Tratto da Il Corriere della Sera
Analisi choc dell'Asl e dell'Istituto superiore di sanità su 300 lavoratori delle aziende metallurgiche e 113 cittadini
Pcb da record nel sangue dei bresciani
Il sangue dei bresciani non è come quello degli altri italiani. Nelle vene dei bresciani scorrono più diossine e pcb, usciti negli ultimi decenni dai camini delle industrie metallurgiche e finiti sui campi e quindi nei cibi.A stabilirlo è uno studio del servizio prevenzione dell'Asl di Brescia e dell'Istituto superiore di Sanità (pubblicato recentemente sul Giornale italiano Medicina del lavoro ).
Contiene dati choc. Basta leggere le conclusioni: «La popolazione di Brescia, anche non residente nelle aree inquinate dall'impresa Caffaro, si caratterizza per concentrazioni nel siero di diossine e Pcb superiori ai valori osservati nelle popolazioni italiane non esposte». Non solo. Anche in chi vive lontano da fonti inquinanti (per l'esattezza a Tignale e Bagolino) «le concentrazioni di diossine, furani e pcb sono apparse più elevate di quelle osservate in alcuni gruppi di popolazione generale italiana», compreso chi vive nella Campania delle discariche tossiche e dell'allarme rifiuti.
Brescia per decenni ha recuperato il 40% del rottame metallico circolante in Italia, creando ricchezza, migliaia di posti di lavoro e proporzionalmente una grande dose d'inquinamento, visto che fino a pochi anni fa erano quasi inesistenti leggi e tecnologie per l'abbattimento degli inquinanti.
Oggi non è più così. Basti pensare all'autoregolamentazione che si sono date le 22 principali aziende siderurgiche bresciane (riunite nel consorzio Ramet) che negli ultimi 2 anni hanno speso milioni per diminuire dell'80 per cento le emissioni di diossine (auto-imponendosi il limite di 0,1 nanogrammi per metrocubo) e installando anche un monitoraggio in continuo per facilitare i controlli degli enti.
Ma i fumi usciti nei decenni passati hanno lasciato il segno. Lo certifica il sangue dei bresciani.
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