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20 dicembre 2017

Duke University :Le emissioni di vanadio crescono a ritmi vertiginosi

  • Tratto da http://www.rinnovabili.it

  • La ricerca della Duke University

    Le emissioni di vanadio crescono a ritmi vertiginosi

  • Fino a vent’anni fa, le emissioni di vanadio di origine antropica erano la metà di quelle naturali. Oggi il rapporto è capovolto a causa dell’uso di combustibili fossili

vanadio


Quali sono i rischi delle emissioni di vanadio per la popolazione?


(Rinnovabili.it) – Le emissioni di vanadio di origine antropica sono aumentate in maniera esponenziale dall’inizio del XXI secolo, soprattutto per causa del crescente uso di petrolio pesante, sabbie bituminose e coke di petrolio per la produzione di energia. Lo afferma una nuova ricerca della Duke University, la prima a quantificare gli input umani e naturali nel ciclo globale del vanadio.
Il vanadio è un metallo che si può rinvenire in molti materiali di origine geologica, tra cui petrolio e carbone. Viene emesso come particolato durante la combustione e può essere rilasciato anche durante le operazioni di estrazione e lavorazione. Le fonti naturali di emissioni di vanadio sono due: le eruzioni vulcaniche e l’operato degli agenti atmosferici sulle rocce. Fino a vent’anni fa, il rapporto tra emissioni umane e naturali di vanadio era di 0,59:1, poi una rapida crescita dovuta al maggiore uso di combustibili fossili ha invertito le proporzioni. Oggi, spiega il professor William Schlesinger, che insegna biogeochimica alla Duke e ha coordinato lo studio, «le emissioni umane di vanadio nell’atmosfera superano quelle di tutte le fonti naturali combinate di un fattore di 1,7».

I rischi per la salute derivanti dall’esposizione alle particelle che finiscono nell’aria non sono documentati come invece accade per altri contaminanti, ad esempio mercurio e piombo. Ma crescono le ricerche secondo cui il vanadio compromette le funzioni respiratorie e acuisce malattie come asma e polmonite cronica.
Le raffinerie di petrolio e coke – spiega Schlesinger – sono generalmente costruite in aree in cui i residenti non hanno peso politico o economico per contrattaccare, il che non facilita una regolamentazione delle emissioni. Ma la speranza dei ricercatori è che questa prima analisi che mette in risalto il boom del contaminante, possa portare presto all’apertura di un dibattito che sfoci in misure di riduzione tese a proteggere le popolazioni esposte.

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