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28 luglio 2012

L’accusa del Gip del Tribunale,Patrizia Todisco ,così i controlli diventavano un bluff

Tratto da  Il Secolo XIX

L'accusa del Gip Ilva, così i controlli diventavano un bluff

28 luglio 2012

Taranto - I dati sulle malattie professionali falsificati. Gli impegni per migliorare le prestazioni ambientali presi solo sulla carta. Bugie. Omissioni. Presunte corruzioni. E continui ostruzionismi nei confronti degli ambientalisti. 
 La storia giudiziaria ed imprenditoriale del gruppo Riva è tutta nell’atto d’accusa del giudice che due giorni fa ha portato al sequestro dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto.
 Il gip del tribunale Patrizia Todisco, pagina dopo pagina, analizza con un rigore scientifico le perizie e le sentenze che negli anni avevano denunciato l’altissimo tasso di inquinamento nei quartieri attorno alla più grande acciaieria d’Europa. Un disastro ambientale, senza precedenti, che il gruppo Riva avrebbe ignorato, anzi tentato di camuffare, anche corrompendo un consulente incaricato dalla Procura di analizzare l’inquinamento prodotto dalle diossine. 

Il suo nome è Lorenzo Liberti, preside della facoltà di Ingegneria di Taranto. Accusato di aver ricevuto una busta con 10mila euro in una stazione di servizio da un dirigente dell’Ilva per cambiare la perizia e favorire i Riva, il professore si è subito difeso.
Tramite il suo legale, Liberti ha negato di aver ricevuto i soldi e ha spiegato di avere rapporti quotidiani con i dirigenti della fabbrica, legati all’Università. Quell’incontro c’è stato, ma «come spesso accadeva con i dirigenti dello stabilimento», ha spiegato Liberti. Non solo. In merito alla perizia finita sotto accusa, volta a verificare la dispersione di diossina dallo stabilimento, Liberti ha precisato: «Nella perizia, depositata a luglio del 2010, ho scritto: “Sconcertante è apparsa la situazione all’interno del capannone: il pavimento era coperto da rilevanti quantità di polveri, che causava una situazione ambientale insostenibile”». Questo dimostrerebbe per il professore l’assoluta veridicità del documento. E poi ha aggiunto: «Dopo l’avviso di garanzia, gli stessi pm che indagano su Riva mi hanno affidato altre due perizie».

Intanto nelle 300 pagine dell’ordinanza con cui sono finiti ai domiciliari i vertici del gruppo Riva per disastro ambientale, sono tanti le responsabilità penali attribuite agli imprenditori. Ad esempio il «gravissimo comportamento», scrive il gip, tenuto dai tecnici incaricati da Ilva per gli autocontrolli sulle emissioni dell’impianto di agglomerazione. «Era accertata una chiara attività ostruzionistica tesa ad impedire ai tecnici dell’Arpa di verificare gli autocontrolli effettuati dalla ditta». Prima il macchinario utilizzato era spento, poi in un secondo tentativo i tecnici dell’Arpa appurarono un cattivo uso del macchinario stesso. Ma anziché collaborare con l’agenzia regionale che si occupa di ambiente, l’Ilva eseguì quelle stesse analisi sulle polveri senza il controllo dell’Arpa che ovviamente non poteva avere i risultati reali. Dai documenti esibiti si scoprì poi che i report relativi a tali analisi erano stati prodotti da una strumentazione che non c’era nemmeno nei laboratori. Per il giudice, c’era una «chiara volontà di sottrarsi a efficaci controlli a sorpresa». 

Altra anomalia sottolineata dalla magistratura, riguarda le denunce sulle malattie professionali negli anni che vanno dal 1998 al 2010. Nel confronto tra i numeri dell’Ilva e quelli dell’Inail è emersa una sproporzione considerevole. Ad esempio nell’anno 1998 c’è una differenza sui dati di più di 4 volte: per l’Inail sarebbero 377 le denunce su malattie respiratorie e cardio vascolari legati al lavoro, per l’Ilva appena 85.
Ma «la più grossolana presa in giro compiuta dai vertici Ilva», aggiunge ancora il giudice, riguarda i primi atti di intesa sottoscritti dal gruppo dirigente, volti a migliorare le prestazioni ambientali del siderurgico. Si tratta solo di impegni presi sulla carta che negli anni non hanno mai portato ad un adeguamento dei macchinari e delle strumentazioni di lavoro ai parametri previsti dalla legge
Il primo atto d’intesa l’8 gennaio 2003, il secondo 27 febbraio 2004, il terzo, il 15dicembre 2004 e il quarto il 23 ottobre 2006. Tutti senza risultati concreti.
In quest’ultimo l’Ilva sostiene di aver completato il sistema di monitoraggio ai camini delle batterie dei forni coke e dell’agglomerato. «Fatto ovviamente in totale contrasto con quanto accertato dai periti in sede di incidente probatorio», commenta il giudice.
Valentina Marzo

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