COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE.

QUESTO BLOG UTILIZZA COOKIES ,ANCHE DI TERZE PARTI.SCORRENDO QUESTA PAGINA ,CLICCANDO SU UN LINK O PROSEGUENDO LA NAVIGAZIONE IN ALTRA MANIERA ,ACCONSENTI ALL'USO DEI COOKIES.SE VUOI SAPERNE DI PIU' O NEGARE IL CONSENSO A TUTTI O AD ALCUNI COOKIES LEGGI LA "COOKIES POLICY DI UNITIPERLASALUTE".

23 novembre 2011

1)Carbone Usa, una guerra che si vince dal basso2)A Durban Greenpeace presenta i più potenti inquinatori del pianeta,




Tratto da QualEnergia

Carbone Usa, una guerra che si vince dal basso

 Negli Stati Uniti il movimento contro il carbone sta registrando diverse vittorie: 151 centrali sono state bloccate. Anche il mercato rimette in discussione questa opzione dannosa per l'ambiente. L'uscita dal carbone diventa uno scenario realistico, grazie alle pressioni popolari e alla spinta delle energie rinnovabili. 
Per l'ambientalismo americano è il carbone il nemico numero uno. 
Basta un numero per rendersene conto: 250, sono le associazioni statunitensi impegnate nella guerra al carbone. Una fonte fossile che non piace perché responsabile di un inquinamento atmosferico che crea enormi danni alla salute, senza portare alcun beneficio alla società: secondo la ricerca Environmental Accounting for Pollution in the United States Economy, pubblicata sull'American Economic Review, per ogni dollaro di valore aggiunto generato dall'industria del carbone, ci sono 2,2 dollari di danno esterno. Una volta internalizzati i costi della sanità, alla società non conviene produrre energia dal carbone.
Gli scienziati di tutto il mondo, inoltre, additano il carbone come causa dei cambiamenti climatici, risorsa energetica del passato, ad altissimo contenuto di CO2. 
Attivismo e scienza concordano sul fatto che bloccare o ridurre drasticamente lo sfruttamento delle risorse carbonifere, non potrebbe che fare bene al Pianeta. Il climatologo James Hansen, direttore del Nasa Goddard Space Institute, ha detto più volte che eliminare le emissioni da carbone rappresenterebbe l’80 per centro della soluzione alla crisi del riscaldamento globale.
La società americana sembra convinta della necessità di combattere questa battaglia. Le azioni di disobbedienza civile si moltiplicano e tante sono le vittorie.

Ted Naceè il coordiantore

This article is part of the Coal Issues portal on SourceWatch, a project of CoalSwarm and the Center for Media and Democracy. See here for help on adding material to CoalSwarm
del sito web Coal swarm con cui, dal 2007, segue lo stato di avanzamento di tutti i progetti di centrali in attesa di autorizzazione. Nel 2008, in collaborazione con il Center for media and democracy, Nace ha avviato il CoalSwarmWiki,  una sorta di Wikipedia delle lotte al carbone, dove si possono consultare 3.500 articoli con tutte le informazioni sullo sfruttamento di questa fonte e sulla mobilitazione a livello globale.
“Dai numeri è chiaro che stiamo vincendo: sono 230 le centrali di cui è in programma la chiusura – dice Nace –  Anche se a Washington non siamo riusciti a portare a casa quasi nessun risultato, la pressione ambientalista sta condizionando l'industria”.
Per trovare un movimento ecologista altrettanto forte e strutturato bisogna andare indietro fino alle lotte contro il nucleare degli anni ‘70 e ’80, che riuscirono a far cancellare 100 progetti negli Usa. La guerra al carbone sta andando anche meglio: secondo l’associazione ambientalista Sierra Club, che, come parte della campagna Stopping the coal rush, raccoglie in un database informazioni sul settore del carbone, tra il 2005 e il 2010, sono stati cancellati 150 piani per la realizzazione di nuove centrali.
La corsa al carbone in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto lanciarsi per garantirsi energia nazionale a basso costo è stata frenata da una forte opposizione e da un mercato che non sembra troppo convinto della bontà di questo investimento. Nel 2000 erano 151 le richieste di permesso per nuove centrali, di queste, nel 2007, solo 40 erano state finalizzate. Altre richieste e altre cancellazioni sono seguite negli anni successivi e oggi il database del Sierra club include 244 progetti....
Il movimento anti carbone si appoggia alle grandi associazioni ambientaliste, ma la sua forza sono i gruppi locali dal basso che, attraverso un rapporto diretto con il territorio e con la controparte, stanno riuscendo a corrodere le basi dell’industria del carbone. 
Ted Nace, che ha scritto un libro sul movimento anti carbone, ci spiega come queste azioni dal basso stanno riuscendo a minare il sistema: “Si inizia col cercare di ritardare il progetto. Basta un’azione legale o in alcuni casi è sufficiente che i cittadini manifestino pubblicamente le proprie preoccupazioni e chiedano chiarimenti. Se il piano viene ritardato si inizia a corrodere la fiducia degli investitori o dei finanziatori pubblici. Naturalmente il tutto è reso più facile dal fatto che l’industria è già debole di per sé.
Le nuove regole, che impongono costosi sistemi di trattamento e depurazione, hanno messo in forte difficoltà il settore. Oggi produrre energia dal carbone non è più economico”.
A livello locale, l’opposizione al carbone cresce costantemente ed è riuscita a bloccare diversi progetti di nuove centrali. Vittorie ottenute con la complicità delle incertezze economiche legate al settore dei combustibili fossili e della crescita delle rinnovabili. Vittorie che, nate in ambito locale, hanno un riflesso globale in quanto mostrano che i mercati internazionali sono in grado di riorientarsi verso energie pulite. “Secondo le previsioni l'industria del carbone Usa avrebbe dovuto crescere del 20 per cento negli ultimi dieci anni e invece abbiamo assistito a una riduzione della stessa percentuale. E ora anche Cina e India stanno iniziando a mettere in discussione gli investimenti sul carbone e a cancellare alcuni progetti di nuove centrali. Se riusciremo a evitare che questi paesi installino nuova capacità, potremo uscire dal carbone con la sola forza di auto-regolamentazione del mercato”.
La transizione verso le rinnovabili è possibile: la disponibilità di fonti alternative al carbone aumenta costantemente così come cresce la competitività di queste risorse.........
Ma si fa tutto nel tentativo di dire addio a un'industria che non può nemmeno giocarsi la carta dei posti di lavoro: “Ci sono solo cinque stati in cui il numero dei lavoratori del settore – riprende Ted Nace – tocca le cinque migliaia. In passato il carbone dava lavoro a 800.000 persone in tutto il paese, ora sono 83.000, mentre l'eolico conta 85.000 addetti. È un'industria da 50 miliardi di dollari: Bill Gates da solo potrebbe comprarla tutta. Però è un'industria vecchia, che quindi sa giocare al gioco della politica meglio di quanto non sappia fare la giovane industria delle rinnovabili”.
In attesa che gli operatori del clean teach imparino a muoversi tra i banchi del Congresso, lo scorso luglio l'Epa (Environmental Protection Agency) ha presentato il Cross-State Air Pollution Rule (Csapr), una regolamentazione che chiede a 27 stati di ridurre le emissioni delle proprie centrali elettriche. Dove non arriva il mercato, una mano dalle istituzioni non guasta.Leggi tutto
_____________________________

Tratto da  AdnKronos.com

A Durban Greenpeace  presenta i più potenti inquinatori del pianeta, un manipolo di grandi multinazionali che, oltre a contribuire al cambiamento climatico, fanno di tutto per bloccare quelle leggi che, in vari Paesi, cercano di diminuire le emissioni di gas serra.........

Roma, 23 nov. - (Adnkronos) - Greenpeace presenta i nomi dei più potenti inquinatori del pianeta, a una settimana dalla conferenza su clima di Durban, in Sud Africa. Il rapporto, presentato oggi, svela come un manipolo di grandi aziende inquinatrici - tra cui Eskom, Basf, ArcelorMittal BHP Billiton, Shell e le industrie Koch - e le associazioni di categoria e le corporazioni di cui fanno parte, stiano condizionando pesantemente i governi e i negoziati politici riguardo alle leggi per la protezione del clima.
"Se i Governi vogliono scongiurare le conseguenze irreversibili dei cambiamenti climatici, devono ascoltare i cittadini, prima ancora dei mercati, e agire nell'interesse della collettività. 
 A Durban è giunto il momento di dar voce alla gente, non alle multinazionali dell'inquinamento" sostiene Salvatore Barbera, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.

Il rapporto 'Who's holding us back?' aiuta a comprendere come mai le politiche per la salvaguardia del clima hanno un peso sempre minore nell'agenda politica. Greenpeace dimostra come, a causa delle pressioni della lobby degli inquinatori molti Paesi chiave non abbiano adottato misure concrete per la difesa del clima che sono un presupposto essenziale per favorire il successo di un accordo internazionale. Esattamente il contrario della volontà dell'opinione pubblica mondiale che chiede interventi rapidi ed efficaci.

 
Greenpeace documenta la rete di influenze e condizionamenti con cui alcune grandi aziende muovono come pedine i leader politici e intere nazioni, le une contro le altre, per frenare la lotta ai cambiamenti climatici. "Si tratta di pratiche diffuse a ogni latitudine, anche nel nostro Paese - ha aggiunto Barbera - altrimenti è difficile spiegare la velocità con cui pur di autorizzare la centrale a carbone di Porto Tolle, con emissioni di CO2 fino a quattro volte quelle di Milano, è stata fatta in fretta e furia una legge 'ad centralem' dal governo Berlusconi e una legge analoga dal governo della Regione Veneto, in aperto contrasto con le leggi europee".

"Il carbone è il peggior killer del clima del Pianeta ed è irresponsabile che - continua il responsabile di Greenpeace - si parli di aumentare gli investimenti sul carbone mentre siamo costretti a seguire con grande apprensione l'evolversi della situazione causata da maltempo nel Messinese. Queste alluvioni, come quelle che hanno colpito nelle ultime settimane gran parte della penisola, sono anche conseguenza dei cambiamenti climatici che sono ormai evidenti nel nostro Paese. Un legame ormai dimostrato, come sottolinea il recente rapporto del Panel sul Cambiamento Climatico dell'Onu".
"Speriamo che queste tragedie servano da monito per i nostri politici e che l'Italia partecipi alla conferenza di Durban con uno spirito nuovo, in discontinuità rispetto all'atteggiamento di boicottaggio avuto dal precedente governo. Un accordo equo e vincolante per salvare il clima del Pianeta, e tutti noi, è sempre più urgente e la prospettiva che il Protocollo di Kyoto non venga rinnovato è semplicemente agghiacciante". conclude Barbera.
 
Scarica il briefing in italiano

Nessun commento: