Tratto da Il Fatto Quotidiano
Sorridenti come Monna Lisa ci spiegano che uno sviluppo equilibrato
(non dicono “sano”) esige “l’uomo al centro”. E questa faccenda
dell’uomo al centro ricorre di continuo. Però i governi, giù giù, sino a
quelli locali, dimostrano che in pochi stanno al “centro”.
Gli altri
sono cacciati “dal centro”.
Se
davvero l’uomo fosse “al centro” avremmo pensato ai malati e senza
lavoro di Portovesme, Portotorres, Taranto e capito che quando il suo
ambiente soffre anche l’uomo soffre e diventa povero e malato.
Ora non
c’è proprio nulla da mediare. La mediazione tra cose non mediabili non è
mediazione. E’ una costrizione, una violenza, un’ingiustizia. E anche
confondere i bersagli è iniquo.
E’ una balla che il lavoro sia in
competizione con l’ambiente e la salute.E’ l’industria in guerra con i cittadini.
In
Sardegna da mezzo secolo, da quando il carbone sardo divenne troppo
costoso, nessuno – salvo l’Ocse nel ’59 – ha proposto una crescita
fisiologica, ma solo false economie di cartapesta destinate, tutti lo
sapevano, al fallimento. Non esiste un ambientalismo antindustriale.
Esistono industrie che avvelenano e altre che rispettano le regole. Il
nemico è l’industrialismo degenerato, tossico e corruttore.
Invece il
Presidente pugliese predica per l’Ilva che “anche la vita operaia è un
eco-sistema da proteggere”.
Perché,
dunque, mentre “l’ecosistema operaio” si ammalava e moriva, non ha
chiesto ai magistrati di applicare la legge? Dice che serve una
mediazione storica e lui le mediazioni, se non sono storiche, neppure le
guarda. Ma la mediazione in sé non è un bene. Dipende, è ovvio, da cosa
e come si media. Ci sono mediazioni condotte da mezzani e, più rare,
mediazioni buone.
Nel frattempo avverranno, senza mediazione, le morti che covano nelle incubatrici di Taranto, della Sardegna e dell’Italia intera.
L’angoscia degli operai del Sulcis
è aggravata da un filone di senatori, deputati e sindaci che scendono
un’oretta in miniera e poi vengono estratti al posto del carbone. Due
veri economisti, Pigliaru e Lanza, ci ricordano che i sussidi dello
Stato nel decennio ‘85-‘95 superarono i 900 miliardi di lire. Più 250
miliardi dell’Eni nel 1985. Più i contributi della Regione e dell’Enel
che acquistava l’energia generata dal carbone del Sulcis a un costo del
100% superiore a quello di produzione. Insomma, si arricchivano le
imprese impipandosi dei lavoratori. E nessuno sosteneva il loro reddito e
li accompagnava verso una nuova occupazione. Se i soldi spesi per il
carbone del Sulcis fossero stati attribuiti non all’impresa ma ai
lavoratori, ogni operaio avrebbe avuto a disposizione una dote di un
miliardo di lire e una rendita mensile di circa 1400 euro. E a fine
periodo il capitale iniziale sarebbe rimasto intatto.
Il caso Alcoa.
La Sardegna importa bauxite, avvelena il territorio e esporta
alluminio. Insostenibili i costi per la salute e per l’economia. Intanto
Alcoa, in Russia e in Arabia Saudita, realizza a prezzi bassi impianti
grandi cinque volte Portovesme. Alcoa non esiste più in Sardegna.
Ma
né sindacati, né istituzioni, orientano chi deve affrontare dolorose
trasformazioni, nessuno accompagna questo percorso necessario.
Chi
garantisce un reddito nel periodo di orientamento e formazione? Chi farà
le bonifiche dei veleni? Nessuna risposta.
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