Relazione tra inquinamento e malattie, quel rapporto commissionato ma mai esaminato
27/11/2018 - di Massimiliano Torneo
La Procura incaricò il prof. Bianchi del Cnr di Pisa: «La relazione è pronta
da un anno»
A parlare, infatti, è il professor Fabrizio Bianchi, responsabile dell’unità di Epidemiologia
ambientale del Cnr di Pisa. Ai primi del 2016 l’ex procuratore capo Francesco Paolo Giordano
lo volle nel collegio dei tre consulenti che si sarebbe dovuto occupare del rapporto malattie/inquinamento attorno al Petrolchimico. Una collaborazione, su base medico-scientifica,
per arrivare a sbrogliare quella matassa del rapporto causa/effetto, fino a individuare responsabilità. Una indagine ambiziosa partita assieme a quella che, nel luglio del 2017, aveva portato al sequestro degli impianti Isab e Esso e all’accusa per 8 dirigenti dei due colossi di inquinamento ambientale colposo. Questa sull’inquinamento dell’aria, che ritiene di aver individuato “fonti certe”, è ancora in corso. Dell’altra il maggiore dei tre esperti arruolati dalla Procura dice di non aver avuto più notizie: «Non sono stato più avvicinato da nessuno – dice -, silenzio assoluto».
Nel frattempo sia l’ex procuratore capo Giordano, sia la sostituta che seguiva l’indagine, Margherita Brianese, sono stati trasferiti. Ognuno dei tre consulenti aveva una relazione su cui lavorare. Quella del professor Bianchi era la più complessa: il rapporto tra fonti di emissione e popolazione residente. Pronta, dopo il lavoro di un anno, per ora è rimasta nel suo cassetto. Un’altra perizia, invece, il cui autore ha fatto in tempo a consegnarla, è quella sugli effetti dell’inquinamento sui lavoratori. L’ha stilata e consegnata nell’estate 2017 il dottor Paolo Crosignani. Anch’egli individuato dalla Procura come componente del collegio di periti (il terzo è il ricercatore esperto in malattie genetiche, Sebastiano Bianca) è l’ex direttore di Epidemiologia ambientale all’Istituto dei Tumori di Milano, già perito di parte nel processo che a Porto Marghera portò alla condanna di cinque dirigenti Montedison.
A fine estate 2017, dopo il deposito della sua relazione a Siracusa, diceva: «A Porto Marghera si arrivò alla condanna degli imputati su una base tutto sommato minima, casi attribuibili a esposizioni lavorative. Qui c’è maggiore possibilità di arrivare a profili di responsabilità, l’indagine è molto più larga». Un’indagine di questo tipo e di questa complessità non è mai stata portata avanti nel territorio, per cui le parole del prof. Crosignani furono deflagranti. «Ancora due mesi – disse a nome del collegio - e il lavoro sarà completato». E prometteva dati e deduzioni tali da segnare un’altra pagina epocale nel rapporto tra magistratura inquirente, in questa area geografica, e un settantennale modello di sviluppo con trenta chilometri di impianti chimici, petrolchimici, raffinerie, aree portuali, amianto, discariche.
Non bastava, infatti, lo storico provvedimento con cui il 21 luglio 2017 il gip di Siracusa, su richiesta della Procura, metteva sotto sequestro tre stabilimenti di Esso e Isab, imponeva prescrizioni e indagava otto dirigenti con l’accusa, tra le altre, di inquinamento ambientale. Tre esperti si stavano occupando di un altro filone di indagine che riguardava, appunto, l’incidenza tra quell’inquinamento e le malattie nell’area. E, com’è ovvio, l’intento di una Procura non è puramente statistico. Bensì di arrivare a quelli che tecnicamente si chiamano “profili di responsabilità”, ossia accertare il nesso di causalità tra le malattie e l’inquinamento, prima, e tra malattie inquinatori poi. In questo delicato passaggio, a tre quarti di lavoro finito, nelle parole di uno dei componenti di quel collegio c’erano indicazioni importanti: «È un lavoro lungo ma potrebbe portare a esitare anche una serie di accuse», diceva Crosignani.
Il procedimento su cui si è basato lo studio che ha portato alle relazioni è abbastanza complesso. «Si tratta – per come spiegano gli esperti - di descrivere in termini di danno l’incrocio di alcune variabili». Raccolti dunque i dati sanitari, ossia le schede di dimissione ospedaliera di tutti i residenti (anche quelli ricoverati al Nord) e quelle delle mortalità, incrociarli con una cosiddetta “mappa di ricaduta”, una sorta di schedatura delle emissioni inquinanti già redatta dall’Istituto superiore di sanità. «Tra stime effettuate sulla base di modelli matematici che comprendono le emissioni, la meteorologia e l’ubicazione degli impianti – spiegano gli esperti - e la suddivisione della popolazione indagata secondo la diversa esposizione alle emissioni, si arriva a un criterio che permette risultati ritenuti dall’Istituto superiore di Sanità molto affidabili». Una parte del lavoro, come detto, è già stata completata e consegnata ai magistrati: riguarda i profili professionali, ossia le malattie che hanno colpito i lavoratori del petrolchimico. «Abbiamo trovato una serie di tumori d’amianto”, disse l’ex direttore di Epidemiologia ambientale all’Istituto dei Tumori di Milano. Che aggiunse: “La Procura ha già avviato un percorso verso l’individuazione di profili di responsabilità: ossia chi imputare».
E questa sarebbe solo una parte di tutta la vicenda. Quella più eclatante sarebbe dovuta arrivare poco più avanti. Ma, una volta finito – come detto -, lo studio non è stato richiesto e perciò non consegnato. Sarebbe eclatante perché, secondo gli esperti, molto più chiaro. Mentre, infatti, per quel tipo di malattie professionali (come anche per i tumori al polmone) risalire alle responsabilità è più complicato perché sono frutto di esposizioni lontane nel tempo, per altre patologie, conseguenza di esposizioni recenti, le responsabilità sarebbero – secondo i consulenti della Procura - a portata di mano. Due malattie su tutte, secondo i periti, porterebbero in sé le carte d’identità dei responsabili: le leucemie e le malformazioni congenite.
Anche per lo studio effettuato dal professor Bianchi, che riguarda tutti i residenti, il metodo è stato l’incrocio di una mappa di ricaduta con i dati delle schede di dimissioni ospedaliera degli ultimi 18 anni (dal 2000 a oggi). L’obiettivo, tentare di quantificare il danno derivante complessivamente dalle emissioni. Un quadro di quanto le emissioni abbiano portato dei rischi per la salute dei residenti. Da un archivio di tutte le persone residenti che si sono ammalate è stato sviluppato un discernimento tra quelle che abitano più vicine agli impianti e quelle che abitano più distanti. Poi il confronto con la mappa di ricaduta. «Più di un anno di lavoro – conclude Bianchi, curatore anche del rapporto Sentieri sulle malformazioni – è pronto: se qualcuno me lo chiede, lo consegno»