Tratto da Greenpeace
Ma che caldo fa?
di Felice Moramarco
Non chiamatelo maltempo!
Avete presente quei rituali servizi giornalistici che ciclicamente
ogni estate, da chissà quanti anni ormai, ci forniscono suggerimenti su come affrontare il grande caldo stagionale? Raccomandazioni di buon senso, come bere molta acqua,
mantenersi leggeri a tavola, non uscire durante le ore più calde,
mantenere gli ambienti di casa e lavorativi sempre freschi.
Consigli certamente utili, che però probabilmente non tengono
conto dell’emergenza climatica in corso, che renderà più frequenti
e intensi fenomeni come le ondate di calore.
Oltre i 32°
In Italia, dagli anni Ottanta ad oggi, si sono moltiplicate le
giornate in cui nelle nostre città si sono registrate temperature
superiori ai 32°C, come riporta un’elaborazione realizzata dalla
Infodata de Il Sole 24 Ore su un’analisi a livello mondiale
condotta per il The New York Times dal Climate Impact Lab.
A Milano, ad esempio, nel 1988 sono state rilevate 8 giornate
con temperature al di sopra dei 32°, mentre oggi se ne registrano
quasi 3 volte tante, ovvero 22. Nella città più calda d’Italia,
ovvero Caserta, “trent’anni fa si superavano i 32 gradi 44 giorni
l’anno, oggi 68 e fra 50 anni 86”. Uno scenario realizzato
basandosi sulle riduzioni di gas serra previste dagli Accordi
di Parigi, e dunque piuttosto ottimistico dato che al momento
questi obiettivi sono ben lontani dall’essere raggiunti.
Più energia
Per contrastare il grande caldo si userà sempre più energia.
Come si legge in uno studiopubblicato su Nature Communications
da ricercatori dell’International Institute for Applied Systems
Analysis (Austria), Università Ca ‘ Foscari Venezia e CMCC
(Italia) e Boston University (USA), “i cambiamenti climatici
porteranno la domanda globale di energia nel 2050 ad un
aumento compreso tra l’11% e il 27% se il riscaldamento sarà
modesto, e tra il 25% e il 58% se il riscaldamento sarà elevato”.
Il maggiore incremento di richiesta di energia sarà dovuto alla
domanda di elettricità per raffreddare gli ambienti nell’industria
e nel settore dei servizi. È opportuno ricordare che oggi gran
parte dell’energia proviene da combustibili fossili (gas, petrolio
e carbone), la causa principale delle emissioni di gas serra.
In pratica, per difenderci dal caldo rischiamo di alimentare
i cambiamenti climatici, a meno di non usare energia rinnovabile.
La buona notizia è che si può fare.
Apartheid climatico
L’emergenza climatica colpisce tutti, ma ha impatti più pesanti
sui più deboli. Come spiega Bas van Ruijven, ricercatore
dell’International Institute for Applied Systems Analysis,
“più basso sarà il reddito pro capite, maggiore sarà la quota
di questo reddito che le famiglie dovranno dedicare per adattarsi
agli aumenti della domanda di energia. […]
I più poveri dovranno quindi confrontarsi non solo con sfide
pecuniarie, ma anche con il maggiore rischio di malattie e di
mortalità legate al calore, in particolare nelle aree con forniture
di elettricità inaffidabili o dove mancano del tutto le connessioni
alla rete“.
Dichiarazioni in linea con quanto affermato recentemente
da Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà.
Per le Nazioni Unite, l’emergenza climatica rischia di generare
un “apartheid climatico”, con le fasce di popolazioni più ricche
che avranno più mezzi a disposizione per affrontare le
conseguenze del clima che cambia, e le popolazioni meno
abbienti colpite dalla “potenziale penuria di cibo e dai conflitti
che potrebbero accompagnare questo cambiamento”.
Un mondo 100% rinnovabile
I consigli di buon senso su come superare il gran caldo nel breve
termine sono sempre ben accetti. Ma se vogliamo porre un
argine all’emergenza climatica in corso, e alle sue drammatiche
conseguenze ambientali e sociali, abbiamo bisogno di
abbandonare subito i combustibili fossili e accelerare la
transizione per produrre, su tutto il Pianeta, energia 100 per
cento rinnovabile. Anche per non commettere il paradossale
errore di alimentare ulteriormente il riscaldamento globale,
nel solo tentativo di sopportare ondate di
calore sempre più estreme.
Ma che caldo fa?
di Felice Moramarco
Non chiamatelo maltempo!
Avete presente quei rituali servizi giornalistici che ciclicamente
ogni estate, da chissà quanti anni ormai, ci forniscono suggerimenti su come affrontare il grande caldo stagionale? Raccomandazioni di buon senso, come bere molta acqua,
mantenersi leggeri a tavola, non uscire durante le ore più calde,
mantenere gli ambienti di casa e lavorativi sempre freschi.
Consigli certamente utili, che però probabilmente non tengono
conto dell’emergenza climatica in corso, che renderà più frequenti
e intensi fenomeni come le ondate di calore.
Oltre i 32°
In Italia, dagli anni Ottanta ad oggi, si sono moltiplicate le
giornate in cui nelle nostre città si sono registrate temperature
superiori ai 32°C, come riporta un’elaborazione realizzata dalla
Infodata de Il Sole 24 Ore su un’analisi a livello mondiale
condotta per il The New York Times dal Climate Impact Lab.
A Milano, ad esempio, nel 1988 sono state rilevate 8 giornate
con temperature al di sopra dei 32°, mentre oggi se ne registrano
quasi 3 volte tante, ovvero 22. Nella città più calda d’Italia,
ovvero Caserta, “trent’anni fa si superavano i 32 gradi 44 giorni
l’anno, oggi 68 e fra 50 anni 86”. Uno scenario realizzato
basandosi sulle riduzioni di gas serra previste dagli Accordi
di Parigi, e dunque piuttosto ottimistico dato che al momento
questi obiettivi sono ben lontani dall’essere raggiunti.
Più energia
Per contrastare il grande caldo si userà sempre più energia.
Come si legge in uno studiopubblicato su Nature Communications
da ricercatori dell’International Institute for Applied Systems
Analysis (Austria), Università Ca ‘ Foscari Venezia e CMCC
(Italia) e Boston University (USA), “i cambiamenti climatici
porteranno la domanda globale di energia nel 2050 ad un
aumento compreso tra l’11% e il 27% se il riscaldamento sarà
modesto, e tra il 25% e il 58% se il riscaldamento sarà elevato”.
Il maggiore incremento di richiesta di energia sarà dovuto alla
domanda di elettricità per raffreddare gli ambienti nell’industria
e nel settore dei servizi. È opportuno ricordare che oggi gran
parte dell’energia proviene da combustibili fossili (gas, petrolio
e carbone), la causa principale delle emissioni di gas serra.
In pratica, per difenderci dal caldo rischiamo di alimentare
i cambiamenti climatici, a meno di non usare energia rinnovabile.
La buona notizia è che si può fare.
Apartheid climatico
L’emergenza climatica colpisce tutti, ma ha impatti più pesanti
sui più deboli. Come spiega Bas van Ruijven, ricercatore
dell’International Institute for Applied Systems Analysis,
“più basso sarà il reddito pro capite, maggiore sarà la quota
di questo reddito che le famiglie dovranno dedicare per adattarsi
agli aumenti della domanda di energia. […]
I più poveri dovranno quindi confrontarsi non solo con sfide
pecuniarie, ma anche con il maggiore rischio di malattie e di
mortalità legate al calore, in particolare nelle aree con forniture
di elettricità inaffidabili o dove mancano del tutto le connessioni
alla rete“.
Dichiarazioni in linea con quanto affermato recentemente
da Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sull’estrema povertà.
Per le Nazioni Unite, l’emergenza climatica rischia di generare
un “apartheid climatico”, con le fasce di popolazioni più ricche
che avranno più mezzi a disposizione per affrontare le
conseguenze del clima che cambia, e le popolazioni meno
abbienti colpite dalla “potenziale penuria di cibo e dai conflitti
che potrebbero accompagnare questo cambiamento”.
Un mondo 100% rinnovabile
I consigli di buon senso su come superare il gran caldo nel breve
termine sono sempre ben accetti. Ma se vogliamo porre un
argine all’emergenza climatica in corso, e alle sue drammatiche
conseguenze ambientali e sociali, abbiamo bisogno di
abbandonare subito i combustibili fossili e accelerare la
transizione per produrre, su tutto il Pianeta, energia 100 per
cento rinnovabile. Anche per non commettere il paradossale
errore di alimentare ulteriormente il riscaldamento globale,
nel solo tentativo di sopportare ondate di
calore sempre più estreme.
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