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05 maggio 2021

ILVA, procedura di infrazione per mancato rispetto della direttiva europea 75

Tratto da Peacelink


Lettera di PeaceLink alla Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea

ILVA, procedura di infrazione per mancato rispetto della direttiva europea 75/2010/UE

Riteniamo che sull’ILVA, nonostante il parere motivato della Commissione Europea, i governi italiani abbiano agito in contrasto con le norme europee. Oggi non è l’ILVA che si uniforma all’Autorizzazione Integrata Ambientale ma è l’Autorizzazione Integrata Ambientale che si conforma sull’ILVA.
2 maggio 2021
Alessandro Marescotti (Presidente di PeaceLink)

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Lettera alla Direzione Generale della Commissione Europea

Oggetto: procedura di infrazione INFR(2013)2177 sull’ILVA di Taranto

Scriviamo questa lettera per chiedere informazioni sulla procedura di infrazione per lo stabilimento ILVA di Taranto. Tale stabilimento è attualmente di proprietà di ILVA in a.s. ed è stato gestito dal 2018 da ArcelorMittal Italia. Recentemente è stata costituita Acciaierie d’Italia, un società nata dall'accordo fra Invitalia e ArcelorMittal Italia. 

PeaceLink negli scorsi anni ha fornito molto materiale sulle criticità dell'ILVA di Taranto. 

Grazie alle ripetute sollecitazioni di PeaceLink e agli incontri che abbiamo avuto a Bruxelles con la Commissione Europea, nel 2013 è stata avviata la procedura di infrazione europea INFR(2013)2177alla direttiva 75/2010, procedura che ci risulta sia ancora aperta. 

Il 16/10/2014 la Commissione Europea ha inviato all’Italia il parere motivato (art. 258 del TFUE). A tale parere la Commissione Europea giunge quando un paese della UE è venuto meno ai propri obblighi di fronte al diritto europeo. Il parere motivato è una richiesta formale di conformarsi al diritto dell'Unione in cui è spiegato perché si ritiene che il paese violi il diritto dell'UE. 

La Commissione Europea, con tale atto del 16/10/2014, ha quindi richiamato l’Italia al rispetto della direttiva sull’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) ma, per tutta risposta, l’Italia ha fatto l’esatto contrario, interpretando quell’AIA come un elastico da allungare sempre di più, approvando di proroghe pretestuose e inaccettabili delle scadenze delle prescrizioni, attraverso leggi salva-ILVA e vari provvedimenti in deroga all’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Tali proroghe hanno avuto come effetto quello di spostare il termine dell’attuazione delle prescrizioni dal 2015 al 2017 e infine al 2023. E oggi si apprestano a prorogare oltre il 2023 in virtù delle clausole contenute nell’accordo fra INVITALIA e ArcelorMittal Italia. L’Italia ha così ignorato gli adempimenti richiesti dalla Commissione Europea. E si prepara a fare ancor peggio con la nuova società Acciaierie d’Italia proseguendo nella strada senza fine delle proroghe, venendo meno a ogni certezza delle scadenze prefissate e togliendo ogni credibilità all’Autorizzazione Integrata Ambientale

Oggi non è l’ILVA che si uniforma all’Autorizzazione Integrata Ambientale ma è l’Autorizzazione Integrata Ambientale che si conforma sull’ILVA. 

Il parere motivato della Commissione Europea è diventato ininfluente agli occhi dei governi italiani in assenza del passaggio successivo: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

I governi italiani, invece di mostrare celerità nel mettere a norma gli impianti e di mostrarsi diligenti, hanno esercitato l’ars retorica pur di prendere tempo e di posticipare in continuazione l’adozione delle migliori tecnologie, come nel caso dei filtri a manica Meros dell’impianto di sinterizzazione. 

Il disconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini sanciti dalla Carta di Nizza ha comportato il 24 gennaio 2019 una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). E per tutta risposta le scelte che si profilano sono - come si è detto - quelle di allungare ulteriormente i tempi del cronoprogramma ambientale, oltre il 2023.  

Il 13 febbraio 2021 il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Lecce ha disposto il fermo degli impianti dell’area a caldo per la loro pericolosità. Tali impianti erano stati posti sotto sequestro senza facoltà d’uso dalla magistratura nel 2012. Hanno potuto funzionare solo con deroghe concesse dai provvedimenti salva-ILVA, varati con la promessa che gli impianti sarebbero stati messi a norma. Ma, a distanza di nove anni, la sentenza della CEDU e quella del TAR mostrano che la popolazione è stata ed è esposta a un rischio sanitario inaccettabile, come attestato anche dalla VIIAS (Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario). 

A completare questo quadro vi sono i dati dell’Istituto Superiore della Sanità che mostrano un eccesso di leucemie infantili e una perdita del quoziente di intelligenza nei bambini che vivono accanto alla fabbrica e che, nei giorni di vento, non possono aprire le finestre. La copertura dei parchi minerali ha contenuto le polveri pesanti ma non ha fermato le polveri sottili(ossia il PM10 e il PM2,5). Queste polveri sottili, molto più nocive delle polveri pesanti, sono originate infatti dai processi di combustione basati sul carbone e, purtroppo, non si è registrata alcuna loro diminuzione nel 2020 dopo il completamento della copertura dei parchi minerali. Prova ne è il fatto che la sentenza del TAR è giunta dopo la copertura dei parchi minerali. Tale sentenza si concentra in particolare sulle emissioni anomale dell’area caldo e dell’impianto di sinterizzazione in particolare.     

Al fine di meglio documentare quanto sopra citato, si allega una relazione aggiornata sulle criticità dell’ILVA e sulla situazione sanitaria.

Ci rivolgiamo alla Commissione Europea perché riteniamo che sull’ILVA, dopo il parere motivato della Commissione Europea, i governi italiani abbiano pervicacemente agito nel totale disconoscimento di quanto richiesto dalla Commissione Europea

Il Ministero dell’Ambiente, ora Ministero della Transizione Ecologica, si troverà adesso di fronte alla difficile scelta di concedere quelle “modifiche del piano ambientale dell'azienda” che sono clausole sospensive al perfezionamento della nuova società Acciaierie d’Italia. Quelle modifiche, come già detto, contemplano un’ulteriore proroga delle prescrizioni ambientali dell’AIA, oltre il 2023. 

Riteniamo che - di fronte a questo evidente atteggiamento dilatorio - sia necessario avviare la procedura di deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la violazione della Direttiva 75/2010/EU.

L’articolo 8 di tale direttiva europea prevede che “laddove la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un pericolo immediato per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata” venga “sospeso l’esercizio dell’installazione (...) o della relativa parte interessata”. 

Il merito al “pericolo immediato per la salute umana” il TAR di Lecce è stato chiaro nella sua sentenza a dichiarare “la piena sussistenza, nella fattispecie in esame del presupposto grave pericolo per la salute e per la vita dei cittadini, che – nel caso della città di Taranto deve ritenersi immanente e permanente”. Il fatto che tale “pericolo immediato” si protragga da decenni non significa che la popolazione di Taranto ne abbia fatto l’abitudine e si sia rassegnata a morire: tale pericolo “immediato” è purtroppo diventato - come scrive il TAR - “permanente”. E ciò accresce le responsabilità di tutti coloro i quali ancora adottano un atteggiamento di attesa e di colpevole inerzia.

A ciò si aggiunga che - per ciò che riguarda gli aspetti ambientali relativi alle emissioni climalteranti - lo stabilimento ILVA, unitamente alle centrali termoelettriche CET2 e CET 3 alimentate dai gas di altoforno e di cokeria, è la principale fonte di CO2 in Italia. Se si vogliono contrastare i cambiamenti climatici in Italia occorre pertanto cominciare dall’ILVA, non a caso definita un “climate monster”. 

Occorre sottolineare che non esiste alcun cronoprogramma per la decarbonizzazione dell’ILVA e che i tempi stimati per tale processo sembrano ancora più lunghi di quelli della messa a norma degli impianti a carbone, tanto più che non sono state scelte neppure le tecnologie per attuale tale transizione per Taranto.

Alla popolazione di Taranto, ormai allo stremo, non si può più chiedere di attendere ancora. La popolazione da anni resiste all’assedio dell’inquinamento ed è bersaglio di malattie terribili, con crescenti perdite e centinaia di morti connessi alle emissioni siderurgiche, come acclarato dalle perizie della magistratura. Tale assedio va interrotto per ragioni umanitarie, oltre che sanitarie.

Chiediamo di essere ascoltati come in passato e riponiamo nella Commissione Europea la fiducia che agisca nei tempi più rapidi, anche alla luce delle evidenze scientifiche e giuridiche che intendiamo documentare nelle pagine a seguire

In attesa di un riscontro, restiamo a disposizione e inviamo cordiali saluti.

Per l’Associazione PeaceLink

Alessandro Marescotti

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