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23 dicembre 2010

1)Cambiamenti climatici: la nostra salute a rischio 2)Prestigiacomo family: ecco perchè in Italia chi inquina non paga)

Tratto da Peacelink

Cambiamenti climatici: la nostra salute a rischio

22 dicembre 2010 - Carlo Ruberto
I cambiamenti climatici potrebbe non solo turbare i delicati equilibri dei sistemi ecologici, ma anche avere pesanti conseguenze sulla nostra salute. A sostenerlo il rapporto “Si salvi chi può – Gli impatti socio sanitari del cambiamento climatico” presentato da ISDE – Medici per l’ambiente in collaborazione con Greenpeace.
Il documento segue le dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale l’impatto sulla salute dei cambiamenti climatici debba essere posto all’attenzione dell’opinione pubblica molto più di quanto non sia stato fatto sino a ora. La Commissione Europea aveva infatti proposto agli Stati membri di portare entro il 2020 la riduzione delle sue emissioni di gas serra dal 20% al 30%: si stima che in tal modo si sarebbe potuto ottenere un risparmio sulla spesa pubblica per la sanità da 10 a 30,5 miliardi all’anno, di cui 3,4 miliardi/anno in Italia(1,2). Il nostro Paese, uno di quelli nell’UE a maggior rischio ambientale e sanitario, si è però opposto insieme a molti altri a questa strategia. Eppure L’OMS ha previsto(3), a seguito del riscaldamento globale, la perdita ogni anno di 5 milioni di anni di vita e un incremento della mortalità umana del 3% per ogni grado di aumento della temperatura terrestre.
Inoltre l’IPCC ha elaborato una stima secondo la quale se la temperatura media globale dovesse superare di 1,5-2,5°C quella del periodo 1980-1999, sarà a rischio tutta la biodiversità del Pianeta con la scomparsa del 20-30% delle specie note. E nemmeno l’Homo sapiens sapiens, la specie dominante di tutti gli ecosistemi terrestri, ne uscirebbe indenne.
L’ambiente è stato profondamente modificato negli anni nei suoi caratteri fisico-chimici e negli ecosistemi biologici ed è oggi invaso da molecole chimiche di sintesi (pesticidi in agricoltura, antibiotici e farmaci in campo medico e zootecnico, additivi alimentari, ecc..) con effetti tossici, teratogeni, mutageni e cancerogeni.
Secondo l’ISDE, il quadro che ne emerge è allarmante. Sono in continuo aumento infatti le malattie cardiovascolari, immunomediate, neurodegenerative, endocrino-metaboliche e neoplastiche, in particolare nei bambini. Molte di queste sono causate dall’azione dei fattori ambientali sui nostri geni e possono essere attribuite direttamente o indirettamente al riscaldamento globale, in particolare le malattie strettamente connesse all’inquinamento atmosferico e le malattie infettive. Ricerche sperimentali ed epidemiologiche(4)hanno ricondotto la loro patogenesi a tre principali processi:
- continua esposizione dell’organismo umano a inquinanti ambientali con reazioni infiammatorie e riparative anomale che provocano malattie immunitarie, neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson, Sclerosi laterale amiotrofica), neoplastiche e metaboliche;
- alterazione troppo rapida degli ecosistemi microbici naturali sui quali si sono modellati nel tempo i nostri meccanismi di difesa;
- azione diretta degli inquinanti ambientali sull’embrione e sul feto durante la gestazione.
Le malattie da inquinamento atmosferico sono dovute al complesso di gas serra e altri inquinanti presenti nell’aria. Le temperature elevate accelerano la formazione di ozono, dovuta all’azione fotochimica delle radiazioni solari ultraviolette sui cosiddetti inquinanti “precursori” presenti nell’aria. L’ozono, un forte ossidante, danneggia le cellule delle congiuntive e delle vie respiratorie, rendendoci più suscettibili agli altri inquinanti presenti nell’aria, in particolare alle polveri ultrafini (PM 0,1 e minori). Queste sono le più nocive tra tutti gli inquinanti atmosferici poiché non solo causano malattie croniche a livello polmonare, tra cui i tumori, ma colpiscono anche il sistema cardiovascolare aumentando l’insorgenza di infarti e ictus, oltre a intaccare direttamente il patrimonio genetico (azione epigenetica)(5,6).
Temperature maggiori possono inoltre favorire la diffusione e la permanenza nell’ambiente di nuovi microrganismi. Questi patogeni vengono veicolati da insetti “vettori” oppure da acque contaminate, dove la persistenza degli agenti microbici è favorita dalle elevate temperature, e raggiungono nuove aree geografiche. L’ampliamento al Nord e al Sud delle zone climatiche sub-tropicali, oltre a facilitare la contaminazione microbica delle acque, ha comportato la diffusione di insetti esotici in latitudini diverse dalle originali, causando l’espansione delle malattie tropicali. Un tipico esempio di migrazione e colonizzazione di insetti vettori è costituito dalla comparsa della zanzara tigre nelle zone climatiche temperate. Si sta poi assistendo, a seguito del riscaldamento globale, a un aumento di malattie presenti endemicamente in determinate regioni e alla comparsa di malattie emergenti in altre storicamente indenni. Quelle più direttamente correlabili all’aumento termico sono ad esempio malattie virali come la Febbre gialla e la Dengue.
In alcune aree del pianeta, sia per ragioni climatiche sia sociali, gli effetti sulla salute dei cambiamenti climatici saranno peggiori che in altre. Ma nessuno ne sarà indenne poiché gli impatti del cambiamento climatico causeranno tra l’altro fenomeni di migrazioni di massa (i cosiddetti ecoprofughi, stimati già a 6 milioni per il 2010 e circa 300 milioni per il 2050) che, assieme alla crisi delle risorse naturali, aumenteranno le tensioni sociali o ne innescheranno di nuove.
È quindi necessario intervenire immediatamente, conclude il rapporto, al fine di prevenire un ulteriore peggioramento della situazione, tagliando, fino a raggiungere una sostanziale eliminazione, le emissioni di gas serra. Sarà inoltre fondamentale tutelare gli ecosistemi più fragili, ma allo stesso tempo più importanti del Pianeta, proteggendo ad esempio le ultime grandi foreste e creando ampie riserve marine.
Ma il tempo rimasto è poco, anzi secondo alcuni il processo è ormai irreversibile. Undici degli ultimi dodici anni sono stati tra i più caldi: il 2010, secondo i dati del USNOAA (United States National Oceanografic and Space Administration), si avvia a battere i record precedenti. La concentrazione di CO2 in atmosfera è salita dai 300 ppm dell’inizio del ‘900 ai 389 ppm del 2010. Numerose fonti scientifiche autorevoli ritengono che se si vorrà contenere il rialzo termico entro i 2°C rispetto all’epoca preindustriale, considerato il massimo limite termico sostenibile, le concentrazioni di CO2 dovranno essere stabilizzate a 400 ppm secondo alcuni, 350 ppm secondo altri. È stato stimato che con il ritmo attuale la CO2 nel 2020 supererà il limite di 400 ppm fissato a Copenaghen dalla COP 15(7,8,9,10).
Tra le molte ragioni per intervenire con urgenza quindi non c’è solo la necessità di preservare i delicati equilibri biologici del nostro pianeta, ma anche quella di proteggere la nostra salute e di salvare numerose vite umane.

Ecco quali sono i nuovi affari della famiglia Prestigiacomo. Sul ministro dell’Ambiente pesano decine di conflitti di interesse: dovrebbe multare i clienti delle “sue” aziende.

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Il Belpaese dei veleni: emissioni, ecco le norme salva inquinatori

L’Unione europea da tempo chiede agli Stati membri di adoperarsi per la tutela dei cittadini dalle emissioni inquinanti. Ma il nostro governo approva un decreto che rimanda i limiti e depotenzia le sanzioni.

Altro che qualità dell’aria, vivibilità e salute. Il governo, con il provvedimento sulla qualità dell’aria in sede di conversione di una direttiva europea, approvato il 13 agosto, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 settembre scorso, ha certificato ancora una volta da che parte sta: quella della logica economica a discapito del diritto alla salute. Ma vediamo come questa deregulation ecologica, grazie alla quale si potrà derogare dai limiti di emissioni di pericolose sostanze inquinanti, ha preso forma. Gli obiettivi della politica comunitaria sono fissati nell’art. 174 del Trattato sull’Unione (Trattato di Amsterdam) e riguardano difesa, tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, protezione della salute umana, l’utilizzazione razionale delle risorse naturali.

Una posizione centrale nel Trattato è occupata dai Principi dell’azione preventiva e da quello di precauzione. Il primo impone che un’efficace azione di tutela ambientale consista nell’evitare di creare inquinamento, piuttosto che cercare di contenerne o rimuoverne gli effetti dopo. Il principio di precauzione, poi, consiste nell’intervenire anche in assenza di una piena certezza scientifica, e di prove atte a dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra emissioni e degrado ambientale. Il corollario del Principio di Precauzione è il Principio A.L.A.R.A. (As Low As Reasonable Achievable), secondo cui l’esposizione agli effetti potenzialmente nocivi deve rimanere al livello più basso ragionevolmente ottenibile.

Nel caso del nostro governo, sono stati elusi tutti e due. Gli strumenti operativi per raggiungere le finalità fissate dal Trattato sono dati da: la Valutazione d’Impatto Ambientale (sui progetti), la Valutazione Ambientale Strategica (su Piani e Programmi), l’Autorizzazione Integrata Ambientale (sul processo industriale), i Piani di tutela e risanamento della qualità dell’aria e dell’acqua. L’Unione Europea, con la direttiva 50 del 2008 ha voluto fortemente garantire una migliore qualità dell’aria che respiriamo ogni giorno. Il governo italiano ha recepito la direttiva attraverso il decreto legislativo 155 del 13 agosto 2010, che definisce come valore obiettivo per alcuni inquinanti quel «livello fissato al fine di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana o per l’ambiente nel suo complesso, da conseguire, ove possibile, entro una data prestabilita».

Gli inquinanti considerati sono quelli che ogni giorno avvelenano le nostre città e, in misura minore, le nostre campagne: il biossido di zolfo (circa l’85% deriva da processi di combustione nelle centrali termoelettriche e negli impianti industriali), gliossidi di azoto (prodotti per il 50% da autoveicoli e per il 40% da processi di combustione nelle centrali e negli impianti industriali). E ancora benzene, monossido di carbonio (prodotto in tutte le combustioni), piombo (impianti di incenerimento, centrali a carbone o ad olio combustibile), polveri sottili (pm 10 e pm 2,5), arsenico, cadmio, nichel e benzoapirene (che è cancerogeno). Tutte queste sostanze possono derogare dai limiti ai sensi dell’art 9 del decreto 155 se gli interventi di riduzione comportano «costi sproporzionati».

E qui scatta la “trappola”: la generica formuletta «costi sproporzionati» comporterà, di fatto, l’inapplicazione dei limiti di emissione.

Gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e che non rientrano nei limiti di emissione anche utilizzando le migliori tecnologie disponibili (applicate, naturalmente, se i costi non sono sproporzionati) possono legalmente continuare nelle emissioni di inquinanti. Le norme a tutela dell’aria dall’inquinamento e quindi della salute risalgono al Dpr 203/1988 ed emanate 22 anni dopo la prima legge cosiddetta antismog (615/1966). Eppure, il corpus normativo è ampio e specifico: sono infatti intervenute varie direttive europee tra le quali la 62 del 1996, la 30 del 1999 (su ossidi di azoto, di zolfo, piombo e pm10), la 69 del 2000 (sul benzene) e la 107 (arsenico, cadmio, mercurio, nichel e idrocarburi policiclici aromatici, Ipa).

E’ sufficiente una comparazione con il dato dell’Europa a 15 di alcuni pericolosi inquinanti, tra il 1990 e il 2007, (fonte: European Community emission inventary report 1990-2007) per valutare l’inesistente azione del legislatore italiano nell’azione di tutela dell’aria dall’inquinamento e quindi della tutela della salute. Diminuiscono in Europa le emissioni di cadmio (32%), mercurio (26%), arsenico (13%), Ipa (22%), diossine (60%). In Italia il cadmio diminuisce del 5% e aumentano mercurio (4%), arsenico (70%), cromo (37%), Ipa (26%) mentre le diossine diminuiscono del 25%.

Ed ora sarà festa per chi avvelena il Belpaese.
(Erasmo Venosi, Terra)

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