energia. Una delle caratteristiche del sistema è che esso è “tarato” proprio per il mar Mediterraneo e, in generale, per tutti i mari chiusi. Gli oceani, infatti, hanno solitamente onde che sono molto diverse da quelle del nostro mar Mediterraneo. Sono infatti onde molto alte e molto potenti e i dispositivi che convertono la loro energia in energia elettrica sfruttano proprio queste caratteristiche. Ma sono inadatti per mari come il Mediterraneo, in cui il parametro più rilevante non è l’altezza dell’onda, ma la frequenza delle onde. Il sistema ISWEC sfrutta appunto questo aspetto, riuscendo ad estrarre energia dal moto ondoso in modo proporzionale al quadrato della frequenza delle onde incidenti. Attualmente, il sistema è in prova in tre località: oltre ad Alghero, appunto, anche a La Spezia e Pantelleria, ed è riuscito a fornire una media di 2600 Megawattora all’anno.

di Stefano Pisani
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"IL FATTO QUOTIDIANO
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Qualenergia

2011, annus horribilis per il nucleare

Dopo Fukushima, ecco una nuova situazione molto critica per una centrale nucleare nel Nebraska invasa dalle acque del fiume Missouri; poi un rapporto ufficiale analizza il pessimo stato di 11 reattori russi. Ma nonostante ciò il governo britannico individua otto nuovi siti per ospitare nuove centrali nucleari entro il 2025

Nella centrale nucleare di Fort Calhoun (478 MW), in Nebraska, qualche giorno fa una inondazione mai vista del fiume Missouri ha sommerso per oltre mezzo metro gli edifici della centrale, superando le barriere di protezione (vedi foto). Il rischio gravissimo è quello di avere un blocco del sistema di raffreddamento, visto che per motivi precauzionali c’è stato il momentaneo distacco dell'impianto dalla rete elettrica. Ora sono in azione i generatori diesel di emergenza. Anche se non pare ci sia dispersione di radioattività, la situazione è critica perché la piena non è passata e all’interno della centrale sono stoccate anche 379 tonnellate di combustibile esausto e non tutte sono sigillate. La situazione è coperta dal silenzio dei media Usa ed è stato perfino vietato il sorvolo dell’area. Un’altra centrale in Nebraska, la Cooper Nuclear Station, potrebbe essere assediata dalle acque di questa piena.Leggi tutto.
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Tratto da La Voce dell'Emergenza

Fukushima: urina radioattiva negli abitanti vicino alla centrale


L’urina è un ottimo indicatore della nostra salute. Ci offre una valutazione attendibile di come mangiamo, di cosa beviamo. E dunque, anche nel caso in cui ciò che abbiamo ingerito contiene sostanze radioattive. E’ quanto sta accadendo agli abitanti situati a 30-40 Km dal reattore n°1 di Fukushima, ai quali è stata trovata traccia di radioattività nell’urina.PIPI’ RADIOATTIVA – Più di 3 mSv (millisieverts) di radiazione è stata trovata nelle urine di 15 abitanti residenti tra il villaggio di Fukushima, Iitate, e la città di Kawamata, confermando l’esposizione interna alle radiazioni.Leggi tutto

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Riceviamo da Giuseppe Di Braccio e pubblichiamo.


Scorie nucleari, un rebus ad alto rischio
-Una letale minaccia per l’uomo e l’ambiente-

Se una centrale ad energia atomica suscita paura le scorie da essa prodotte non sono da meno, stante l’elevato livello di pericolosità ed il perdurare nel tempo delle stesse; il termine tecnico “scorie ad alta radioattività e a vita lunga” è fin troppo esplicito nel delineare i rischi che permeano questo argomento, indubbiamente uno dei più delicati in materia di nucleare e dalla soluzione tutt’altro che scontata.

Basti pensare infatti che l’arco di vita dei residui radioattivi può estendersi fino ai 300.000 anni, un lasso di tempo considerevole e tale da porre una pesante ipoteca sui futuri scenari esistenziali del pianeta. Quel che è peggio, ed a dispetto di alcune dichiarazioni rassicuranti fatte da più di un politico sull’argomento, delle scorie nucleari allo stato attuale si conosce ben poco, sia per quel che concerne la loro effettiva pericolosità che in tema di depositi destinati ad accoglierle, enormi sarcofagi situati a centinaia di metri di profondità della cui sicurezza e tenuta nel tempo sono in moltissimi a dubitare. Certamente, i siti deputati a contenere un materiale di questo genere sono indispensabili e per il momento non si conoscono alternative ad essi, ma è parimenti vero che anche questo settore del nucleare è privo di certezze scientifiche, ed anzi i meccanismi che ne regolano il funzionamento risultano talmente complessi ed opinabili da suscitare le peggiori aspettative; gli esperti di sicurezza nucleare elencano al riguardo una serie di problematiche dalla spinosa soluzione, quali le reazioni chimiche determinate dalle radiazioni all’interno dei fusti di contenimento, la fisica dei flussi nelle materie radioattive immagazzinate, il “comportamento” dei metalli e del cemento utilizzati in occasione dello stoccaggio, la scelta delle rocce in cui imprigionare il carico di rifiuti. Il quadro è reso ancora più complesso dalla diversificazione delle scorie secondo il loro grado di radioattività (che indica di fatto il differente livello di pericolosità), ed ecco allora che le scorie di 3° grado o di alta attività, in particolare le ceneri prodotte dall’uranio, possono richiedere anche 100.000 anni per cessare di essere pericolose; attualmente è stato identificato un solo sito in grado di offrire sufficienti margini di sicurezza per il deposito delle scorie di terzo grado, esso si trova nel Nuovo Messico in una zona desertica e la sua realizzazione ha richiesto ben 25 anni di studio.
I depositi sono suddivisi in
quattro categorie, i depositi di superficie, i depositi di superficie con opera ingegneristica, i depositi in cavità o miniera e quelli geologici; a quest’ultima categoria, tuttora in fase di sperimentazione, appartiene il sito del Nuovo Messico, mentre la maggioranza degli impianti, circa 80, rientra nelle prime tre tipologie. Prescindendo in ogni caso dalle differenti caratteristiche delle scorie, i depositi destinati ad accogliere i residui nucleari non possono ovviamente essere realizzati in zone a rischio sismico e a comprovato dissesto idro-geologico, mentre per quel che concerne la tipologia delle rocce queste ultime debbono fornire assolute garanzie dall’eventualità di infiltrazioni di acqua, ragion per cui le migliori potrebbero essere l’argilla, il granito ed il sale. Le difficoltà nel reperire il sale hanno indotto alcuni paesi (ad es. dell’area scandinava) ad optare per il granito, particolarmente solido e compatto, mentre altri preferiscono ricorrere all’argilla, attraverso la quale la radioattività si muoverebbe più lentamente, ma è facile comprendere che ci si aggira ancora nel campo delle sperimentazione e di ipotesi che i fatti potrebbero smentire bruscamente. Per contro, i rischi legati alla salute ed all’ambiente sono di un’evidenza preoccupante; in Germania, in particolare, una recente indagine ha fatto emergere una allarmante correlazione tra l’aumento esponenziale della leucemia infantile e la presenza nelle vicinanze di un impianto nucleare. I bambini che vivono in un raggio di 5 chilometri da un reattore o da un deposito contenente scorie radioattive hanno infatti, secondo questi studi, un aumento del 76% del rischio di contrarre tale tipo di tumore rispetto ai coetanei che vivono in un raggio distante oltre i 50 chilometri. Posto dunque che quella legata all’atomo è una forma di energia tutt’altro che sicura ed affidabile, prova ne sia la recente tragedia di Fukushima, su di un punto è indispensabile che non sussistano incertezze;
che siano i cittadini ad avere l’ultima parola sull’argomento nucleare e sulla possibilità di esprimere il proprio rifiuto per una fonte energetica forse utile ma in larga parte ancora sconosciuta e, come hanno dimostrato alcune dolorose esperienze, terribilmente pericolosa.

Giuseppe Di Braccio

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