ACCADE IN AUSTRALIA :NAZIONE RICCA DI CARBONE
Tratto da Newnotizie
Australia: CARBON TAX pesante tassa sull’inquinamento
Australia - In Australia è stata approvata una nuova tassa, la “carbon tax", che impone alle aziende più inquinanti di pagare una mora: 23 dollari australiani
(pari a 18 euro) per ogni tonnellata di gas serra prodotta. Ad
approvare questa nuova tassa è stato il governo presieduto dalla
laburista Julia Gillard.
Inquinamento -
La manovra del governo australiano è dovuta al fatto che si tratta del Paese con il più alto tasso di inquinamento ad personam.
L’Australia contribuisce per 1,5 % all’inquinamento mondiale e in
questo modo non rispetta gli impegni internazionali sulla riduzione
dell’emissione dei gas serra. Secondo il governo laburista questo
sarebbe l’unico modo per ridurre l’inquinamento e si prevede che l’imposta colpirà circa 300 tra le più grandi industrie del Paese, per lo più minerarie, aeree ed energetiche.
A favore
- La discussione sulla “carbon tax”
va avanti ormai da mesi. Se la maggioranza laburista ha sempre
fortemente sostenuto questo tipo di provvedimento punitivo, c’è chi la
pensa diversamente. ....... Il primo ministro Gillard è invece
fermamente convinto che questa manovra sarà fonte e stimolo di
innovazione nella direzione di un modo di fare industria più ecologico e
meno nocivo per l’ambiente.
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ACCADE IN ITALIA.......
NAZIONE RICCA DI TROPPE PAROLE.
Tratto da QualEnergia
Un sistema elettrico improvvisato e la trappola del carbone..
Nel prossimo decennio il sistema elettrico
italiano potrà essere caratterizzato da una notevole produzione da
rinnovabili, ma anche da un nuovo parco di centrali a carbone per oltre 5
GW.
Uno sviluppo che rischia di realizzarsi senza alcuna programmazione
e che comporterà implicazioni ambientali, energetiche ed economiche.
Il sistema elettrico italiano ha
subìto profonde trasformazioni ed è destinato a cambiare ancora più
significativamente. Nel primo decennio del secolo si è completata
infatti la rottamazione delle vecchie centrali a olio, a favore di
moderni impianti a gas a ciclo combinato, centrali che si sono diffuse
sul territorio anche con soluzioni “green field”.
Il secondo decennio, invece, sarà quello delle rinnovabili grazie a 700.000 nuovi impianti,
accelerando così la transizione dalla produzione centralizzata
caratteristica del secolo scorso.
In realtà, però, la colorazione di
questo decennio rischia di essere verde-nero perché sono previste anche
diverse centrali a carbone.
Tutto ciò sta avvenendo senza alcuna programmazione. Non parliamo tanto di un improbabile Piano, quanto di una Strategia Energetica Nazionale che
tenga conto dei nuovi trend della domanda, del sovradimensionamento
della potenza elettrica, dell'irruzione delle rinnovabili e della
necessità di riqualificare la rete.
In assenza di questo quadro di
riferimento, i singoli operatori continuano ad agire secondo logiche sempre meno comprensibili.
Prendiamo le proposte di conversione o di costruzione ex novo di centrali a carbone per oltre 5.000 MW. I nuovi ‘kWh neri’ al 2020 potrebbero risultare oltre la metà di quelli addizionali verdi. A puntare su questa opzione è innanzitutto l’Enel che
intende fare del carbone il cuore della propria produzione elettrica.
Ma anche altre aziende italiane e straniere vorrebbero realizzare
impianti di questo tipo.
Perché si tratta di una scelta fortemente discutibile,
aldilà delle implicazioni ambientali dell’intero ciclo del carbone?
Innanzitutto, questi progetti si inseriscono in un contesto di overcapacity con
un parco di impianti che vede ormai oltre 120.000 MW a fronte di una
richiesta di punta di 57.000 MW. Le centrali a ciclo combinato lavorano
ai minimi storici (alcuni impianti sono a rischio di chiusura) e gli impianti a carbone producono per sole 4.000 ore/anno. Il tutto con una domanda che quest’anno potrebbe portarsi sui livelli del 2004 (nei primi cinque mesi -3,2% rispetto al 2011).
Inoltre,
la produzione emergente delle rinnovabili comporterà in questo decennio
un incremento dell’offerta tra 50 e 60 TWh, con una crescita destinata a
proseguire ulteriormente (la Commissione Europea ha già avviato la
discussione sugli obbiettivi del 2030). E le centrali a carbone, al
contrario di quelle a gas, sono le meno indicate a interfacciarsi con
una produzione non facilmente programmabile.
Infine, l’aspetto economico.
È vero che il carbone costa di meno, ma vanno inclusi i costi del
sequestro dell’anidride carbonica, se mai si potrà fare. O, in
alternativa, le quote da acquistare che, se al momento sono
caratterizzate da prezzi incredibilmente bassi, nei prossimi decenni
potrebbero anche raggiungere valori molto elevati. Inoltre, il prezzo del metano potrebbe diminuire,
sia per la liberalizzazione delle reti in Italia sia per l’immissione
sul mercato internazionale di percentuali di “shale gas”.
Se
poi si analizza la questione non dal punto di vista del singolo
operatore ma del sistema-Paese, i dubbi crescono. Che senso ha aver
investito decine di miliardi di euro per centrali nuovissime e molto
efficienti costrette a operare al minimo e che a fatica riescono a far
quadrare il quadro economico? O imbarcarsi in una scelta, quella del
carbone, che sul lungo periodo renderà più difficile il taglio delle
emissioni di CO2, in un’Europa che prevede una produzione elettrica
totalmente decarbonizzata al 2050?Insomma, gli elementi per avviare rapidamente una seria riflessione sulla Strategia Energetica Nazionale non mancano.
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