Tratto da Il Corriere del Giorno
Sabato mattina a Taranto un convegno per approfondire “una nuova valutazione del danno ambientale e il suo risarcimento”
ROMA – Aumento della mortalità infantile del 21 per cento, delle malattie tumorali sempre per i bambini del 54 per cento, della mortalità in generale per il tumore al polmone e l’infarto al miocardio del 13 per cento. Sono solo alcuni dati choc delle varie indagini epidemiologiche condotte sulla città di Taranto, con particolare riferimento ai rioni Tamburi e Paolo VI, ormai tristemente noti in Italia per essere quelli più esposti a uno dei casi di inquinamento ambientale più grave del Paese, quello legato all’Ilva.
Evidenze che, come spesso accade in queste circostanze, sono oggetto di accese discussioni e di interpretazioni divergenti.....
Negli ultimi mesi diversi cittadini della città pugliese si sono rivolti a Studio 3A chiedendo di essere assistiti rispetto alla grave situazione ambientale con cui devono convivere e alle sue ricadute: di qui l’idea da parte della società di promuovere un’occasione pubblica di confronto sulle possibili strategie anche alternative da attuare
Due, in particolare, i punti sui quali batterà l’azienda: Il primo parte dalla constatazione che la maggior parte dei grandi processi penali per inquinamenti e danni alla salute dei lavoratori e/o dell’intera comunità si sono conclusi con degli amari nulla di fatto, vedi quello per le morti da Cvm al Petrolchimico di Porto Marghera o per l’amianto di Casale Monferrato. Dibattimenti trascinatisi per decenni, centinaia di costituzioni di parte civile da parte delle vittime o dei loro familiari, e poi arriva la prescrizione a negare ogni forma di giustizia. La nuova legge del 2015 che per la prima volta ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel codice penale rappresenta un passo avanti, ma non risolve la questione, legata ai ben noti problemi di lentezza della giustizia italiana.
Anche per questo la filosofia di Studio 3A è quella di non aspettare l’esito dei processi penali ma di avviare senza indugio – non appena la magistratura metta dei punti fermi circa le responsabilità del soggetto inquinatore – azioni civili per il risarcimento dei danni, perché in questo modo è più semplice far valere i diritti dei danneggiati ma anche perché ciò costituisce il miglior deterrente contro i reati ambientali: le aziende sono sensibili più di tutto agli aspetti economici e così si toccano anche e pesantemente sul portafoglio.
L’altro aspetto fondamentale, che non viene quasi mai (colpevolmente) valorizzato in questi casi, è quello legato al cosiddetto danno da angoscia. La storica sentenza numero 2515 del 21 febbraio 2002 della Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite, per il “caso Seveso“, ha riconosciuto il diritto di farsi risarcire il danno esistenziale, anche soltanto sotto il profilo della paura e dell’angoscia, e anche laddove non ci si trovi in presenza di patologie fisiche. Chi, insomma, dimostra di aver subito un turbamento emotivo in presenza di un inquinamento ambientale va risarcito anche in mancanza di lesioni biologiche. Un principio, questo, applicabile in tutta evidenza anche al “caso Taranto”, indipendentemente dalla gravità dei danni alla salute, perché qui non solo i rioni più colpiti ma tutta una comunità ha comunque subito un danno, siamo di fronte a migliaia di persone che vivono nel terrore di poter sviluppare un domani malattie gravi, che ad ogni folata di vento più intenso devono sbarrare le finestre e chiudersi in casa: un vivere che non è vivere.
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