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27 febbraio 2020

Matteo Ceruti: Sulla legittimazione dei comuni a proporre opposizione al Consiglio dei ministri in ipotesi di dissenso in conferenza di servizi

Tratto da Rivista Giuridica dell’ Ambiente 



Sulla legittimazione dei comuni a proporre opposizione al Consiglio dei ministri in ipotesi di dissenso in conferenza di servizi
dell Avv. Matteo Ceruti
CONSIGLIO DI STATO, Sez. I – parere 25 settembre 2019, n. 2534 – Pres. Torsello, Est. Carpentieri – Presidente del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo. 
Le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini cui è riservata l’opposizione in sede di Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, devono identificarsi – anche alla luce del combinato disposto degli artt. 14-quinquies e 17, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990 – in quelle amministrazioni alle quali norme speciali attribuiscono una competenza diretta, prevalentemente di natura tecnico-scientifica, e ordinaria ad esprimersi attraverso pareri o atti di assenso comunque denominati a tutela dei suddetti interessi così detti “sensibili”, e tale attribuzione non si rinviene, di regola e in linea generale, nelle competenze comunali di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 267 del 2000, né tra le competenze in campo sanitario demandate al Sindaco e al Comune dal testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. n. 1265 del 1934, né tra le altre funzioni fondamentali (proprie o storiche) dei Comuni, fatta salva, comunque, la necessità di una verifica puntuale, da condursi caso per caso, della insussistenza di norme speciali, statali o regionali che, anche in via di delega, attribuiscano siffatte funzioni all’ente comunale. 
Con la pronuncia in commento la Sezione I del Consiglio di Stato ha espresso il parere, richiesto dal Dipartimento per il coordinamento amministrativo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla “Legittimazione del comune dissenziente a proporre opposizione avverso la determinazione conclusiva della conferenza di servizi, ai sensi dell’articolo 14-quinquies, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dall’articolo 7 del decreto legislativo 30 giugno 2016, n.127”[1].
In particolare il citato Dipartimento, premettendo che pervengono alla Presidenza del C.d.M. numerose opposizioni (ai sensi del citato art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990) proposte da amministrazioni comunali chiamate ad esprimersi in seno a conferenze di servizi su progetti di impianti od opere da autorizzare da parte di amministrazioni prevalentemente regionali, poneva al Consiglio di Stato in sede consultiva i seguenti due quesiti:
1°) in termini generali, se le amministrazioni comunali possano rientrare tra i soggetti deputati alla cura dei cd. “interessi sensibili” menzionati dall’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 -ossia tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini- e, dunque, risultare conseguentemente legittimate a sollevare l’opposizione al Cd.M. prevista dalla medesima disposizione;
2°) se sussista una particolare situazione di legittimazione comunale ad azionare tale strumento oppositivo nell’ambito del procedimento di AIA-autorizzazione integrata ambientale.
Sul primo quesito di natura generale il Consiglio di Sato, sulla base di un’esegesi testuale dell’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, della ratio del d.lgs. n. 127 del 2016 e del quadro legislativo statale generale e di settore, chiarisce di essere del parere che i Comuni, che abbiano manifestato il proprio motivato dissenso in seno alla conferenza di servizi, almeno in linea di principio, non possano considerarsi titolari della “legittimazione” a sollevare opposizione a tutela dei citati interessi “sensibili” perché l’amministrazione comunale è ente esponenziale della collettività locale competente per la tutela della generalità degli interessi, quando invece la disposizione in esame richiederebbe un’apposita “preposizione” all’esercizio di funzioni di tutela di quegli interessi “sensibili”, con competenze -che si precisa- debbono essere “eminentemente tecnico-scientifiche”. Di talché, si sostiene nel parere, tali amministrazioni si identificano tendenzialmente con quelle contemplate dal comma 2 dell’art. 17 della stessa legge n. 241 del 1990 le cui valutazioni tecniche in materia di tutela ambientale, culturale, paesaggistica e della salute dei cittadini sono non surrogabili.
Una tale conclusione -chiarisce il Consiglio di Stato- non può tuttavia essere espressa in termini assoluti in quanto un potere di opposizione comunale potrebbe comunque ravvisarsi allorquando la pertinente legislazione speciale di settore, statale o regionale, attribuisca o deleghi talune competenze in materia di tutela ambientale, paesaggistica o sanitaria ai Comuni. Il tutto con l’ulteriore precisazione, però, che all’uopo non basterà una norma (statale o regionale) di attribuzione o di delega di funzioni di tutela in quanto tali, ma occorrerà che queste ultime si concretizzino in pareri (o comunque in atti di assenso) di natura tecnica, potenzialmente non surrogabili e di per sè ostativi al rilascio dell’autorizzazione in conferenza di servizi.
Di qui, dunque, l’invito alla Presidenza del C.d.M. a verificare l’ammissibilità dell’opposizione comunale sulla base di una conseguente analisi della specifica disciplina di settore applicata nel caso concreto.
Su tali conclusioni si impongono un paio di sintetiche osservazioni.
La prima è che, sulla base della disamina della legislazione statale di settore condotta nel parere del Consiglio di Stato, gli spazi effettivi di legittimazione comunale all’opposizione, seppure non preclusi in toto, risultano davvero molto limitati, anche in materie in cui il ruolo comunale appare in realtà centrale; così, ad esempio, viene negato un tale potere in materia di autorizzazione paesaggistica, anche laddove il rilascio della stessa sia stata delegata dalla Regione ai Comuni (ai sensi dell’art. 146, comma 6, d.lgs. n. 42 del 2004).
Il secondo rilievo attiene alla limitazione operata dalla Sezione I del Cons. Stato del novero delle amministrazioni (preposte alla cura degli interessi sensibili) legittimate a sollevare l’opposizione alle sole autorità aventi competenze tecnico-scientifiche, con sostanziale identificazione nelle amministrazioni dell’art. 17, comma 2 della legge n. 241/1990, ossia ARPA, ASL, Soprintendenze, Vigili del fuoco, ecc.
In proposito si evidenzia come un tale esito interpretativo risulti in significativo contrasto con l’orientamento (espresso sia dai Tar che dallo stesso Consiglio di Stato in sede giurisdizionale) volto a negare un effettivo ruolo decisionale di queste autorità tecniche in occasione del rilascio delle autorizzazioni ambientali in quanto ritenute titolari di semplici funzioni consultive e non dotate di competenze proprie da esprimere nelle conferenze di servizi decisorie[2].
Cosicché  si è conseguentemente pervenuti ad affermare che il parere negativo espresso da ARPA nelle conferenze di servizi non impone(va) -nel sistema previgente alla “riforma Madia”- di rimettere la questione alla deliberazione del Consiglio dei ministri in quanto, appunto, le agenzie per la protezione dell’ambiente non sono titolari di competenze decisorie[3].
Appare difficile in questo momento prevedere se a prevalere sarà la posizione del Consiglio di Stato in sede consultiva o quella del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.
Sulla base del medesimo principio enunciato sulla prima questione, col parere in esame viene fornita risposta anche al secondo quesito posto dalla Presidenza del C.d.M., relativo all’individuazione degli spazi di legittimazione comunale ad azionare lo strumento oppositivo nello specifico procedimento di rilascio dell’AIA-autorizzazione integrata ambientale, considerando la particolare disposizione dell’art. 29-quater del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale prevede al comma 6 che nell’ambito della conferenza “vengono acquisite le prescrizioni del sindaco di cui agli artt. 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265”.
E così, sul presupposto che ai fini della “legittimazione” a proporre l’opposizione non risulta sufficiente un qualsivoglia riconoscimento di funzioni di tutela ambientale e sanitaria, risultando necessaria un’attribuzione di competenza caratterizzata da connotazioni tecniche e specialistiche, nel parere si perviene alla conclusione che dall’esame del combinato disposto dell’art. 29-quater del d. lgs. n. 152 del 2006 e degli artt. 216-217 del Testo unico delle leggi sanitarie si evincerebbe che le competenze attribuite al sindaco del Comune di ubicazione dell’industria insalubre sottoposta ad AIA non presentano (più) le originarie caratteristiche di specificità e tecnicità, tali da fondare la legittimazione all’opposizione ex art. 14-quinquies della legge sul procedimento amministrativo.
Questo perché il potere del sindaco quale autorità sanitaria locale in tema di industrie insalubri sarebbe stato significativamente ridimensionato dalla normativa in materia di AIA che non consente di ipotizzare come ancora applicabile la potestà di preventiva inibitoria del sindaco cui sono ormai attribuiti solo poteri di prescrizione (comma 6 dell’art. 29-quater) e di richiesta di riesame dell’autorizzazione integrata in caso di circostanze intervenute successivamente al suo rilascio e rilevanti sotto il profilo della salute pubblica (comma 7 dello stesso articolo).
Una tale esegesi, pur fondata su una pregevole ricostruzione del quadro legislativo, non pare tuttavia valorizzare appieno il dato testuale, anche alla luce dell’evoluzione normativa della disciplina di rilascio dell’AIA.
Si deve infatti considerare che il citato comma 6 dell’art. 29-quater del Codice dell’ambiente statuisce in termini che appaiono piuttosto chiari che nella conferenza di servizi “vengono” (e non “possono essere”) “acquisite” (e non “valutate” o “considerate”) le “prescrizioni” (e non le “valutazioni” o il “parere”) del sindaco.
L’imprescindibilità di tali prescrizioni sindacali -quale si desume dalla lettera della legge- ha poi assunto ulteriore pregnanza con l’intervenuta soppressione dell’originaria disposizione del d.lgs. n. 59 del 2005 che prevedeva che delle stesse si potesse prescindere in caso di mancata espressione del Comune entro sessanta giorni dall’avvio del procedimento[4]. Per cui è sulla base di una tale previsione normativa, ormai superata, che si era affermato il principio per cui l’assenza delle prescrizioni del sindaco di cui agli art. 216 e 217 r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 in sede di conferenza non comporta(va) l’illegittimità dell’AIA[5].
Alla luce di quanto testè precisato, se risulta senz’altro persuasiva la tesi espressa nello stesso parere del Consiglio di Stato qui in commento ove si nega l’esistenza di una potestà comunale di veto al rilascio dell’AIA, pare assai meno ragionevole la tesi per cui  le prescrizioni sindacali attinenti non all’an ma al quomodo dell’attività dell’industria insalubre -volte cioè alla conformazione dell’attività medesima secondo modalità  ritenute indispensabili per la tutela della salute pubblica locale- non possano considerarsi (almeno potenzialmente) vincolanti in sede di conferenza; in particolare ove tali prescrizioni siano fondate su conformi pareri di organi tecnici, ancorché -è questo il punto- non invitati in conferenza, evenienza quest’ultima per nulla peregrina, in particolare per le ASL. Il tutto con ogni conseguenza in termini di riconoscimento della legittimazione comunale all’opposizione in caso di rilascio, all’esito della conferenza, di un’AIA priva di tali prescrizioni sindacali.
In conclusione, se col parere in esame, da un lato, assistiamo ad un ridimensionamento (ancorché non ad una radicale esclusione) del ruolo comunale in seno alle conferenze di servizi in materia ambientale che per certi versi andrebbe più attentamente calibrato (in particolare, in materia di AIA), d’altro canto si assegna opportunamente alle autorità tecniche in materia sanitaria ed ambientale una centralità in seno alle conferenze di servizi che sinora era stata negata dalla giurisprudenza la quale ne aveva, al più, “tollerato” la partecipazione alle conferenze decisorie quali soggetti privi di competenze proprie.
E tuttavia v’è il concreto rischio che un tale riconoscimento di centralità del parere delle autorità tecniche si riveli sostanzialmente velleitario laddove -a seguito del d.lgs. n. 127/2016- le stesse amministrazioni che abbiano espresso un dissenso “qualificato” sono onerate di proporre un ricorso in opposizione al C.d.M. avverso la determinazione della conferenza: iniziativa quest’ultima che difficilmente può prescindere da valutazioni politico-amministrative (tant’è che per le amministrazioni statali dissenzienti l’opposizione è proposta dal Ministro competente) e che appare per certi versi incompatibile con la stessa missione tecnico-scientifica di questi organismi.
In un tale contesto si crede di essere facili profeti nel prevedere che ben poche opposizioni verranno proposte da ASL, ARPA o Vigili del Fuoco.
L’obiettivo di deflazionare il carico gravante sul Consiglio dei ministri sarà senz’altro raggiunto; ma probabilmente con l’effetto di aumentare il contenzioso giurisdizionale.
In ogni caso, con gravi rischi di ulteriore indebolimento della tutela procedimentale degli (ex) “interessi sensibili”.
Per il testo della sentenza (estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa) cliccare sul pdf allegato
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